N.06
Novembre/Dicembre 2010

Quali linee progettuali per la formazione del direttore CDV?

C’è un criterio fecondo ed ampio nell’ottica ecclesiale, a cui vorrei ispirarmi e che a noi si è proposto come tema del cammino di sensibilizzazione vocazionale delle nostre co­munità cristiane per questo anno 2010: “La testimonianza suscita vocazioni”.

«Nel mondo di oggi, come nei difficili tempi del Curato d’Ars, occorre che i presbiteri nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimo­nianza evangelica. Ha giustamente osservato il Papa Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”.

Perché non nasca un vuoto esistenziale in noi e non sia compromes­sa l’efficacia del nostro ministero, occorre che ci interroghiamo sempre di nuovo: “Siamo veramente pervasi dalla Parola di Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa Parola al punto che essa realmente dia un’impronta alla nostra vita e formi il nostro pensiero?».

Per essere dei maestri-testimoni, dei suscitatori di appelli di chia­mata, occorre prima essere discepoli di Gesù.

Il vero problema in cui oggi ci si dibatte è la perdita di punti di riferimento: un senso di amnesia costante nei confronti di ciò che può davvero essere significativo e che ci riporta alle radici della no­stra identità.

È importante riscoprire, quindi, la via della martyrìa: essere te­stimoni trasparenti, credibili, efficaci (che è ben diverso da efficien­ti…), di un senso di vita trovato, assunto, vissuto!

La martyrìa consiste innanzitutto nella scoperta di “volti”: il no­stro e quello degli altri. È la logica della alterità, presente in Martin Buber, Emanuel Lévinas, Hans Jonas[1].

La madre è il volto che fa gustare l’amore, anche nelle sue mo­dalità più concrete, fatte di piccole attenzioni e accoglienze, che si prende cura di ogni vita. Un volto che non può nascondere i sacri­fici assunti e vissuti per amore e con amore. Con Gesù, è lei il volto che ti ama e ti fa amare la vita con le cose belle che essa propone!

Da tutto ciò nasce una conseguenza molto concreta: nella vita di tutti i giorni ciascuno di noi può fare mille cose diverse, ma è im­portante che io sappia ritornare in me stesso e trovare dei momenti che la comunità mi offre, anche nell’ordinario cammino settima­nale, per vivere la via della teshuvàh, così cara al mondo ebraico: essa è la via del “rientrare in se stessi”, per recuperare – mi si passi l’espressione legata al mondo musicale… – il proprio centro di gra­vità permanente[2].

 

  1. Quale martyrìa per l’impegno del direttore CDV, oggi?

C’è una particolare forma di martyrìa che può divenire stimolo e provocazione preziosa da cogliere e da accogliere: una presenza che si fa innanzitutto ascolto, accoglienza, proposta, disponibilità, entrando in quei contesti di vita dove le persone vivono e si ritro­vano, se vogliamo, con un occhio di riguardo alla realtà del mondo giovanile.

Questo è un aiuto concreto per cogliere i loro bisogni più profon­di e poterli orientare verso un “cammino di vita” non precostituito, secondo le nostre aspettative, ma aperto a 360°[3].

– Una presenza che è difficile da vivere, perché richiede molta gratuità.

– Una presenza che sa farsi stile di vita, denso di preghiera e di impegno nel dono di sé.

– Una presenza intrisa di prossimità verso chi ha bisogno del mi­nistero della consolazione, per coloro che sono sfiduciati e smarriti e sentono più forte una necessità di compagnia.

Il benessere che spesso ci avvolge, porta a non saper più sele­zionare quello che può essere utile e veramente indispensabile, da quanto invece è del tutto effimero ed inutile.

Così si perde un’arte fondamentale della vita, uno degli elementi che costituisce la vera “sapienza del cuore”: la fatica dello sforzo per la ricerca, per la conquista di qualcosa di importante e insieme anche il senso della pazienza che impara ad aspettare, a cogliere i momenti opportuni e propizi, che non porta a vivere il tempo come se tutto dovesse compiersi in quel preciso istante di vita, senza possibilità di dilatare le proprie scelte in uno spazio più calmo, più riposante e quindi anche più vero[4].

