N.06
Novembre/Dicembre 2010

Uomini di Dio

Il film racconta un fatto realmente avvenuto in Algeria nel 1996: l’uccisione di sette monaci trappisti che vivevano nel monastero di Tibhirine, nell’Atlante algerino.

 

Cenni storici sulla guerra civile in Algeria – Nel 1990 le elezioni amministrative furono vinte con il 54% dal Fronte Islamico di Sal­vezza (FIS) di Abassi Madani e Ali Belhadj. Lo stesso movimento si aggiudicò anche il primo turno delle successive elezioni politiche (26/12/1991).

Prima del secondo turno, che molto probabilmente avrebbe por­tato al governo il FIS con la possibilità di modificare la costituzione laica, l’esercito prese il potere con un colpo di stato l’11 gennaio 1992. Il controllo del paese fu così esercitato da una giunta militare (“Supremo Consiglio di Sicurezza”).

Ne seguì un periodo di repressione, caratterizzato dalla censura dell’informazione, dagli arresti di natura politica e dall’incarcerazio­ne di migliaia di militanti del FIS.

Nacquero così il Movimento Islamico Armato (MIA), che praticò la guerriglia contro l’esercito e la polizia, e il più radicale Gruppo Islamico Armato (GIA), che diede inizio al terrorismo contro i fun­zionari civili e, più tardi, anche contro la stessa popolazione.

Furono sterminati interi villaggi, soprattutto vicino ad Algeri, e uccisi, tra l’altro, diversi preti e frati cattolici.

Il caso dell’uccisione dei monaci di Tibhirine, che il film rievoca, è ancora aperto e, dal 2003, se ne occupa la corte francese. Il quo­tidiano cattolico La Croix ha spesso pubblicato gli atti processuali e, inoltre, il testamento spirituale del priore che è stata una delle fonti ispirative del film.

Inoltre la Comunità di Bose ha pubblicato, già nel 1996 e di nuo­vo nel 2006, lettere e documenti dei monaci uccisi (Più forti dell’odio, Ed. Qiqaion, a cura di Guido Dotti e Enzo Bianchi).

 

Il regista Xavier Beauvois, nato in Francia il 20 marzo 1967, la­scia il liceo prima della maturità e va a vivere a Parigi con la speran­za di entrare nel mondo del cinema. Dopo alcune delusioni, ha la fortuna di diventare il secondo aiuto regista del grande Manoel de Oliveira nel film Mon cas(1986). Realizza il suo primo lungometrag­gio, Nord (1991), che avrà un grosso successo di pubblico e di criti­ca. Nel 1995 firma un altro successo, N’oublie pas que tu va mourir, che vince il Premio della Giuria al Festival di Cannes, e, nel 2005, realizza Le petit lieutenent, che ottiene il Label Europa Cinemas.

Beauvois, che non si dichiara credente, dimostra con questa sua ultima opera, Des hommes et des Dieux, grande rispetto e sincera am­mirazione per la scelta di fede dei monaci trappisti: «È la scelta mo­rale che rende universale questa storia. Grazie a Etienne Comar (il produttore cattolico che ha fortemente voluto il film, ndr) che mi ha suggerito di occuparmene proponendomi la prima stesura della sceneggiatura, mi sono immerso nella vita di questi frati e mi sono lasciato sorprendere. In una società egoista come la nostra è raro trovare persone che si interessano agli altri, che vivono nell’essere piuttosto che nel fare. Persone intelligenti, curiose della bellezza altrui, tolleranti. Persone che costruiscono una chiesa cristiana tra i musulmani e si occupano di loro»1.

 

La vicenda – Otto monaci cistercensi francesi vivono da tempo nel monastero di Tibhirine, tra i monti del Maghreb. La loro è una vita serena, a contatto con la popolazione musulmana del villaggio che è sorto attorno al monastero. I monaci pregano, lavorano e si dedicano alla cura degli abitanti, fornendo loro medicine, vestiario e consigli. Il rapporto è ottimo e i monaci partecipano anche alle feste religiose dei musulmani in un clima di autentica comunione, nonostante la diversità di religione.

