N.02
Marzo/Aprile 2010

Don Pino Puglisi, lampada che risplende

Un fraterno saluto rivolgo a S.E. Mons. Italo Castellani, presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata, a don Nico Dal Molin, direttore del Centro Nazionale Vocazioni, a tutti voi, fratelli e sorelle carissimi, vescovi presbiteri, consacrati, laici e ai carissimi seminaristi. Sono lieto di partecipare, dopo tanti anni, al qualificato appuntamento del Convegno Vocazionale Nazionale. Vi ho preso parte durante gli anni della mia formazione in seminario e poi da giovane presbitero perché inserito nel Centro Diocesano Vocazioni di Palermo, guidato a quel tempo da don Giuseppe Puglisi.

Questo incontro di preghiera è stato introdotto da immagini e parole di don Pino Puglisi: un narratore della vocazione, un presbitero palermitano, parroco della parrocchia di San Gaetano, nella borgata di Brancaccio, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno.

 

  1. Dalle tenebre alla luce

La Parola di Dio appena ascoltata ci ha offerto l’opportunità di non perdere di vista il tempo liturgico che stiamo vivendo, quello del Natale. Il Signore Gesù si è incarnato, si è fatto uomo, si è manifestato come luce vera per gli uomini, l’Emmanuele che instaura un’era di pace per tutti. Questa epifania della grazia di Dio è annunciata al popolo eletto dal profeta Isaia, di cui abbiamo ascoltato le ausiliare di parole: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse». L’evento della liberazione di Israele viene descritto dal profeta come l’irrompere improvviso della luce, simbolo di libertà e di vita.

Alla luce viene associata la gioia: il Signore ha moltiplicato la gioia per il suo popolo, gioia che si sperimenta alla sua presenza: «Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e si esulta quando si divide la preda». Questa gioia si sprigiona con l’intensità propria delle esperienze elementari della vita, quali sono la mietitura e la spartizione del bottino. Essa giunge al suo culmine ed esplode con l’annuncio di un evento: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio». Questo figlio è il segno della fedeltà del Signore alla sua promessa. Il suo nome sarà: «Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» Nell’esperienza delle tenebre, il popolo finalmente vede una grande luce. Vedere la luce, essere illuminati da essa è la gioia del Natale che abbiamo celebrato e stiamo ancora celebrando.

La luce viene da Dio! San Giovanni nelle sue Lettere ci presenta con chiarezza questa verità, affermando: «Dio è luce e in lui non ci sono tenebre» (1Gv 1,5), Dio è luce perché ci ha amati. Il suo amore ci ha redenti: «Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui» (1Gv 4,9). Gesù Cristo, dunque, si rivela come luce per il mondo. «Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita». Chi segue l’uomo Gesù di Nazareth si sintonizza in realtà sull’amore di Dio e quindi vive alla luce dell’amore.

 

  1. Il discepolo vive della luce ed è luce

In questo contesto possiamo comprendere meglio l’affermazione contenuta nel Vangelo di Matteo ascoltata poco fa: «Voi – i discepoli – siete la luce del mondo». Non certo nel senso che il discepolo abbia da sé la capacità di illuminare il mondo. Il discepolo è prima di tutto una persona unita a Cristo, in comunione con lui, docile alla luce che viene da lui. Proprio perché la sua vita è costruita sulla dimensione della vita di Gesù essa diventa capace di illuminare gli altri.

È ancora Matteo ad esortarci in tal senso: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini» (Mt 5,16). Si tratta quindi di una luce chiaramente visibile, che deve diventare oggetto di esperienza concreta, in modo che tutti possano «vedere le vostre opere buone», cioè le opere dell’amore, e così possano rendere gloria non al discepolo, ma «al Padre che è nei cieli».

Essere “luce del mondo” è la vocazione di ogni cristiano. Venir meno a questa vocazione sarebbe per il credente la diserzione e significherebbe cadere nell’insignificanza. Ha forse senso la luce nascosta i cui raggi non giungono da nessuna parte? Così non ha senso il cristiano che non sta nel mondo come testimone dell’amore di Dio e della sua santità.

