N.05
Settembre/Ottobre 2011

La via della condivisione: per seminare sguardi di bene

Quante persone, ai nostri giorni, fanno l’esperienza di una vita che si trascina avanti in maniera passiva, senza stimoli né motivazioni. Quante persone vivono come se la loro esistenza fosse un naufragio verso una spiaggia deserta, andando alla deriva senza controllo alcuno.

Quello che traspare sempre di più, guardando al nostro modo di vivere, è il fatto che esso è segnato, se non addirittura marchiato, da un esasperato individualismo. In molti è sparita la capacità di distinguere il proprio Io da quello dell’Altro: ciò comporta la caduta verticale del rispetto per la Vita e insieme l’indifferenza, se non un vero e proprio cinismo, verso la vita dell’Altro. In molti è scomparsa pure la distinzione tra “Io e ambiente” in cui si vive e, nonostante i continui appelli ad un senso di responsabilità reciproca e di custodia del creato, si ha la sensazione di un disinteresse totale verso il rispetto della libertà e del Bene comune. È accentuata una eccessiva incentrazione su se stessi (cf Teilhard De Chardin) e, in maniera consequenziale, si rischiadi vivere una forma di spersonalizzazione da ciò che si è e da quello concretamente che si pensa e si opera. È la percezione sottile, ma diffusa, che c’è una realtà “imposta” dall’esterno, senza che tu possa fare molto per poter controllare quello che entra nella tua mente e nel tuo cuore. Questa è il senso della dislocazione dell’uomo contemporaneo; questo è lo spaesamento che il filosofo M. Heidegger aveva intuito con profetica lungimiranza. Per tornare a stare bene con noi stessi, per essere donne e uomini significativi, per una testimonianza di fede e di Chiesa credibile, per un annuncio vocazionale più incisivo ed efficace, è essenziale che noi possiamo recuperare il senso delle relazioni amicali e fraterne, di cammini condivisi e comunionali, di strategie non soltanto operative e funzionali, ma soprattutto esistenziali, in grado di creare ponti, alleanze e sinergie vitali.

Questo vale ancor più per ogni cammino di proposta educativa. Lo esprimono in maniera netta ed incisiva gli Orientamenti pastorali per il decennio:

«La complessità dell’azione educativa sollecita i cristiani ad adoperarsi in ogni modo, affinché si realizzi “un’alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale”. Fede, cultura ed educazione interagiscono, ponendo in rapporto dinamico e costruttivo le varie dimensioni della vita. La separazione e la reciproca estraneità dei cammini formativi, sia all’interno della comunità cristiana sia in rapporto alle istituzioni civili, indebolisce l’efficacia dell’azione educativa fino a renderla sterile» (EVBV 35)

La scelta della cover per questo numero di «Vocazioni», dedicato al tema delle “alleanze educative”, è strettamente connessa ad una suggestiva lettura di questo quadro di Paul Klee: Sguardo dal rosso.

«In esso emerge un ritmo armonico che deriva dal perfetto incastro di forme e colori; è quasi un ritmo musicale e psicologico allo stesso tempo, con grossi punti e graffi di colore che ne segnano le pause e gli accenti. All’interno di segmenti squadrati o di curve perfette pare di smarrirsi in un labirinto intricato; in esso sembra celarsi un personaggio (ciascuno di noi?), alla ricerca di una via d’uscita, perduto e smarrito, come un bambino carico di stupore, in una natura che è vita gioiosa e meravigliosa, ma nello stesso tempo diviene fonte di spaesamento e perdita del centro di riferimento».

Per essere costruttori di alleanze, occorre innanzitutto partire da se stessi: significa imparare ad accendere il desiderio di comunione “dentro” di noi. Le cose vere della vita nascono sempre dal di dentro, perché solo nell’interiorità e nel silenzio esse possono crescere e maturare, senza forzature e manipolazioni.

A partire da questo nucleo, vorrei proporre due vie concrete e operative, che credo siano dei punti irrinunciabili di una pastorale vocazionale e di ogni proposta pastorale.

La via della convinzione

Un cammino fatto di alleanze diviene possibile e vivibile solo se noi stessi, per primi, lo crediamo tale. Quante persone perdono il desiderio di un cammino comunionale, proprio perché smarriscono innanzitutto la via della propria individualità e della interiorità del cuore. Quanti rimangono imbrigliati in gabbie di fatalismo e di rassegnazione: «Per me sarà sempre così, non posso fare nulla per cambiare la mia vita».

E si arrendono. La vera vittima, nella vita, è soltanto chi si rassegna: vittima di se stesso, della sua sfiducia, del suo non consegnarsi ad una relazione profonda con gli altri. 

La via della condivisione

Essa è significativa non solo e non tanto perché “insieme è bello”, ma perché insieme il cuore può superare tante paure. Oggi è più che mai essenziale trovare chi accetta di condividere il proprio lumicino di comunione e camminare con noi, tenendo il ritmo del nostro passo, anche se appesantito, vacillante e incerto. Questa è la via dei cuori semplici, di coloro che hanno imparato, e non certo senza fatica, a credere alla forza dell’amicizia, del bene donato, del cammino condiviso, della comunione costantemente ricercata.

Parafrasando il grande scrittore russo F. Dostoevskij, potremmo trovare una indicazione di vita e di saggezza: «Ama la vita di condivisione e di comunione più della logica razionale e della ricerca delle certezze; solo allora capirai il senso profondo della tua vita e vedrai oltre le apparenze, seminando sguardi nuovi, sguardi di bene sulla terra».