N.03
Maggio/Giugno 2010

Il quadro situazionale… in cui posizionarmi

Briciole di apprendistato per il direttore del CDV

 

  1. Quando la realtà ci tiene in ostaggio

Abbiamo assistito per giorni e giorni all’onda di cenere del vulcano islandese Eyjafjallajokull, che non accennava ad arrestarsi e che ha portato caos nei trasporti di tutto il mondo. Un vulcano dal nome impronunciabile, sconosciuto fino a pochi giorni prima, ha cambiato improvvisamente la vita di milioni di persone sul pianeta, costringendo tutti ad una tabella di marcia, che è quella di mezzo secolo fa, per cui, da parte di tutti ci si è messi a correre più piano. Per più di qualche giorno i potenti del mondo, gli eroi dello sport, le star dello spettacolo sono stati costretti a mettersi al livello della gente comune, obbligati anch’essi ad inventarsi un modo diverso di muoversi.

Per di più, in un’economia globalizzata come l’attuale, in cui i processi produttivi assomigliano a catene assai efficienti con tantissimi anelli che avvolgono il mondo, è bastato un avvenimento banale in grado di spezzare anche uno solo di questi anelli (= le comunicazioni), per cui si è corso il rischio di fermare tutto. Il fatto è che in tutti questi anni abbiamo costruito un sistema sempre più efficiente, ma sempre più fragile, perché impreparato all’emergenza. E, di sicuro, chi verrà dopo di noi ci accuserà di un’enorme arroganza intellettuale, per avere pensato di poter spiegare tutto con la nostra razionalità e tecnica, mentre anche solo il primo decennio di questo secolo si sta dimostrando come la rivincita dell’irrazionale e dell’incertezza. Così la nube oscura che si è alzata dal vulcano islandese è stata il simbolo della nostra ignoranza e della nostra impotenza.

In piccolo e in grande, è sempre la realtà a tenere in scacco tutte le nostre idee, le mode e i costumi, le previsioni, i nostri progetti e le nostre tecnologie. Anche nella vita della Chiesa e nella pastorale. Dai docenti e dai ricercatori intellettuali negli atenei e nei centri di studio, che divorano libri, opinioni e sistemi di pensiero, senza un serio contatto con la realtà ecclesiale di base, agli operatori pastorali,che ripropongono all’infinito la routine delle iniziative e degli interventi o corrono all’impazzata a tamponare le falle delle emergenze, senza riflettere e pensare un minimo ed in modo serio sulla loro attività, è tutta una larga e preoccupante fragilità ecclesiale, che caratterizza da sempre, ma soprattutto in questo tempo, il cammino delle comunità cristiane.

C’è da chiedersi come mai sia così difficile partire invece dalla realtà vera, non da quella immaginata o semplicemente da quella che ci comprime nel piccolo mondo in cui viviamo. Certo, la realtà è e sarà sempre più grande di noi, ma, almeno, lasciamola entrare con forza nei nostri sistemi di pensiero ed allarghiamo la nostra capacità di vedere e sentire oltre gli stretti confini del nostro esistente.

Anche per quanto riguarda il discorso e l’attività vocazionale siamo dentro fino al collo in questi limiti. O continuiamo a sfornare una serie di studi teorici (in verità abbastanza pochi da qualche anno) su cause vere e presunte della scarsità o abbondanza delle vocazioni, senza contatti vivi con la realtà delle famiglie, dei giovani, delle parrocchie, oppure – e sono i più – ci limitiamo a piangere senza prospettive e senza speranza sulla tristezza dei tempi e sulla sterilità delle nostre Chiese locali. Ma la realtà è oltre e non ci preoccupiamo abbastanza di accoglierla e lasciarla penetrare nelle nostre teste, nel nostro cuore e nel nostro agire.

 

  1. Un vistoso difetto di incarnazione?

Tuttavia non è solo questione della realtà che è più grande, ci sovrasta e ci tiene continuamente in scacco. C’è una fedeltà alla realtà che si esige, da parte di noi credenti, per una motivazione ben più grande: si tratta dell’impegno della Chiesa nei riguardi del mondo.

La Chiesa di questo tempo sente di dover sperimentare l’umiltà di camminare tra problemi nuovi e, per questo, deve lasciarsi interpellare in modo speciale dal contesto attorno, che non è più quello di un tempo.

Il Concilio e il Giubileo ci hanno indicato, tra l’altro, come la Chiesa particolare può essere segno di speranza nel proprio territorio. Una Chiesa locale non ridotta a realtà amministrativa ed organizzativa, ma scoperta come contesto esistenziale fondamentale della vita cristiana, anche se ci troviamo sovente di fronte a comunità cristiane spente, integraliste, addirittura “fossili viventi” o musei.

Una Chiesa che si riconosce umana tra gli uomini; e se agli uomini deve annunciare le novità di Dio, dovrà farlo nella condivisione con la vita di tutti. Questa condivisione della Chiesa con il mondo, allora, diventa fondamentale non solo per avere una qualche speranza di futuro, ma soprattutto per la riscoperta teologica della realtà che ci sta dietro. La condivisione e l’integrazione organica, infatti, sono il modo di vivere della Trinità Santissima; e poi la condivisione è lo stile esistenziale adottato dal Figlio di Dio nella sua incarnazione. Nei giorni in cui percorreva le nostre strade, ha camminato tra gli uomini in veste di uomo comune, è stato nelle case della Palestina con parole e gesti semplici, insieme alle cose naturali degli uomini, come star seduto sull’orlo di un pozzo, accanto ad un secchio, come bere volentieri il vino alle nozze di Cana, come giocare coi bambini sulle piazze e stare volentieri con la folla di Palestinesi assetata di felicità.