 

  1. Don Pino Puglisi, lampada che risplende

Un vero discepolo è come una lampada posta sul candelabro, ci ricordava l’evangelista Matteo. Vogliamo guardare ora ad una lampada che, posta sul candelabro, ha fatto luce nella casa, anzi nella Chiesa di Palermo, in terra di Sicilia e nella stessa Italia: don Pino Puglisi.

Il suo ricordo si inserisce molto bene in questo Convegno dal tema: Nella “tenda della testimonianza”: narratori della vocazione e si colloca altrettanto bene nel contesto più ampio dell’Anno Sacerdotale, indetto dal Santo Padre Benedetto XVI, con l’intento di promuovere l’impegno di interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti, per la loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi (cf Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale). Lo stesso Pontefice ha invitato la Chiesa a guardare alla santità e all’esempio del sacerdote San Giovanni Maria Vianney. Ma in questo anno un po’ dovunque si guarda con interesse a numerosi altri presbiteri che, avendo vissuto una vita luminosa, possono essere indicati come autentici testimoni del Vangelo di Cristo.

Il nostro sguardo si rivolge pertanto ad un testimone: il presbitero don Pino Puglisi. Un animatore vocazionale convito e convincente, che ha narrato, con la sua parola semplice ed efficace e, soprattutto, con la testimonianza della vita, la buona notizia.

 

  1. Un personale ricordo di don Pino

Permettetemi un ricordo personale di don Pino. L’ho conosciuto all’età di otto anni, nel 1970, quando divenne parroco di Godrano, un piccolo paese in cui viveva la mia famiglia. Sono cresciuto con lui, come tanti ragazzi e giovani, negli otto anni del suo servizio di parroco. A lui ho manifestato nell’adolescenza la percezione della vocazione al sacerdozio ed egli ha accompagnato il mio cammino vocazionale passo dopo passo con la direzione spirituale, l’esempio della vita e la vicinanza attenta ed esigente, seguendo ogni tappa, talvolta faticosa, di questo cammino sino all’ordinazione presbiterale avvenuta 23 anni fa, ed ancora oltre, aiutandomi a rispondere sempre con generosità al Signore.

Sono grato al Signore per averlo messo sulla mia strada e perché in lui mi ha fatto trovare un ottimo compagno di viaggio, un fratello maggiore, adulto nelle fede e nell’esperienza ecclesiale, un padre attento, premuroso, forte e mite allo stesso tempo, capace di ascoltare, di accogliere e di attuare, insieme con le persone che a lui si riferivano, un autentico discernimento spirituale sulla vita, la storia personale di ciascuno e sulle scelte che si è chiamati, inevitabilmente, a fare durante la propria esistenza.

Un presbitero, don Pino, che è riuscito a narrare con la vita e con le scelte quotidiane la sua vocazione, che aveva come punto di riferimento costante il Vangelo. In lui ho visto il Sacerdote autentico, innamorato del Vangelo, pieno di carità pastorale per coloro che il Signore ha posto sul suo cammino. Il suo esempio di vita, la sua ricca umanità, il suo essere trasparenza di Cristo pastore buono, l’hanno fatto diventare per me e per migliaia di persone, che hanno avuto il dono di incontrarlo, un vero punto di riferimento, un autentico testimone di Cristo.

Di questo Servo di Dio tante cose si potrebbero dire per presentarne l’alta statura. In questa circostanza ne voglio richiamare soltanto tre, che ritengo fondamentali per poterlo conoscere più da vicino.

 

  1. Don Pino, sacerdote del Signore e missionario del Vangelo

Dalla vita di don Pino Puglisi emerge innanzitutto la gioia di essere presbitero, pienamente convinto della sua missione di uomo donato totalmente ai fratelli. Egli è stato un evangelizzatore autentico, convinto che il primo compito del presbitero è quello di portare ai poveri, agli ultimi, agli emarginati, il lieto annuncio della liberazione e della integrale salvezza, che è Gesù Cristo.

È stato un pastore che ha dato la vita per il gregge di Cristo affidato alle sue cure. Non ha avuto paura. Non ha abbandonato il gregge. Con la forza della più profonda comprensione vocazionale della sua esistenza è stato un presbitero secondo il cuore di Dio, pieno di amore per il Signore e per i fratelli. Curava ciascuno con amore e fedeltà, dando le sue energie, il suo tempo, la sua mente, il suo cuore, senza nulla riservare per se stesso, esponendosi, anzi, come poi è avvenuto, al sacrificio della vita.

