N.04
Luglio/Agosto 2010

Ignazio di Loyola, educatore e formatore di testimoni

Ha scritto Benedetto XVI nel messaggio di quest’anno per la Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni: «La testimonianza personale, fatta di scelte esistenziali e concrete, incoraggerà i giovani a prendere decisioni impegnative, a loro volta, che investono il proprio futuro. Per aiutarli è necessaria quell’arte dell’incontro e del dialogo capace di illuminarli e accompagnarli, attraverso soprattutto quell’esemplarità dell’esistenza vissuta come vocazione».

È indubbio che nella storia della spiritualità cristiana Sant’Ignazio di Loyola rappresenta uno dei sicuri maestri di quest’arte dell’incontro e del dialogo, che illumina e accompagna verso le scelte di vita.

 

  1. Una figura geniale e controversa[1]

La figura di Sant’Ignazio di Loyola ha conosciuto nei secoli letture e interpretazioni diverse. Biograficamente è un contemporaneo di Lutero (1483-1546) e quando avviene la scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo (1492) compiva il suo primo anno di vita. Il suo itinerario si svolse quindi in un momento di grandi sommovimenti riguardanti la Chiesa e la stessa storia dell’umanità.

Alla sua morte – il 31 luglio 1556 – lasciava alla Chiesa una ricca eredità spirituale e un nuovo ordine religioso, la Compagnia di Gesù, che dal primo gruppo di undici, che nel 1540 si erano offerti al Papa, era passato in sedici anni a circa mille membri, suddivisi in dodici province e distribuiti in più di cento case, la maggior parte delle quali erano collegi e case di formazione.

Dopo la sua morte Ignazio fu visto soprattutto come il santo taumaturgo, una figura geniale, l’uomo dalle gesta eroiche, non senza eccessi trionfalistici (sec. XVII). Ma a partire dal secolo XVIII, sull’onda dei giudizi negativi degli ambienti giansenisti (vedi Le Provinciali di Pascal), si cominciò a parlare di “gesuitismo” come di un «meraviglioso ingranaggio nel quale l’uomo è ridotto a una rotella da girare a piacimento» (Jules Michelet, 1798-1874) e degli Esercizi Spirituali come dello strumento capace di «fare, in trenta giorni, di un uomo un estatico automa» (Edgard Quinet, 1803-1875). Non ci si meraviglierà più di tanto, allora, dell’accanimento contro i gesuiti nel XVIII secolo, espulsi dal Portogallo nel 1759, dalla Spagna e dalla Francia nel 1767 e soppressi da Papa Clemente XIV nel 1773.

Ignazio venne visto soprattutto come “l’anti-Lutero” per antonomasia (Leopold Von Ranke, 1796-1886), uno spirito dalle intuizioni geniali e dalle vedute grandiose, dotato di capacità di formatore e organizzatore (Heinrich Böhmer, 1896-1927).

Non mancarono certo anche giudizi positivi su di lui, come quelli formulati dal poeta tedesco Novalis (+1801). La pubblicazione nel 1896 (e poi nel 1934 in edizione critica) del suo Diario spirituale e nel 1904 (e poi nel 1943 in edizione critica) dell’Autobiografia o Racconto del pellegrino, aprirono la stagione di un nuovo interesse per Ignazio, con la scoperta dell’Ignazio mistico, l’Ignazio pellegrino alla ricerca della volontà di Dio, in una chiave meno volontaristica e più dinamica ed esistenziale. Furono meglio evidenziate le sue qualità di maestro nel campo del discernimento spirituale personale e comunitario, e le linee della sua psicologia e pedagogia.

È ormai evidente a tutti che solo tenendo insieme i suoi scritti – Esercizi Spirituali, Autobiografia, Diario spirituale, Costituzioni, Lettere – e le sue grandi iniziative di riforma della Chiesa, si può cogliere la ricchezza di una personalità così complessa e poliedrica come quella di Ignazio.

Quindi, se si è assistito a una vera “demitizzazione” di Ignazio, questo non è stato senza anche un reale guadagno per la comprensione della sua personalità e del suo carisma[2]. «Non appare, in fondo, inappropriato vedere nel libro del fondatore della Compagnia di Gesù un vero e proprio grande codice, anzitutto, della spiritualità cattolica successiva alla metà del XVI secolo e in particolare della direzione spirituale, e, in secondo luogo, dei modi e delle forme attraverso cui – e non solo in prospettiva confessionale – può essere pensata e articolata l’esperienza interiore e la sua pedagogia»[3]. Possiamo quindi affermare che il cosiddetto “segreto dei gesuiti” sta proprio in quella visione antropologica e in quella sapienza pedagogica che troviamo proposte in chiave mistagogica negli Esercizi Spirituali[4].