 

  1. Guarire noi stessi per guarire gli altri

Ma c’è anche un altro tipo di sofferenza, oltre a quella della malattia fisica, che ti fa sentire spesso angosciato e impotente: sono le paure e i blocchi interiori, le paralisi del cuore e della volon­tà, quando tutto dentro di te invoca serenità e pace, mentre tu vivi invece i momenti dell’incertezza, del buio, dell’inquietudine e dell’angoscia.

Oggi molte persone sono come paralizzate, bloccate, non rie­scono ad uscire da se stesse, soffrono di inibizioni e di insicurezze.

Spesso la fede può diventare una via per vincere queste insicurez­ze… Gesù, prima di guarire il paralitico, di cui ci racconta il Vangelo di Marco (2,1-12), gli perdona i peccati. La prima cosa da fare è cambiare l’atteggiamento dello spirito. Spesso le false aspettative causano le nostre insicurezze: vogliamo essere perfetti e abbiamo paura di fallire. Dobbiamo imparare “a sillabare in modo nuovo i presupposti fondamentali della vita”, soprattutto la nostra creatura­lità e la nostra fragilità.

Un presupposto che ci paralizza è: non devo sbagliare, altrimenti non valgo niente… non devo fare brutta figura, se no sarò rifiutato.

Ci sono in noi delle leggi mortifere del Super-Io che fanno mo­rire il nostro Sé con la sua fiducia e anche il Cristo che è in noi: i giudei dicono a Pilato: «Noi abbiamo una legge e in base a questa legge deve morire!» (Gv 19,7). Il perdono dei peccati ci libera da queste leggi di morte.

Il paralitico non sa se è davvero guarito, ha però il coraggio di alzarsi, come a dire che egli si relaziona in modo diverso con la sua paralisi, pur fidandosi di una parola di Gesù che lo perdona prima di guarirlo. Potremmo continuare a convivere con le nostre insicu­rezze e inibizioni e andare in giro per la vita con esse: questa è vera guarigione.

Non esiste una bacchetta magica per vincere l’insicurezza: è la nostra concezione di vita che va messa in discussione. Occorre non occuparci subito dei sintomi, ma delle cause e avere una visione di vita che mi consenta anche di avere debolezze e inibizioni. Si tratta di convivere con queste insicurezze e di portare il proprio lettino sotto braccio.

Noi ci sentiamo insicuri quando non veniamo a capo di un pro­blema, quando incontriamo varie resistenze che ci paralizzano, quando non abbiamo successo. Siamo invitati ad alzarci e a percor­rere la nostra strada con Gesù, nonostante insicurezze e timori vari. La vera cura di noi stessi avviene in questo incoraggiamento a rial­zarsi, nel liberarci dall’illusione del perfezionismo, nel permettere la debolezza e una condizione umana ove do il permesso di accesso a ciò che mi rende pauroso ed insicuro.

Dove c’è Amore, inizia la via della guarigione.

 

  1. Testimoni ed educatori del Vange­lo della vocazione

Il tema della “testimonianza – martyrìa” è stato un elemento ri­petutamente evocato nel cammino di riflessione e di interscambio di questi giorni.

Ma come possiamo essere una testimonianza “vera e credibi­le”… per non essere modelli senza valore e per non proclamare valori senza modelli?

– Una testimonianza autentica sgorga come sorgente di acqua cristallina da…

* una profonda amicizia con Gesù;

* il dono totale di sé nella gratuità;

* il vivere l’arte della comunione.

– Compito fondamentale di un direttore del CDV è riprendere le parole di Gesù rivolte a Pietro: «Tu sei Simone…». È fondamen­tale lavorare sulla nostra identità, perché il nostro servizio aiuti «le tante persone in cerca di autore a ritrovare la propria identità». Tutto ciò domanda uno sguardo capace di vedere la realtà con positività e di infondere fiducia.