Don Pino è stato un vero missionario del Vangelo. Come gli antichi profeti egli era una sentinella di Dio. Ascoltava per primo la Parola di verità, la Parola di Dio, e la trasmetteva quale Parola di vita, aiutando tutti a saper fare sintesi tra Parola e vita, tra Vangelo e situazioni concrete.

Aveva la Scrittura sempre tra le mani. Essa costituiva una sorta di griglia in cui intessere la propria storia, la propria vita. Era veramente un missionario del Vangelo che sente impellente un dovere, quello espresso dall’apostolo Paolo: «Guai a me se non annuncio il Vangelo» (1Cor 9,16).

Annunciava il Vangelo senza sconti e libere interpretazioni, quale Parola di verità che libera l’uomo dall’oscurità. Uomo del Vangelo, egli volle dipendere sempre da esso, ponendosi sotto la Parola, alla scuola della Parola per essere trasparenza della Parola. Un vero uomo delle beatitudini: mite, umile, povero, misericordioso, puro di cuore, costruttore e amante della giustizia, della legalità e della pace. La sua mansuetudine non gli ha impedito di essere risoluto e forte nel compiere il bene e nell’insegnare agli altri a compierlo nella loro vita. Per questo è diventato scomodo a Brancaccio ed è stato eliminato.

 

  1. Don Pino, animatore Vocazionale

Don Pino è stato un presbitero innamorato del suo sacerdozio e, per ciò stesso, un promotore della Pastorale Vocazionale e di quella giovanile, impegno che lo ha coinvolto, senza alcun risparmio di fatica e di risorse. Egli ha fornito un apporto notevole nel settore della Pastorale Vocazionale nell’Arcidiocesi di Palermo a livello regionale e anche nel Centro Nazionale Vocazioni, perché si potessero intraprendere nuovi itinerari nella pastorale delle vocazioni.

Ponendo al centro della sua azione pastorale la dimensione vocazionale della vita e la comune chiamata alla santità, don Pino si è fatto compagno di viaggio di moltissimi giovani, condividendo con essi le principali domande sul senso dell’esistenza, del dolore e della morte, spendendosi per loro senza limiti di tempo nei momenti di vita comune, nei campi-scuola, negli incontri di formazione, nell’amicizia costruttiva e solida, nell’accompagnamento verso la scoperta della propria vocazione.

Il “sì” a cui don Pino voleva condurre i giovani era ben lontano da semplici esigenze emozionali o sentimentali. Doveva essere un “sì” aperto a tutte le prospettive, a tutte le possibilità, perché l’amore possiede orizzonti più ampi di quelli che stanno immediatamente sotto i nostri occhi, e conduce su sentieri che meno ci aspettiamo. Un “sì” pronunciato con questa convinzione e disponibilità ai progetti di Dio è un “sì” che si proietta nel futuro, che prepara a scelte di vita di totale dedizione a Dio e ai fratelli. Col suo servizio presso il Centro Diocesano e Regionale Vocazioni e come direttore spirituale del Seminario Arcivescovile, don Pino ha annunciato la predilezione di Dio per i giovani, il suo accompagnamento paterno, il suo incoraggiamento perché essi potessero trovare la felicità piena nel dono di sé.

Sulla scorta della sua testimonianza si può e si deve guardare ad un costante rinnovamento della Pastorale Giovanile e Vocazionale. Una pastorale che non sia soltanto strutturata in iniziative, ma sia vivificata dall’entusiasmo dell’annuncio missionario, dalla responsabilità di testimoniare la fede nei luoghi in cui i giovani sono chiamati a vivere.

Infatti, don Pino non ha mai teorizzato la sua azione pastorale, ha solo cercato di ascoltare e accompagnare i giovani, volgendo il loro cuore verso l’amore che Dio ha per loro, trasmettendo ad essi la forza vivificante del Vangelo, consapevole che le scelte più profonde, le più decisive della vita di ogni giovane possono essere vissute e maturate solo all’interno di un contesto di fede trasmessa come esperienza del Risorto.