Ad un certo punto, però, giungono notizie preoccupanti: i terro­risti della GIA stanno intensificando le loro azioni violente, coinvol­gendo anche persone civili e gli stranieri residenti in Algeria. I mo­naci sono preoccupati, soprattutto dopo un’incursione dei militanti islamici al monastero in cerca di medicine. Sono incerti sul da farsi e ciascuno di loro esprime la propria opinione. Alcuni vorrebbero andarsene, altri aspettare, altri rimanere. Dopo aver a lungo medi­tato, i monaci decidono unanimemente di rimanere fedeli alla loro missione e di non arretrare di fronte al pericolo. Sei di loro, più un confratello appena arrivato al monastero dal vescovado a portare rifornimenti, verranno prelevati dai terroristi e verranno ritrovati morti. Solo due, che si erano nascosti, riusciranno a salvarsi.

 

Il racconto – Per evitare inutili ripetizioni, si è preferito sintetiz­zare al massimo la vicenda, per poi recuperare parte del materiale narrativo all’interno dei modi del racconto. La struttura del film è lineare e divide la vicenda in alcuni grossi blocchi narrativi. Le pri­me immagini forniscono già una chiave di lettura del film, con­ferendo a tutta l’opera una connotazione profondamente religiosa. Sono costituite dalle parole del Salmo 82 (81): «Io ho detto: “Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo”. Eppure morirete come ogni uomo, cadrete come tutti i potenti».

 

Prima parte – È dedicata a introdurre i protagonisti del film, gli otto monaci, immersi nella quotidianità della loro vita. È significa­tivo che la prima cosa che viene evidenziata sia il suono della cam­pana e il loro ritrovarsi nella cappella per la preghiera e per il canto di lode. Se ne vedono solo sette, ma l’ottavo, frère Luc, appare su­bito dopo, intento a controllare le medicine. Luc è il medico che si prende cura dei malati, arrivando anche a visitare 150 persone al giorno che fanno la fila davanti al suo “ambulatorio”, ed è il primo che viene presentato individualmente: cura una ferita alla fronte di una bambina e poi fornisce a lei e alla madre delle scarpe in buono stato. I monaci passano il loro tempo, oltreché a pregare, a studiare e ad eseguire i lavori necessari per il loro sostentamento: la cura dell’orto, le pulizie, la preparazione del miele che verrà poi venduto al mercato, ecc. Comincia ad essere evidenziata anche la bella figura del priore, frère Christian de Chergé, che tanto peso avrà nel consi­gliare e guidare i suoi confratelli. È importante notare che Christian viene presentato mentre si trova nel suo studio mentre scrive: tra i vari libri spiccano, significativamente, il Corano e i Fioretti di San Francesco.

In un secondo momento i monaci partecipano ad una festa del villaggio alla quale erano stati invitati. Si uniscono ai loro “fratelli musulmani” in un clima festoso e pieno di gioia: si chiacchiera, si ride, si ascoltano le parole dell’imam (tra queste: «…Noi non faccia­mo alcuna distinzione tra i suoi messaggeri…») alle quali i monaci rispondono «amen».

Più tardi frère Luc è a colloquio con una ragazza, che dà una mano al monastero. La giovane vuole sapere come si fa ad accor­gersi quando si è innamorati: il monaco l’ascolta e le dà dei con­sigli. Poi, di fronte alla domanda della ragazza, afferma di esse­re stato anche lui innamorato diverse volte nella vita, ma di aver trovato poi un altro amore ancora più grande e di aver risposto a quell’amore.

In seguito frère Luc aiuta una donna a compilare un modulo e le promette di portarla con loro in città per farsi delle fotografie neces­sarie per l’espletamento della pratica.