 

  1. La “missione” di Ignazio di Loyola

L’idea-chiave che attraversa l’itinerario ignaziano e la sua proposta mistagogica è che l’uomo trova la sua vera/reale libertà – e riconosce il cammino concreto di realizzazione del suo fine ultimo – proprio nella misura in cui entra in un rapporto di comunione/conformazione con Gesù Cristo e vi si lascia interamente riplasmare nel suo modo di pensare, volere e “sentire”.

La “consolazione” per Ignazio è il segno di una libertà che trova progressivamente la sua verità, sebbene essa stessa non sia ancora data in questa vita in maniera piena e definitiva, e, anzi, la stessa esperienza della “desolazione” sia preziosa al fine di custodire e promuovere una fede e un amore sempre più maturi.

Il Cristo da seguire è fondamentalmente, per Ignazio, il Cristo Servo del Padre, l’Inviato dal Padre nel mondo per compiere l’opera della salvezza percorrendo per amore la via della croce. Seguirlo, per Ignazio, è impegnare tutta la propria vita al suo servizio, è cooperare per amore alla sua missione di Redentore e quindi all’opera trinitaria in atto nel mondo.

Tale cooperazione si attua nell’obbedienza alle mozioni dello Spirito e quindi scegliendo quella particolare collaborazione e missione che Dio sceglie per noi, la cui autenticità è garantita dalla conformazione a Cristo povero e umile, e, insieme, dalla piena fedeltà alla Chiesa visibile e gerarchica, Sposa del Signore.

Colui che si fa così servo di Cristo per amore, mettendo a disposizione l’intera sua esistenza, considera una grazia immeritata poter cooperare all’opera della salvezza, stimandosi servo inutile, sempre pronto a riconoscere nel discernimento ogni cenno e volontà del suo Signore, per compiere ciò che in ogni situazione maggiormente dà gloria a Dio.

 

  1. Ignazio e l’accompagnamento vocazionale

Cercando di far emergere più specificamente l’attualità dell’insegnamento spirituale di Ignazio sull’accompagnamento vocazionale possiamo evidenziare alcuni apporti significativi.

1- Ignazio ha grandemente contribuito alla «evoluzione del significato di vocazione»[5], intervenuta nell’epoca moderna.

Nei secoli successivi a San Tommaso, partendo da una visione piuttosto statica della realtà e da una concezione essenzialistica e tendenzialmente “cosificata” della grazia nel pensare il rapporto uomo- Dio, la vocazione era intesa come una specie di decreto eterno che fissava in anticipo il futuro destino di colui che era chiamato, in termini prevalentemente individualistici.

Questa visione della vocazione aveva il merito di sottolineare il primato di Dio e della sua libera iniziativa, lasciando però in ombra o pensando in maniera piuttosto riduttiva il compito di ricerca e di attuazione del chiamato, e in più tendeva a leggere le vocazioni ai vari stati di vita come espressioni di gradi diversi nell’amore, trascurando l’importanza della storia concreta e della dimensione ecclesiale della vocazione.

Sant’Ignazio ha sviluppato una teologia della chiamata e dell’offerta di sé per amore, che integra la teologia degli stati di vita e dei gradi dell’amore[6]. La perfezione cristiana non consiste tanto in uno stato particolare (per es. quello dei consigli evangelici), ma nel modo con cui a monte ci si dispone alla chiamata di Dio con disponibilità incondizionata e docilità totale, e poi, una volta fatti il discernimento e l’elezione, si abbraccia la chiamata, pronti a mettere in gioco tutto se stessi per amore. È l’itinerario che va dal «Principio e fondamento» (E.S. 23) al «Sume et suscipe» della «Contemplazione per conseguire l’Amore» (E.S. 234).

«Da ciò si evince, anche per la Chiesa, un duplice compito mistagogico: quello di rendere possibile alla libertà di ogni battezzato un reale incontro con Cristo e una libera adesione a Lui nello Spirito e quello di raccogliere il frutto di questo incontro singolare che si apre a un dono per tutta la comunità cristiana»[7].

 

2- Con Ignazio e i suoi Esercizi Spirituali «viene definitivamente istituzionalizzato il ruolo del direttore all’interno del cammino di conversione interiore e/o di perfezionamento spirituale del credente. (…) L’aspetto storicamente innovativo della proposta del Loyola consiste nel sancire questa necessità di una guida non mediante una prescrizione teorica normativa, ma inscrivendo il ruolo del direttore in un quadro pratico, concreto e vissuto, rappresentato proprio dagli Esercizi Spirituali (…) Una volta uscito dagli Esercizi, l’esercitante avrà interiorizzato – sia pure in gradi e modalità differenti ma tuttavia attraverso un’esperienza personale e non astratta – un principio ben preciso. L’importanza se non anzi la necessità di avere una guida che lo assista nel suo percorso spirituale quotidiano»[8].