Come don Pino, tutte le persone che si dedicano alla pastorale giovanile e vocazionale, come siete voi, dovrebbero adottare lo stile del seminatore che spande il suo seme a larghe mani nel cuore di tanti giovani, non smettendo di accostarli, di ascoltarli, di scommettere su di loro, di sfidare la loro libertà, di avvicinarli per portare loro innanzitutto la buona novella di Cristo.

 

  1. Don Pino, testimone della speranza

Ridare le ragioni della speranza è un tratto caratteristico e ineludibile della fede cristiana. Della speranza che non delude, i cristiani devono essere testimoni credibili e coraggiosi. Testimoni credibili per la coerenza tra la fede e la vita che non ammette ipocrisie e compromessi con nessuna forma palese o occulta di illegalità, di ingiustizia, di corruzione. Testimoni coraggiosi, che non si lasciano abbagliare dalle promesse né intimidire dalle minacce di quanti operano il male spegnendo così le ragioni della speranza.

Don Pino per il suo coraggio e la sua autentica testimonianza di vita è stato ucciso 16 anni fa dalla mafia. Il sorriso rivolto al killer che lo uccideva con un colpo di pistola e le ultime sue parole: «Me l’aspettavo», rivelano la consapevolezza di andare incontro al martirio proprio perché fedele al suo ministero di evangelizzatore e di formatore delle coscienze.

La sua testimonianza è un invito alla speranza per tutti gli uomini di buona volontà, che non possono e non devono mai rassegnarsi, ma lo è particolarmente per i presbiteri che, in situazioni difficili o a rischio o di fronte a provocazioni e minacce, non possono e non devono scoraggiarsi. Essi non devono desistere, non solo perché abbiamo la certezza che il Signore è sempre con noi, ma anche perché la vocazione al martirio è un aspetto ineludibile della vocazione al sacerdozio ministeriale, come lo fu per Cristo, il Pastore buono, che ha dato la vita per il suo gregge.

Mi piace concludere questa testimonianza con una lucida riflessione di don Pino sul tema “Testimoni della speranza”, da lui proposta ad una assemblea di giovani.

In quella occasione così si esprimeva: «Siamo testimoni della speranza. Ma il testimone per eccellenza è Gesù, il testimone fedele e verace… Ma con Gesù testimone ci sono e ci devono essere i testimoni di Gesù… Tutti i cristiani sono chiamati ad essere testimoni perché ricevono l’annunzio e si mettono in comunione con la Chiesa che è evangelizzatrice…

Essere testimoni della speranza; ma speranza di che cosa? Speranza di un futuro che mentre è un’utopia per chi non crede, diventa invece una realtà per il cristiano… La speranza è la risultante dell’amicizia nel senso più rigoroso del termine: chi è completamente solo è disperato; amicizia con Dio è amicizia con il proprio simile. Allora testimone della speranza è colui che testimonia questa amicizia con Dio, presente nella parola, nel sacramento, nel povero, in ogni uomo.

Testimone a chi?si domanda sempre don Puglisi – A chi nel profondo conserva rabbia nei confronti della società che vede ostile; a chi è concentrato su se stesso e non si apre agli altri; a chi è pieno di paura e di ansie, a chi non riesce ad abbandonare il proprio passato e andare liberamente verso il futuro.

Il testimone della speranza – conclude don Pino manifestando appieno la sua interiorità spirituale – deve presentare il messaggio della speranza a chi chiede giustizia, ripetendo che essa passa attraverso la Croce. Il testimone della speranza indica a chi è disorientato non che cosa è la speranza, ma Chi è la speranza. Testimone della speranza è quindi colui che, attraverso la propria vita, cerca di lasciare trasparire la presenza di Colui che è la sua speranza, la Speranza assoluta, ossia Dio».

Questo è stato don Pino Puglisi in una coerente sintesi tra l’essere, il dire e il fare. Questo, per non dimenticarlo e perché il suo sacrificio non sia vano, dobbiamo essere anche noi per offrire alla nostra società l’unica speranza che non delude: Cristo crocifisso e risorto.