Questa prima parte mette dunque in risalto la perfetta in­tegrazione dei monaci nella comunità locale, il loro prodigarsi a fa­vore dei fratelli in vari modi e sotto varie forme, la loro dedizione alla preghiera, allo studio e al lavoro.

 

Seconda parte – Cominciano a manifestarsi segni di pericolo. Il capo villaggio racconta a frère Christian di una ragazza che è stata pugnalata su un pullman perché non portava il velo e che vengono uccisi perfino degli imam. E commenta: «Dicono di essere musul­mani, ma non hanno neanche letto il Corano». «È una novità… non ci capiamo più niente», commenta un altro. Christian ascolta attentamente e promette di pregare per loro.

Ma poco tempo dopo avviene una strage: alcuni operai croati che lavoravano in un cantiere vengono barbaramente assassinati. I monaci, che erano loro amici, apprendono la notizia con preoccu­pazione ed angoscia. Dopo tale episodio, il prefetto offre al mona­stero una protezione militare, ma il priore rifiuta decisamente: le armi davanti al monastero vanno contro la scelta di pace e di amore compiuta dai religiosi.

E qui avviene un fatto nuovo: evidentemente la paura incomin­cia a fare effetto. I monaci contestano al priore la scelta fatta senza consultare nessuno di loro. Christian afferma che non vuole stare sotto la protezione di un governo corrotto, ma i suoi confratelli spo­stano il discorso sul metodo da lui adottato, quello cioè di decidere da solo. È una piccola contestazione, ma che fa capire che questi monaci sono anche degli uomini, con le loro paure e la loro fragili­tà. Ci si domanda che cosa è meglio fare. Per il momento tentano di chiudere bene le porte e il cancello.

Ciò che emerge da questa seconda parte è dunque l’umani­tà fragile di questi monaci, che, di fronte al pericolo, si spaventano e arrivano a contestare, seppur in forma leggera e in riferimento al metodo, il proprio priore.

 

Terza parte – Vanno intensificandosi i segnali di violenza (le im­magini dei massacri in TV, i blocchi stradali). Nel frattempo i monaci continuano nelle loro attività quotidiane (la semina, l’ascolto delle letture durante la colazione) e, in modo particolare, si preparano a celebrare la notte di Natale. Ma, improvvisamente, avviene un’ir­ruzione dei terroristi nel monastero che chiedono l’intervento del dottore e delle medicine per i loro compagni feriti. Qui emerge la grande statura morale del priore, che, con grande determinazione e fermezza, riesce a dettare le proprie condizioni. Innanzitutto chiede ai terroristi di abbandonare le armi: «Questa è una casa di pace; qui non si entra con le armi. Se ci volete parlare le dovete lasciare fuori dal monastero… per favore». Di fronte al loro rifiuto, ribatte: «Allora andiamo a parlare fuori». Frère Christian non accetta le loro richieste: il dottore è vecchio e non può lasciare il monastero; le medicine scarseggiano e servono per gli abitanti del villaggio. Di fronte al piglio minaccioso del capo dei terroristi, Christian recita le parole del Corano: «Tra di loro troverai alcuni che sono disposti ad amare i credenti… ci sono tra di loro dei preti e dei monaci…»; «…dei preti e dei monaci che non hanno alcuna superbia…», continua il capo; «…e per questo siamo simili ai nostri vicini», conclude il priore. Questa comune conoscenza del Corano stempera il clima di ostilità e i terroristi stanno per andarsene. Ma il priore fa presente che per loro quella è una notte speciale, la notte in cui si festeggia la nascita del «principe della pace»; «Gesù», osserva il capo. Che, inaspettatamente, chiede scusa e porge la mano al priore. Questi, seppur con titubanza, gliela stringe. È un momento di grande in­tensità che esprime la possibilità di trovare nelle parole ispirate un punto d’incontro, nonostante la grande diversità, tra persone di buona volontà.

La celebrazione del Natale è vissuta intensamente alla luce delle parole: «Niente esiste salvo l’amore… salvo l’amore che si manife­sta». E il Bambinello viene posto nel presepio.