– L’icona del seminatore ci porta a focalizzare più il momento della semina che non quello della mietitura. Ci porta a credere che il seme cresce liberamente, senza forzature né ricatti affettivi.

– Ci porta a pensare il nostro ministero come una danza (cf in proposito il quadro Le danse di Henri Matisse), in cui i passi dei pro­tagonisti sono eguali, ma ognuno conserva la propria essenziale au­tonomia di movimento. Nulla più della danza esprime il senso della coralità dei movimenti.

– Per essere credibili ed entrare in sintonia con la sen­sibilità delle persone e dei giovani, occorre privilegiare la via dell’ascolto: biso­gna “perdere più tempo” ad ascolta­re i problemi della gente, dei gio­vani, che talvolta si ritrovano ac­canto padri assenti e madri an­siose e iperprotettive e non hanno interlocutori adulti affidabili. Nel caos di eventi spes­so segnati da negatività e violen­za, siamo chia­mati a proporre la nostra esperienza cristiana, a par­larne e a vivere la gioia dell’in­contro con Gesù.

– Nell’accompagnamento e nella testimonianza vocazionale è essenziale riscopri­re la forza e la grazia del dono della “consola­zione”, rimanendo accanto all’altro per donare un po’ di speranza. Per fare ciò non basta essere testimoni gioiosi: ci vuole un cuo­re riconci­liato, in pace con se stesso e meno fram­mentato. E non è sempre facile riannodare i mille fili spezzati che a volte ci ri­troviamo tra le mani.

– Siamo chiamati ad essere una Chiesa di “martiri e di santi” nel quotidiano, capaci di vivere la “martyria della luce” per rendere te­stimonianza alla luce incontrata nella nostra vita: Gesù. Non dob­biamo limitarci ad essere degli esperti di ombra, ma a vivere come lampade accese che valgono ben più delle maledizioni che salgono dalle tenebre.

– Siamo chiamati ad essere “martiri di vita”: Gesù comunica la vita e la dona in abbondanza, perché sia una vita spesa nella pie­nezza della libertà e della speranza. Ciò richiede di saper costruire anche sopra le nostre fragilità e debolezze, sapendo che in ogni fe­rità c’è un filone d’oro da scoprire.

– Siamo chiamati ad essere «martiri della gioia e della fatica». Lo affermava con forza don Lorenzo Milani: «Tutto è speranza, perché tutto è fatica». Solo allora il cuore saprà narrare il suo stupore e la sua meraviglia non per un miracolo donato, ma per i mille giorni senza miracoli in cui il Signore, rimanendoci accanto, ci ripete sempre il suo «non temere, perché io sono con te!».

Così, il nostro servizio di animazione-coordinamento vocazio­nale sarà tanto più efficace – seppur non sempre efficiente – nella misura in cui saremo innamorati della nostra vocazione, ma capaci di cogliere in profondità la bellezza di tutte le altre vocazioni.

Tutto ciò richiede…

* Umiltà: è la consapevolezza della propria povertà e del proprio limite.

* Gratuità: per farci costantemente memoria che “tutto è grazia”.

* Passione: come full immersion nella promessa che, come affer­ma il grande scrittore russo Fëdor M. Dostoevskij (1821-1881) nel suo romanzo L’idiota, «Non la forza, ma la bellezza, quella vera, salverà il mondo»

Possiamo allora aiutarci con le parole di P. Davide Maria Turoldo:

«Mai la stessa onda si riversa nel mare

e mai la stessa luce si alza sulla rosa:

né giunge l’alba che tu non sia già altro».

 

«Siate seminatori di fiducia e di speranza. È infatti profondo il senso di smarrimento che spesso vive la gioventù di oggi. Non di rado le parole umane sono prive di futuro e di prospettiva, prive anche di senso e di sapienza. Si diffonde un atteggiamento di impa­zienza frenetica e una incapacità a vivere il tempo dell’attesa. Ep­pure, questa può essere l’ora di Dio: la sua chiamata, mediata dalla forza e dall’efficacia della Parola, genera un cammino di speranza verso la pienezza della vita. La Parola di Dio può diventare vera­mente luce e forza, sorgente di speranza, può tracciare un cammino che passa attraverso Gesù, “via” e “porta”; attraverso la sua Croce, che è pienezza d’amore»[5].