 

3- Nel libro degli Esercizi e nel metodo del Loyola si è fatta strada la scelta determinante, e in certo senso anticipatrice, di una vera “democratizzazione” dell’esperienza spirituale: «Il fatto che l’accesso agli Esercizi fosse aperto a tutti, ad ogni categoria sociale, comprese in particolare le donne, e ad ogni livello culturale. Non si tratta, anche in questo caso, di un’innovazione in senso assoluto, quanto del fatto che gli Esercizi non solo presentano un programma di ascesi, di preghiera e di meditazione complesso e raffinato, ma che lo pongono alla portata di qualsiasi credente. In chiave storica ciò significava, in maniera tacita e insieme strutturalmente esplicita, non considerare l’esperienza interiore (e le sue tecniche e metodi) una sorta di monopolio riservato ai professionisti della religione, come gli ecclesiastici e i teologi, i monaci o i frati, ma come un patrimonio comune a tutti i credenti, laici e religiosi, uomini e donne, senza distinzioni»[9].

 

4- Mettendo a frutto l’esperienza della sua conversione – segnata dalla lettura della Vita Christi e del Flos Sanctorum (un florilegio di vite di Santi) – per Ignazio l’incontro con Gesù avviene innanzitutto nella concretezza della sua vita narrata dal Vangelo. Di conseguenza Ignazio considera la Parola di Dio come una storia di persone con cui lui poteva identificarsi, con cui poteva colloquiare, su cui poteva misurarsi, che poteva immaginare mettendo in moto la sua sensibilità, la sua fantasia, i suoi gusti e i suoi sensi, una storia presente in cui prendere posizione, in cui decidere dove collocarsi. La storia della salvezza non era più relegata ad un lontano passato da contemplare con distacco per distillarne qualche massima generale o qualche citazione in appoggio a una teologia che usava la Bibbia per mostrare la propria ragione[10].

Così Sant’Ignazio contribuisce a far maturare la convinzione che per formare alle scelte cristiane occorre mettere a contatto con la storia della salvezza e in particolare con la storia di Gesù. Ne consegue un decisivo sviluppo di quel rapporto orante con la Parola di Dio che la tradizione spirituale chiama “lectio divina”, in quanto, secondo il Card. Martini – rispetto alla lectio divina monastica – Ignazio ne mette in luce «il carattere non semplicemente “edificante” (…) il suo sbocco pratico nella scelta di una forma di vita o in altre scelte qualificanti in cui e con cui servire il Signore nella Chiesa visibile». In questo modo si fa sempre più strada la convinzione che la successione completa della lectio divina «comprende: lectio, meditatio, oratio, contemplatio, consolatio (o il suo contrario, cioè desolatio), discretio, deliberatio», proprio perché la consolazione o la desolazione suscitate dalla Parola, che nascono dal primo quadrinomio e a cui Ignazio «attribuisce molta importanza», rendono possibile «quel discernimento spirituale a partire dal quale si attua la deliberazione, la scelta in vista dell’azione»[11].

 

5- Ultimo aspetto degno di nota per l’accompagnamento vocazionale è l’educazione di Ignazio a riconoscere una stretta connessione tra ispirazione spirituale autentica e obbedienza ecclesiale. Proprio in un periodo «in cui la concezione della libertà vive una trasformazione radicale ed il concetto di autorità medievale si frantuma, egli permane sulla “via stretta” della libera obbedienza nella Chiesa. Tale scelta di perfetta sintonia con la stessa gerarchia non lo condurrà, però, ad un servilismo acritico»[12].

Come ha affermato De Lubac: «Il genio di Ignazio, e più ancora la sua grazia, fu di aver affermato potentemente, alle soglie dell’età moderna, il legame tra la Chiesa e lo Spirito. (…) Ignazio è sfuggito alla trappola della pura interiorità, ed è divenuto un gigante nella stirpe degli uomini della Chiesa (…) e uno dei più grandi anche tra i maestri spirituali»[13].

Per Ignazio si dà autentica ispirazione solo tenendo insieme il «sentire cum Cristo» e il «sentire cum Ecclesia», perché è sempre lo stesso Spirito che guida la rivelazione e guida la Chiesa. Egli attua quindi un vero e proprio discernimento epocale, paragonabile a quello di Francesco d’Assisi di fronte alle istanze dell’evangelismo pauperista: un atto di fede nell’unità dello Spirito Santo che regge l’unico Corpo mistico di Cristo, Capo e membra, Sposo e Sposa[14].

 

4- Accompagnare, ossia formare testimoni Ignazio è vissuto a cavallo tra due epoche. In lui riscontriamo un animo segnato dal tipico spirito cavalleresco medievale, ma anche una straordinaria sottolineatura del valore della libertà, tipica della sensibilità nuova che si stava sviluppando, libertà da lui intesa addirittura come cifra sintetica dell’essere umano: «Prendi, Signore, e accetta la mia libertà…» (E.S. 234).