Certo, lo choc che i monaci hanno provato è stato forte e questo determina varie reazioni. Si discute animatamente. Uno afferma di essersi fatto monaco per vivere e non per farsi sgozzare; un altro dice che bisognerebbe partire e andare in una regione più sicura; uno osserva che c’è il pericolo, andandosene, di lasciare il villaggio in mano ai terroristi; Christian sentenzia: «Il buon pastore non ab­bandona il suo gregge nel momento in cui arriva il lupo». Ciascuno è chiamato a decidere. Ed ecco le varie posizioni:

Jean Pierre: «Dobbiamo restare»; Paul: «Credo che si debba an­dar via un po’ alla volta»; Célestin: «Io sono malato; voglio andare via»; Luc: «Partire è morire; io resto»; Michel: «Nessuno mi aspetta da nessuna parte, io resto»; Amedée: «Non lo so; bisogna pensar­ci e pregare insieme»; Christophe: «Io penso che dobbiamo an­darcene»; conclude Christian: «Sono d’accordo con Amédée; penso che sia prematuro decidere». Alla fine decidono di soprassedere e di ascoltare il consiglio di Amédée.

 

Questa terza parte evidenzia la grande forza morale del prio­re, ma anche le debolezze di alcuni che ora non contestano soltanto il metodo, ma arrivano a mettere in discussione, di fronte al perico­lo incombente, le stesse loro scelte.

 

Quarta parte – Christian esce dal monastero e passeggia immer­so nella natura. Il suo cuore è gonfio di trepidazione e di amore. La sua immagine visiva è accompagnata dall’immagine sonora (over) del canto dei monaci che inneggia all’amore di Dio: «…Non vedia­mo il tuo volto, amore infinito, ma tu hai gli occhi perché piangi con l’oppresso… e ci guardi dall’alto, con sguardo luminoso, ci rive­li la tua clemenza». È un momento di forte ispirazione per il priore, che poco dopo scriverà una lettera, probabilmente il suo testamento spirituale.

Christian viene poi convocato dal prefetto che, con una certa rudezza e additando la dominazione francese quale causa dell’im­maturità del popolo algerino, chiede che i monaci facciano ritorno in Francia. Di fronte alla sua resistenza, lo accusa di testardaggine.

Il capo villaggio non vuole la protezione dell’esercito: «Voi siete la nostra protezione; il villaggio è nato con il monastero». E di fron­te a un monaco che osserva: «Siamo come gli uccelli su un ramo, non sappiamo se dobbiamo andarcene», ribatte: «Gli uccelli siamo noi; il ramo siete voi. Se ve ne andate, dove ci poseremo?».

 

Continuano intanto le reazioni dei monaci: Célestin è stanco e teso, vorrebbe andare via; Luc sta poco bene e deve mettersi a letto; Christophe urla la sua angoscia nella notte, poi va in chiesa a pregare e i raggi luminosi che provengono dalla finestra lo av­volgono.

Le cose si complicano ulteriormente: i terroristi portano al mona­stero un loro compagno ferito facendo scappare la gente in attesa di cure. Luc si prende cura di lui, ma c’è il pericolo che qualcuno dica ai militari che i monaci curano i ribelli. Luc tuttavia non è spaventato: «Non ho nemmeno paura della morte: sono un uomo libero».

Sale la tensione anche a causa dei militari. Chiamato in caserma per riconoscere il capo dei ribelli (quello cui aveva stretto la mano) ucciso e orrendamente martoriato, Christian prega per lui, suscitan­do la rabbia di un militare che lo accusa di essere troppo indulgente con i terroristi, che trovano protezione presso il monastero dove vengono anche curati.