Ci sono molte risorse umane e spirituali che rimangono ancora inespresse e gli stessi consacrati, animatori e animatrici vocazionali, non ne hanno piena consapevolezza; ma tutto ciò richiede di fare scorta di una buona riserva di fiducia.

In un mondo spesso segnato dalle enfatizzazioni mediatiche, sia­mo chiamati a narrare ai giovani la parte più significativa e profon­da della nostra esperienza di vita e di incontro con il Signore.

E la nostra testimonianza sarà davvero persuasiva se, con gioia e verità, saprà raccontare la bellezza, lo stupore della vita e la meravi­glia donata a quanti sono innamorati di Dio.

Per questo vorrei ripetere ai vostri cuori, come un auspicio ed un augurio alla fine di questo Ritiro, le parole che Gesù dice al sor­domuto: «Effatà: apriti», per poter ascoltare e parlare nel nome del Signore (Mc 7,31‑37).

Vivendo nel cuore e nella vita una profonda certezza fondata sulla Promessa: la nostra fragile umanità e fedeltà all’Amore‑Servi­zio trova radici salde nella prossimità di un Dio fedele.

 

Alcuni input per favorire una riflessione personale o nella équipe del CDV per un lavoro di formazione permanente

1) Quali possono essere gli aiuti, a livello personale, per un cam­mino costante di autoformazione che coinvolga il direttore e la pro­pria équipe del CDV?

2) Cosa emerge di più significativo in questo personale cammino di formazione?

3) Quali le difficoltà, le resistenze, le paure presenti in questo servizio nella propria Chiesa locale?

4) Quanti aiuti significativi si possono individuare per un cam­mino di formazione a livello di chiesa locale?

5) Quali suggerimenti possono aiutare il centro regionale voca­zioni per un cammino formativo permanente?

 

Note

[1] Molto suggestiva l’opera di M. Buber, Il cammino dell’uomo, Qiqajon, Bose 1990.

[2] Cf N. Dal Molin, Verso il Blu. Lineamenti di psicologia della religione, Edizioni Messaggero di Padova, Padova 2001, pp. 102-108.

[3] Vorrei porre qui l’attenzione al grande tema del “discernimento”. Un aiuto molto valido lo si può trovare nei due testi di M.I. Rupnik, Il discernimento. Prima parte: Verso il gusto di Dio, Lipa, Roma 2000; Il discernimento. Seconda parte: Come rimanere con Cristo, Lipa, Roma 2002; cf anche P. Schiavone, Il discernimento. Teoria e prassi, Paoline, Milano 2009; utile anche il testo di M. Costa, Direzione spirituale e discernimento, ed. Apostolato della Preghiera, Roma 2009.

[4] Una rilettura di questa tematica, alla luce dei profondi cambiamenti tipici del mondo giova­nile, viene recentemente proposta da A. Castegnaro (a cura di) – Osservatorio socio-religioso del Triveneto, “C’è campo?”. Giovani, spiritualità, religione, Marcianum Press, Venezia 2010; cf anche F. Garelli, I pendolari dall’identità flessibile, in «Vita Pastorale» n. 7/2000, pp. 116-119.

Potrebbe essere interessante fare qualche applicazione concreta anche al mondo adolescen­ziale, alla luce di alcuni interessanti riferimenti bibliografici: G. Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti, Cortina, Milano 2000; S. Vegetti Finzi – A.M. Battistin, L’età incerta, Mondadori, Milano 2000.

Uno studio sempre coinvolgente, in chiave di lettura psicodinamica del «pianeta preadole­scenziale e adolescenziale», è quello di F. Dolto, Adolescenza, Mondadori, Milano 1990.

[5] Dal discorso del Papa in occasione del Convegno Vocazionale Europeo, 4 luglio 2009.