N.05
Settembre/Ottobre 2011

Film: Il responsabile delle risorse umane

Trailer del film

Il regista – Eran Riklis è nato a Gerusalemme nel 1954. Cresciuto tra gli Stati Uniti e il Brasile, si è diplomato alla National Film School di Beaconsfield, in Inghilterra, nel 1982. È considerato uno dei più prestigiosi registi israeliani, reso famoso in tutto il mondo da alcuni dei suoi film, tra cui ne vanno citati due, usciti anche in Italia: La sposa siriana, vincitore di 18 riconoscimenti internazionali, e Il giardino di limoni, vincitore del Premio del Pubblico al Festival di Berlino del 2008.

La sua ultima opera, Il responsabile delle risorse umane, è stato proiettato fuori concorso al Festival di Locarno ed è tratto dal romanzo del famoso scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua. Inoltre il film è stato candidato agli Oscar per rappresentare lo Stato di Israele.

La vicenda – Il responsabile delle risorse umane del più grande panificio di Gerusalemme, in seguito alla morte di una dipendente in un attentato terroristico, viene incaricato dalla vedova proprietaria della ditta di scoprire l’identità della vittima. Nessuno ha denunciato la scomparsa della donna, ma sul cadavere è stata trovata la busta paga del panificio. Un giornalista d’assalto sta cavalcando la notizia per stigmatizzare la disumanità dei datori di lavoro. È necessario pertanto agire tempestivamente. Una volta appurato che si tratta di una giovane romena, licenziata dal responsabile del turno di notte ma non decurtata dal libro paga, la vedova, come segno di buona volontà, decide di far rimpatriare il corpo della donna e pretende che il responsabile delle risorse umane se ne faccia carico.

Questi parte per la Romania. Deve superare problemi burocratici, affrontare situazioni difficili, vedersela con l’ex marito della donna e con il figlio emarginato, fare i conti con le autorità. Dopo un viaggio avventuroso e ricco di sorprese, riuscirà a portare la salma al suo paese natale in uno sperduto villaggio, dove finalmente trova la madre della vittima che può firmare il certificato di sepoltura. Ma la donna, dopo aver ringraziato per l’impegno sostenuto, sostiene che il corpo della figlia dovrebbe essere sepolto a Gerusalemme, visto che la figlia aveva scelto quel luogo per viverci. Così il responsabile delle risorse umane ricarica la bara sul blindato con il quale era giunto fin lì e riparte per Gerusalemme. Ma questo viaggio non è stato inutile per il protagonista che finalmente riesce a riscoprire in sé delle vere “risorse umane”.

Il racconto, dalla struttura lineare, può essere diviso dal punto di vista narrativo, in alcune grosse parti.

Prima parte – Serve innanzitutto come ambientazione e come presentazione del problema. Siamo a Gerusalemme, nel 2002, in un’industria di panificazione. Viene subito presentato il protagonista, il responsabile delle risorse umane, alle prese con un problema inaspettato. Tramite un fax giunto all’ultimo minuto di lavoro, riceve l’incarico da parte della “vedova”, proprietaria della ditta, di indagare su come sono andate le cose circa la morte in un attentato suicida di una giovane donna, che probabilmente lavorava nella loro azienda. Il primo problema è quello di stabilirne l’identità, analizzando alcuni numeri del cedolino ritrovato. Finalmente si viene a sapere che si tratta di una certa Yulia Petracke, una donna giovane e carina, originaria della Romania. Il protagonista si reca poi dal responsabile notturno che – si viene a sapere – ha licenziato la donna. Il protagonista se la prende con lui che «ha licenziato una dipendente senza darne comunicazione alle risorse umane… così noi abbiamo pagato uno stipendio, le tasse e i contributi a qualcuno che non era più dei nostri, che non era più nella nostra banca dati». Yulia era laureata in ingegneria, ma aveva un contratto a termine ed era addetta alle pulizie. Nessuno s’è accorto della sua sparizione. Il suo corpo è rimasto all’obitorio in attesa di riconoscimento. E ora, dice il protagonista, «Scaricano tutte le colpe su di me e sulla vedova e accusano l’azienda di negligenza criminale e mancanza di umanità». Il protagonista decide così di scrivere una lettera conciliante al giornale, attestando la partecipazione dell’azienda al lutto. Nel frattempo, però, l’autore si preoccupa di mostrarci alcuni aspetti della vita privata del protagonista: è divorziato dalla moglie con la quale mantiene un rapporto piuttosto teso e non riesce a comunicare con la figlia alla quale continua a fare delle promesse che poi regolarmente non mantiene. Significativo a questo proposito un icastico commento della moglie: «Anche quando ci sei riesci ad essere assente».