Christophe sembra non farcela e si confida con il priore in un dialogo tra i più alti e significativi del film: «Morire è veramente utile? Non lo so più. Ho l’impressione di impazzire». Gli risponde Christian: «Restare qui è da pazzi, come diventare monaco. Ma ri­corda, la tua vita tu l’hai già donata. L’hai donata per seguire Cristo quando hai deciso di lasciare tutto: la tua vita, la tua famiglia, il tuo paese, la donna e i figli che avresti potuto avere». Christophe: «Non so più se è ancora vero. Io prego, ma non sento più niente. E poi non capisco: si diventa martiri per cosa? Per Dio, per essere eroi, per dimostrare di essere i migliori?». Risponde ancora il priore: «No! Si è martiri per amore, per fedeltà. E la morte, se ci prende, è malgra­do noi. Perché fino alla fine noi cercheremo di evitarla. La nostra missione qui è essere fratelli di tutti. E ricordati: l’amore supera tutto, l’amore sopporta tutto». I due si abbracciano fraternamente. Christophe chiede perdono.

 

È giunto infine il momento di prendere una decisione e si passa ad una sorta di votazione. Ed ecco i risultati:

– «La mia vocazione è di essere qui, con gli altri; non mi ci vedo andare via»;

– «Sarebbe un problema andarcene tutti; nemmeno io sono pronto ad andarmene»;

– «Stanotte pensavo all’idea di partire e non mi sentivo in pace; decidere che scappiamo così non ha senso»;

– «Non cercavamo certamente il nostro interesse personale quando siamo venuti qui»;

– «Io continuo a pensare che la nostra missione qui non sia fini­ta; rimango»;

– «Io ho pregato tutta la mattina; il discepolo non è al di sopra del suo maestro»;

– Christophe: «Che Dio apparecchi qui la sua tavola per tutti, amici e nemici»;

– Christian: «I fiori del campo non cambiano posto per cercare i raggi del sole; Dio si prende cura di fecondarli là dove essi si trovano».

La decisione è quindi unanime. E si conclude con le belle parole di Christophe, che ha superato la crisi e la tentazione di an­darsene: «Tu sei accanto a me, tu mi stringi, tu mi circondi, tu mi abbracci. E io ti amo». La quarta parte sottolinea la crisi di alcuni monaci, di fronte ad un pericolo che diventa sempre più incomben­te, e il suo superamento, grazie all’aiuto fraterno, alla preghiera e all’amore di Dio e dei fratelli.

 

Quinta parte – I militari diventano sempre più aggressivi. Fan­no irruzione nel monastero e controllano i malati. Christian osser­va che non esistono solo i terroristi, ma due partiti che si affron­tano per la conquista del potere. Particolarmente significativa la sequenza che mostra, per contrasto, un rumoroso elicottero che sorvola il monastero con in bella evidenza una mitragliatrice e i monaci che, in chiesa, cantano, pregano il Padre «fonte di ogni luce» e si abbracciano fraternamente. Arriva al monastero frère Bruno, un confratello che viene dal vescovado, portando le ostie, le medicine ed altre cose che erano state richieste. C’è il tempo per una foto di gruppo.

 

Poi, in una delle sequenze più intense e commoventi, i monaci si preparano per la cena, forse intuendo che sarà la loro ultima cena: Luc porta in tavola due bottiglie di vino e l’immagine mostra i volti dei monaci (con dei primissimi piani e dei dettagli) che esprimono una sorta di euforia mescolata alla paura e alla commozione, men­tre le note del Lago dei cigni di Ciaikovskij diventano sempre più forti e coinvolgenti. Improvvisamente i terroristi fanno irruzione e, con la violenza, portano via sette dei nove monaci attualmente nel mo­nastero. I terroristi se ne vogliono servire come ostaggi per ottenere la liberazione da parte della Francia di alcuni prigionieri.

L’ultima sequenza mostra i monaci che vengono portati forzata­mente sulle montagne in mezzo alla neve e alla nebbia. Con scelta felice l’autore si ferma qui: i monaci scompaiono alla nostra vista, inghiottiti dalla nebbia, come ombre nella notte. Le didascalie fina­li precisano: «Christian, Luc, Christophe, Célestin, Paul, Michel e Bruno sono stati uccisi il 21 maggio 1996. L’identità dei loro assas­sini e le circostanze della loro morte rimangono ancora un mistero. Amédée è morto il 27 luglio 2008. Jean Pierre è ancora vivo e oggi ha 86 anni». Sui titoli di coda s’ode, ancora una volta, il canto re­ligioso che tanta parte ha avuto nella vita di questi monaci.