Dunque, queste realtà e questi stili “fontali” devono “dare il La” ad ogni comunità cristiana, per accordare il proprio essere e il proprio operare. Ogni comunità cristiana deve preoccuparsi di porre la propria tenda nell’habitat umano, dove la gente conduce quotidianamente la propria esistenza. La Chiesa particolare, allora, diventa il luogo concreto in cui tutti i membri del popolo di Dio esistono ed esercitano la propria missione. Il luogo in cui Dio chiama e ognuno deve rispondere. In altre parole, il luogo vocazionale per eccellenza.

Le Chiese particolari sono «formate a immagine della Chiesa universale ed è in esse ed a partire da esse che esiste l’una ed unica Chiesa cattolica» (LG 23).

Dunque, il punto forte dell’impegno ad abbracciare la realtà e a partire da essa è la vocazione e dalla missione della Chiesa nel mondo ed insieme il modo con cui i diversi membri vi partecipano, perché essa è il luogo fondamentale dell’incarnazione. Ragionare ed agire in un’altra prospettiva è mettere in evidenza un grosso difetto di incarnazione e di ecclesiologia, oltre che correre il rischio di una fede disincarnata, un’evasione dalla realtà stessa, senza accettare di soffrire la carità dentro la storia. Per cogliere il senso della realtà con l’animo giusto, occorre incarnarsi, osservando e vivendo con la passione di chi vi è nato e vi abita; perciò sa apprezzare le grandi risorse che ci sono, frammiste a limiti più o meno vistosi, e desidera lasciare l’ambiente e la cultura migliori di come li ha trovati. È proprio su questo fondale, colto con l’occhio buono e profondo, che si possono rinforzare le fondamenta e costruire le cose nuove. E questo diventa anche una specie di liquido omeopatico, che permette di sciogliere i vari nodi intricati, compresi quelli della Pastorale delle vocazioni.

 

  1. Un osservatorio permanente

Dunque, da tutti i punti di vista, è importante anche per te, caro Direttore del CDV, impiantare un bell’osservatorio permanente a servizio del tuo centro diocesano. Occorre veramente riaprire le finestre della diocesi perché entri con forza e vigore la realtà, soprattutto giovanile, familiare, e l’andamento delle comunità parrocchiali. È impossibile e controproducente, oggi come oggi, partire con qualche iniziativa o lanciare delle proposte vocazionali senza rendersi conto della realtà e senza tararle con questa stessa situazione. Altrimenti esse si trasformano tutte in boomerang, che ti fanno piovere in testa e sullo stomaco terribili mazzate di delusione e di fallimento.

Osservatorio permanente? Come si fa?

I tuoi amici dell’ufficio/servizio di Pastorale Giovanile e quello della Famiglia avrebbero già dovuto aver allestito da qualche anno un loro osservatorio ed operare in questo senso e quindi, se l’hanno fatto, potrebbero fornirti le loro mappe interessanti.

Tuttavia, adesso tocca a te. Io ti suggerisco 4 passi che mi paiono fondamentali, per impostare questo osservatorio.

 

  1. Prima di tutto devi essere tu stesso molto convinto dell’importanza di questo osservatorio e quindi ben determinato nel volerlo attuare, perché ne hai compreso l’indispensabilità, altrimenti… farai cilecca e tutto si risolverà nell’incertezza, come per gli imprevisti del vulcano islandese. Coinvolgi insieme con te due-tre giovani collaboratori ben mentalizzati e determinati, che possano svolgere materialmente il lavoro necessario su tuo mandato.

 

  1. Occorre poi creare una rete di partners di informazioni. Uno per vicaria/decanato. Non è necessario che sia un prete o uno dei parroci. Forse, anzi, è meglio che sia un/a giovane laico/a con un minimo di preparazione intellettuale, ma con tanta buona volontà. La posta elettronica e i cellulari sono un ottimo strumento per comunicazioni veloci e contatti rapidi continui. Questi partner, una volta o due l’anno, devono presentarti una relazione schematica su una griglia da te inviata (cf il punto 3), che ti potrà fornire le informazioni necessarie per l’osservatorio.

 

  1. Occorre determinare una griglia/strumento da inviare a questi partners, perché sia tu che loro siate facilitati nel loro lavoro di reporters. Già nel n. 2/2009 di «Vocazioni» te ne avevo presentata una piuttosto generale, che, per il momento, potrebbe andare. Comunque te ne voglio offrire anche un’altra un briciolino più particolareggiata e complessa, ma più completa, che gioca sul valore delle percentuali (cf griglia nella pagina seguente).

 

  1. Raccogliendo tutte queste informazioni, potrai iniziare a disegnare la mappa dell’osservatorio vocazionale permanente della tua diocesi. Così, non solo ti cimenterai in qualche esercizietto di statistica, ma soprattutto sentirai la necessità e l’urgenza di aderire bene alla realtà, per adeguare le proposte e le iniziative giuste e proporzionali anche per quanto riguarda la Pastorale vocazionale.