Un uomo con dei problemi, dunque, più proiettato verso il lavoro e gli affari che attento ai rapporti umani. Più tardi si scontra con il giornalista che ha pubblicato la notizia. Questi avanza il dubbio che si tratti di un licenziamento “retroattivo” per tirarsi fuori dai guai e continua: «Non sopporto la leggerezza con cui le grandi aziende come la vostra sfruttano le dipendenti e non sanno nemmeno che esistono… se sarò capace di smuovere i miei lettori dall’indifferenza e di farli indignare per le vostre mancanze potrò dire di avere fatto bene il mio lavoro». Ora è necessario andare all’obitorio per il riconoscimento.

Il protagonista ci va di malavoglia, ma poi non se la sente di guardare il cadavere e fa un riconoscimento indiretto. Con le chiavi della donna si reca a casa sua: se le chiavi aprono, significa che si tratta proprio di lei. Così è infatti. Ma qui, a casa della donna, il protagonista, guardando le sue cose e sdraiandosi sul suo letto, sembra avere un primo vero contatto con quella donna di cui non ricordava nemmeno il volto.

Potrebbe essere finita qui, ma improvvisamente la vedova decide di ammettere la propria responsabilità, di porgere le scuse alla famiglia, cercando di ottenerne il perdono. È necessario pertanto provvedere ad un funerale dignitoso. Potrebbe essere sepolta a Gerusalemme, ma dopo un altro titolo cubitale sul giornale che denuncia la «sconvolgente mancanza di umanità nel più grande panificio della città», la vedova decide di far rimpatriare la salma e, naturalmente, costringe il protagonista a provvedere.

Seconda parte – Inizia il grande viaggio. Il protagonista è anche costretto a portarsi dietro il giornalista che vuole fare un resoconto ai suoi lettori. L’arrivo in Romania è piuttosto traumatico: una donna console piuttosto stralunata con il suo fedele viceconsole, nonché marito, sempre pronto ad obbedirle; problemi burocratici che vengono risolti a suon di mazzette; mancanza del furgone per il trasporto cui si sopperisce con l’auto del consolato; ecc. La data del funerale è già fissata, ma prima bisogna passare dal marito di Yulia che deve firmare il certificato di sepoltura. Trovato il marito, si viene a sapere che lui non può firmare perché aveva divorziato.

Bisogna pertanto mettersi alla ricerca del figlio. In uno squallido ambiente post-industriale, che rivela ciò che resta del regime comunista, tra capannoni fatiscenti e una fauna umana di derelitti viene rintracciato il figlio quattordicenne, arrabbiato e ribelle. Gli viene annunciata la morte della madre e il ragazzo sale sul furgone a guardare la bara. Neanche lui può firmare, essendo minorenne. È necessario pertanto recuperare la nonna, che però abita in un villaggio a circa mille chilometri di distanza. Il protagonista, che non vede l’ora di chiudere la pratica e di far ritorno a casa (anche perché aveva promesso alla figlia di accompagnarla ad una gita scolastica), decide di partire per andare dalla nonna. Ma intanto l’autore sottolinea un cambiamento nei rapporti tra il padre e il figlio.

Prima il padre aveva detto che il figlio era scappato di casa, mentre il figlio aveva affermato che il padre l’aveva cacciato. Ora il figlio piange sulla bara della madre; il padre lo tocca; i due se ne vanno insieme, commossi. Dopo una cena a casa del console, si studia il percorso per andare dalla nonna. A malincuore il console mette a disposizione un vecchio furgone e si riesce a trovare un vecchio autista. Si parte.