Ma, prima dell’ultima sequenza, su immagini visive che rap­presentano i luoghi dove i monaci hanno vissuto una parte della loro vita, si sentono le parole del testamento spirituale di Christian. Sono parole altissime, che parlano di amore. Parlano anche del pe­ricolo che la sua fine possa essere attribuita «a questo popolo che amo» e del suo desiderio più lancinante: quello di immergere «il mio sguardo in quello del Padre per contemplare con lui i suoi figli dell’Islam così come tutti i fratelli». E conclude, significativamente, con le parole-chiave delle due religioni: «Amen; Insallah».

 

In questa quinta parte assume risalto la coerenza di una scelta che può portare fino al martirio, ma un martirio vissuto con lo spirito di Cristo: all’insegna del dono, del perdono e dell’ab­bandono. Restano da fare altre due osservazioni. La prima riguar­da il titolo italiano del film che in parte tradisce il significato di quello originario, Des hommes et des Dieux, rigorosamente al plurale, che sottolinea la diversità delle religioni e degli uomini, che tuttavia sono figli dello stesso Padre.

 

La seconda riguarda un grosso filone strutturale che percorre tutto il film e che volutamente non è stato finora rimarcato: è il filone della preghiera comunitaria che rappresenta, struttural­mente, una sorta di leit-motiv di tutto il film, dalle immagini iniziali fino a quelle (sonore) del finale. Il canto dei salmi, le lodi al Signore, la celebrazione dell’Eucaristia, la commemorazione del Natale, la recita del Padre nostro, il canto del Gloria sono momenti di grande intensità e spiegano, forse più di ogni altro elemento, il motivo della scelta condivisa da parte dei monaci di rimanere fedeli alla loro missione. E mette in risalto il valore della preghiera, che è un parlare con Dio, con la speranza che Dio parli e manifesti il suo amore che, solo, può giustificare la scelta di un amore radicale che porta fino al martirio.

 

Significazione – I monaci del monastero di Tibhirine (che signi­fica “giardino”), che vivono serenamente e in piena armonia con gli abitanti musulmani del luogo, si trovano di fronte ad un pericolo inaspettato. Le loro posizioni sono diverse, e anche le loro reazioni. Discutono tra di loro e sono divisi. Ma poi, grazie al lavoro quoti­diano, al pensiero degli abitanti minacciati, alla cura e al consiglio fraterni, al confronto, ma soprattutto alla preghiera comunita­ria, trovano la forza, dettata dall’amore, di rimanere al loro posto, andando incontro al martirio. Il canto finale rappresenta la loro ere­dità e le parole del priore rappresentano un invito alla fratellanza universale in attesa del ricongiungimento con il Padre.

 

L’idea centrale consiste nel presentare la storia (vera) di que­sti monaci come fulgido esempio dell’autentico amore cristiano. In altre parole essi, per come vengono presentati, diventano em­blematici del vero cristiano, di colui, cioè, che «cammina nello Spirito»2.

«Un’opera profondamente e autenticamente religiosa, che non si perde, com’è avvenuto troppo spesso nei cosiddetti “film religio­si”, nel ritratto oleografico o nella spettacolarità oggi dilagante. Ma che sa presentare, con sobrietà e verità, il profondo legame esistente tra gli uomini e tra questi e il loro Padre comune. Nonostante la presenza del male che sembra avere la meglio in questo mondo, ma che non potrà mai vincere la forza dell’amore»3.

 

Note

1 In «Vivilcinema», n.5/2010, p.29

2 Gal 5,25: «Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito».

3 V. Edav, n. 384, p.11.