Possiamo quindi vedere in Sant’Ignazio un dono provvidenziale dello Spirito alla Chiesa per affrontare la svolta della modernità, anche al di là della sua stessa percezione degli sviluppi che ci sarebbero stati.

In un’epoca di frantumazione dell’unità politica e religiosa dell’Europa a causa della crescita dei nazionalismi e della riforma protestante e con i cambiamenti che man mano stavano avvenendo a partire dalla scoperta delle Americhe, Ignazio ha compreso che ciò che è decisivo sono la fedeltà e la maturità cristiane, basate sull’arte del discernimento della volontà di Dio e non più su un puro adeguamento agli ordines sociali e ai rispettivi modelli culturali.

“Aiutare le anime” ossia accompagnare nella crescita di fede, per Ignazio non significa quindi, nonostante certe letture unilaterali e riduttive del suo messaggio che la storia ha conosciuto, indurre a comportamenti virtuosi con la forza del controllo e della disciplina, ma educare il cuore dell’uomo al discernimento, cioè a sintonizzare il proprio “sentire” con quello di Cristo, per imparare a riconoscere in ogni circostanza concreta e mutevole Dio che è all’opera e aderire alla sua volontà liberando la generosità del cuore nell’amore.

Sant’Ignazio di Loyola costituisce quindi un riferimento assai prezioso per gli animatori vocazionali e gli accompagnatori spirituali.

Il loro compito alla scuola di Ignazio è quello di formare testimoni, cioè cristiani maturi capaci di vivere la propria appartenenza a Cristo nella Chiesa con fedeltà creativa in un mondo plurale, in cui i valori e i comportamenti evangelici non sono in partenza garantiti da nessun ordinamento né sostenuti dalla maggioranza della società, ma sono resi possibili dall’apprendimento dell’arte del discernimento spirituale.

 

Note

[1] Cf F. Castelli, Per lui amore o odio mai indifferenza, in «Jesus» 1990, n. 10, pp. 42-44.

[2] Cf I. Iparraguirre, Desmitificacion de san Ignacio. La imagen de san Ignacio en el momento actual, in «Archivum Historicum S.J.» 41 (1972), pp. 357-373.

[3] Cf J. Thomas, Il segreto dei gesuiti. Gli Esercizi Spirituali, Piemme, Casale Monferrato 19882 (orig. 1984), p. 192.

[4] H.U. Von Balthasar, Vocazione, Rogate, Roma 2002, p. 13.

[5] Ivi, p. 16: «Per chiarire la natura del Vangelo nella sua essenza, fa precedere tutte le meditazioni sulla vita di Gesù da una parabola di chiamata (…) dalla quale, in crescendo, e con l’uso di termini centrali del Nuovo Testamento, viene spiegata la missione di Cristo».

[6] A. Bonora, Libertà nell’obbedienza. Per una fenomenologia della libertà e mistagogia dell’obbedienza in Ignazio di Loyola, in «Ignaziana» 1 (2006), p. 38.

[7] G. Mongini, Devozione e illuminazione. Direzione spirituale e esperienza religiosa negli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, in G. Filoramo (ed.), Storia della direzione spirituale. III. L’età moderna (a cura di G. Zarri), Morcelliana, Brescia 2008, p. 249.

[8] «A partire dalla stanza dove l’illustre malato si annoiava aspettando la sua completa guarigione, la Parola di Dio diveniva una provocazione per la sua vita, facendogli balenare nuovi scenari, nuove imprese, nuove possibilità di vittoria e di gloria. Cristo era un personaggio vivo, un Re che lo invitava a mettersi dalla sua parte per continuare la storia della salvezza dell’umanità infedele (cf E.S. 93)» (P. Bizzeti, Annuncio della Parola e dinamica spirituale negli Esercizi ignaziani, Conferenza tenuta al Seminario di Bologna, 26 novembre 2002).

[9] C.M. Martini, La figura spirituale di sant’Ignazio. Attualità degli Esercizi, in «Rivista del Clero Italiano» 73 (1992), p. 9.

[10] Cf H. De Lubac, La Chiesa e lo Spirito negli «Esercizi spirituali», in Paradosso e mistero della Chiesa, Jacka Book, Milano 1979, p. 112.

[11] C.M. Martini, op. cit., p. 9.

[12] A. Bonora, Libertà nell’obbedienza. Per una fenomenologia della libertà e mistagogia dell’obbedienza in Ignazio di Loyola, in «Ignaziana» 1 (2006), p. 39.

[13] H. De Lubac, op. cit., p. 112.

[14] Cf Regole per il retto sentire nella Chiesa militante, in particolare E.S. 353.365.