Terza parte – Inizia un nuovo viaggio. Sul furgone sono in cinque: il protagonista, il viceconsole, l’autista, il figlio e il giornalista. Più, naturalmente, la bara. Il giornalista vorrebbe fare delle foto al figlio che reagisce con violenza. S’ode una canzone extradiegetica molto significativa (Sorella gente), di cui si parlerà nel finale. Nel frattempo telefona l’ex moglie del protagonista che gli ricorda la promessa fatta alla figlia: lui dice che ce la farà (anche se la cosa appare del tutto improbabile). Durante il viaggio il protagonista parla di Yulia con il ragazzo. Ci si spartisce il pane della Terra santa. Dopo l’ennesimo litigio del figlio col giornalista, arriva una pattuglia della polizia che esegue dei controlli. Il risultato è “tragico”. L’autista non può più guidare perché ha una patente scaduta da cinque anni; inoltre, aggiunge il viceconsole, «il certificato di sepoltura era di due giorni fa: ufficialmente siamo profanatori di tombe». Per fortuna «vicino c’è un cimitero e il Comune sarebbe lieto di fornire, dietro compenso, un lotto e un prete per la cittadina defunta ». Si può così evitare la denuncia. Il figlio, dimostrando grande sensibilità, si mette a pregare. Il protagonista osserva pensieroso.

Tutto potrebbe finire lì. Sarebbe la fine della storia, una storia di un «buffo triste: la signora nessuno nel bel mezzo del nulla».

Ma il protagonista, dopo aver guardato il figlio, approfittando del fatto che la polizia se n’è andata, decide di ricaricare la bara sul furgone e di portarla a destinazione, attirandosi così l’ammirazione da parte del ragazzo.

Quarta parte – Infatti il rapporto tra i due si evolve in modo positivo e diventa sempre più familiare: il protagonista fa vedere al ragazzo la foto della figlia e si confida: «Mi aspetta per domani; non le ho detto che non ce la farò mai; è impossibile… non ci sono mai… lei lo sa». Anche il giornalista, di fronte a quelle parole accorate dimostra comprensione: anche lui, infatti, ha dei problemi familiari. Ora sono in quattro (manca infatti l’autista), tutti decisi a fare «mille chilometri per fare la cosa giusta». Ma le cose si complicano. Una bufera di neve è in arrivo e li obbliga a fermarsi in un bunker per ripararsi. Qui i nervi sono a fior di pelle: il giornalista, in un momento di rabbia, spara a zero sul protagonista e rivela al ragazzo le vere ragioni di quel viaggio. Questi, disperato, si butta sulla bara della madre e tenta di aprirla: «Mamma, dimmi che non sei qui dentro… non voglio che tu sia qui dentro». Interviene il protagonista che lo abbraccia. Finalmente l’uomo è costretto a dire tutta la verità, che porta ad una vera comunicazione e ad un rapporto ancora più profondo e sincero. Dopo due giorni, durante i quali il protagonista sta male, arriva la cattiva notizia: si è rotto il cambio del furgone che diventa pertanto inservibile. Ma non importa: ecco un vecchio blindato che può servire allo scopo.

Quinta parte – Riprende il viaggio. Ora sono solo in due, il protagonista ed il ragazzo. Alcuni momenti particolarmente significativi: la telefonata della figlia che dice di non essere andata alla gita scolastica, ma che non importa: l’importante è che lui riporti a casa Yulia; il viaggio in traghetto che permette il riaffiorare dei ricordi: il ragazzo conserva un breve filmato della madre («È l’ultima volta che l’ho vista») che permette finalmente di vedere il volto “vivo” della donna. È un momento di commozione: significativamente il protagonista sembra asciugarsi una lacrima. Finalmente l’arrivo al villaggio natale della donna, con gli abitanti che li accolgono con grande umanità. C’è poi l’abbraccio del ragazzo con la nonna e la veglia di preghiera davanti alla bara di Yulia. Infine il colpo di scena. Il ragazzo dice al protagonista che la nonna lo ha ringraziato, ma: «Hai fatto un grosso errore… secondo lei Yulia non appartiene a questo mondo. Viveva a Gerusalemme, è morta a Gerusalemme, deve essere sepolta lì». E di fronte alla domanda dell’uomo: «E tu cosa ne pensi?», il ragazzo ribatte: «Io credo che per lei questo posto era ai confini del mondo. Voleva andare il più lontano possibile; neanche la città era lontano abbastanza». Nel frattempo arrivano con un taxi anche il padre e il giornalista. C’è un clima di grande riconciliazione. Il protagonista e il giornalista mettono da parte ogni screzio; il padre e il figlio si abbracciano e vanno a salutare la nonna. Anche la telefonata che il protagonista fa all’ex moglie ha un tono completamente diverso. L’uomo dice: «Sto tornando a casa»; la donna risponde: «Sono contenta». Ed ecco la conclusione: la bara, portata a mano dal protagonista, il giornalista, il padre e il figlio, viene ricaricata sul blindato per essere riportata indietro. C’è un ultimo momento per i saluti. Il protagonista abbraccia affettuosamente il figlio e gli dice: « Verrò a trovarti presto». Poi sale sul blindato seguito dal giornalista che, come al solito, è in ritardo. Le ultime immagini rappresentano il blindato che si allontana da quel luogo e che diventa sempre più piccolo fino a scomparire dalla vista. Resta l’immagine di un paesaggio anonimo in campo lunghissimo, con la strada che sembra portare all’infinito. E s’ode la can64 zone, che si era già sentita all’inizio del viaggio: «Gente, gente! Sorella gente. Gente, gente! Sorella gente. Quando mai mi stancherò di te, gente, sorella gente? Solo quando non avremo né pane né un bicchiere, gente, sorella gente. Perché così è la gente: va e viene. La gente è così: va e viene. Uno nasce, un altro muore, gente, sorella gente. Quello che nasce, soffre, quello che muore, imputridisce. Gente, sorella gente».

La significazione immediata del film nasce evidentemente dall’evoluzione del protagonista. Quest’uomo, che vive una crisi esistenziale (forse non sufficientemente evidenziata dal film), si accinge a quest’impresa perché costretto dalla proprietaria che vuole tutelare il buon nome della ditta. Cerca di sbrigare le cose il più in fretta possibile per liberarsi da quell’incombenza. Ma durante il viaggio viene a contatto con delle persone, con la loro realtà e i loro problemi. In modo particolare ha l’occasione di scoprire il profondo amore e l’immenso dolore di quel figlio per la perdita della madre. Ed eccolo compiere qualcosa che non gli è più richiesto per lavoro, ma che gli viene dettato da una motivazione interiore. Questa esperienza gli fa scoprire sentimenti e valori che lo cambiano e gli fa capire il vero senso della vita.

L’intento universalizzante dell’autore è chiaro. A partire dal titolo del film che può essere riferito al lavoro del protagonista, ma anche a quelle risorse umane che ciascuno porta dentro di sé. Da notare inoltre che tutti i personaggi non hanno un nome, ma vengono definiti sulla base del lavoro che fanno o del rapporto che hanno tra di loro (il padre, il figlio, la nonna, ecc.). L’unica ad avere un nome (e un cognome) è proprio la defunta, Yulia Petracke, che appare sullo schermo in un solo momento di particolare intensità e attorno alla quale ruotano tutti gli avvenimenti. È importante anche sottolineare che il nome che la donna ha ricevuto in Israele è Rut (il nome biblico della “straniera” che è entrata a far parte del popolo d’Israele e che è un’antenata di David e, attraverso lui, di Cristo). Resta ancora da rimarcare che l’evoluzione in senso positivo non è solo del protagonista, ma anche di tutti gli altri personaggi che hanno preso parte al viaggio e (anche se un po’ semplicisticamente) perfino della figlia e dell’ex moglie del protagonista.

L’immagine finale, poi, con quella canzone che parla della gente, contribuisce ulteriormente ad universalizzare il discorso. Ancora, il fatto che la salma venga riportata in Israele sta ad indicare che quello che conta non è tanto la materialità del gesto, quanto piuttosto il prendersi cura delle persone rispettando le loro aspirazioni e le loro scelte. In altre parole, quel viaggio, nato da motivazioni opportunistiche, non produce effetti positivi per il fatto di portare un cadavere nel suo paese natio, ma piuttosto perché diventa l’occasione per “accorgersi” delle persone e per farsi carico dei loro problemi.

Idea centrale – In una società dominata dall’egoismo e dal tornaconto, prendersi cura delle persone (della “gente”) in modo disinteressato porta a scoprire i veri valori umani e il senso della vita. L’opera è drammatica, ma anche profondamente ironica, con delle punte di umorismo nero e con accenni di satira sociale. Ed è fruibilissima in quanto sa dosare i vari elementi senza perdere di vista la tematica molto interessante (anche se in alcuni passaggi non immune da una certa ingenuità).