N.06
Novembre/Dicembre 2011
Studi /

Tobia: una vita accompagnata e benedetta

Ho sempre avuto una particolare simpatia per il libro di Tobia: sono 14 brevi capitoli, intensi, ricchi di vitalità, pieni di umanità e di una partecipata drammaticità, che raccolgono, in breve, le vicende attraverso le quali può dipanarsi la vita di ciascuno di noi. Non si può pretendere da questo piccolo suggestivo testo biblico la storicità o la sequenza logica dei passaggi; non si tratta neppure di analizzarlo in chiave strettamente psicoanalitica, come ha fatto in una sua opera il teologo e psicoanalista tedesco E. Drewermann, le cui interpretazioni, pur suggestive, corrono il rischio di essere forzate nel cercare di dare a tutti costi una valenza simbolica e psicologica ai singoli episodi o ai dettagli, utilizzando le chiavi di lettura della moderna psicologia, in particolare dei criteri della psicologia legata a Carl Gustav Jung; evidentemente non sembra essere questo il codice di interpretazione presente allo scriba biblico. Resta significativo che questo testo può diventare una disincantata e lucida “chiave di lettura” per le vicende esistenziali di ciascuno di noi; in esso è racchiusa, come in una parabola, la vicenda umana nel suo fluire, con le sue storie liete e tristi, con i suoi conflitti e le sue delusioni, la sua ricerca e le sue aspettative, i suoi valori e le provvidenziali mediazioni, che spesso ci aiutano a ritrovare nella vita un passo più spedito e meno incerto.

  1. Quando la Vita è protagonista

Credo proprio che nei personaggi raccontati in maniera così viva ed incisiva nel libro di Tobia possiamo ritrovare squarci di vita presenti in noi o attorno a noi.

  • Tobi: è il padre di Tobia.

Deportato nella grande capitale assira, Ninive, discendente della tribù di Neftali. È un uomo retto, che aveva avuto il coraggio, da giovane, di restare fedele al Dio d’Israele, quando tutta la sua tribù si prostrava in venerazione al vitello d’oro che il re infedele, Geroboamo, aveva costruito e collocato in Dan, nell’alta Galilea. Tobi è un uomo capace di vivere la sfida contro il conformismo, di andare contro il formalismo di un quieto vivere che tutto accetta, in maniera acritica, pur di non essere disturbato. Anche in un paese straniero, ove vige la legge che proibisce la sepoltura dei propri fratelli ebrei morti, egli sfida questa legge e con coraggio, di notte, dà loro sepoltura. Poi, la solita delazione, che spesso colpisce i giusti, lo costringe alla fuga per salvare la vita sua, della moglie Anna e del figlio Tobia. E questo atto di coraggio e di pietà gli costa pure la confisca di tutti i beni. Come non bastasse, eccolo colto da una cecità che rende ancor più penosa la sua esistenza. Eppure Tobi resta un uomo mite e saggio, capace di benedire il Signore e di incoraggiare il figlio a partire. Infatti, egli aveva depositato presso un suo parente, nella lontana regione della Media, un cospicuo tesoro, una specie di assicurazione sulla vita, del valore di dieci talenti di argento: pensate che questo voleva dire un deposito di 340 Kg di argento, una vera fortuna, simile ad un jack-pot dei nostri giorni. Tobi invita suo figlio Tobia a compiere questo viaggio per entrare in possesso del tesoro che gli garantirà serenità e prosperità per lui e per la sua futura famiglia. È un viaggio rischioso e Tobia sa bene che è giovane e da solo gli è difficile portarlo a compimento. Ecco, allora, entrare in campo un altro personaggio: si presenta come Azaria, un parente di Tobia; in realtà egli è l’angelo Raffaele, il cui nome significa “medicina di Dio” e durante tutto il cammino di Tobia sarà veramente una presenza di consolazione e di guarigione. Tobia, come ogni giovane, è chiamato a mettersi in viaggio per la ricerca del suo tesoro e magari per trovare anche una risposta al suo desiderio di amore.

  1. Un viaggio tutto “vocazionale”

La vicenda del viaggio di Tobia è veramente “vocazionale”, perché in essa c’è tutto l’entusiasmo e la trepidazione, il rischio e la costanza di ogni viaggio che ricerca il proprio tesoro, cioè il proprio senso di vita.

 «Avevo tanta voglia di viaggiare; tu mi dicesti “Vai” ed io partii. La strada è tanto lunga è tanto dura, però con te nel cuor non ho paura».

Era una bella canzone vocazionale, composta qualche anno fa da Giosy Cento. Forse la rima baciata è un po’ datata, ma le parole sono vere adesso come allora. Quando si viaggia, si apprezza molto di più cosa significhi non essere soli, che cosa può offrire in termini di aiuto, incoraggiamento e sicurezza la compagnia di qualcuno più esperto di noi, che ci offre le indicazioni giuste per arrivare alla meta. E inoltre ci suggerisce le possibili chiavi di lettura di alcuni eventi nostri e altrui, per poterli capire e affrontare meglio.

  • Azaria, alias Raffaele, è proprio questa saggia guida e questo esperto compagno di viaggio, che può diventare emblematico di quanto sia importante una “guida spirituale” che ci aiuti a decodificare gli eventi interiori e ci dia dei suggerimenti e dei criteri per le possibili scelte di vita. Avere una guida spirituale, oggi, non è più un optional, è una necessità, perché da soli il rischio di smarrirci, di cadere nella confusione e nello sconforto, è grande. Ma il viaggio nella vita di Tobia va ad incrociarsi anche con un’altra vicenda: è la storia di Sara, una giovane e bellissima ragazza, tanto bella quanto sfortunata. Vive a Ecbàtana, proprio nella Media, là dove Tobia deve arrivare per recuperare il tesoro depositato da suo padre.

Sara è angosciata da una situazione terribile, che la vicenda biblica colora in maniera drammatica: si dice che la sua vita, e soprattutto il suo desiderio di amore, sono nelle mani di un perfido demonio, di nome Asmodeo, per cui già sette giovani pretendenti alla sua mano sono misteriosamente morti. Sara vive nella più totale depressione e il suo unico desiderio è oramai quello di farla finita con una vita che le ha riservato una sorte così crudele e angosciosa; anzi, agli occhi degli altri, è lei a sembrare una specie di “serial killer” moderno, che uccide i futuri mariti! A questo punto scopriamo (anche queste sono le sorprese della vita!) che c’è un sottile filo invisibile che unisce la triste vicenda di Tobi, il padre di Tobia, con quella di Sara, la giovane donna a cui è impedito l’amore. E non è solo il filo della sventura, ma è anche quello della preghiera a Dio, che solo può liberare l’uno e l’altra dalla angoscia della loro esistenza. E Dio ascolta questa preghiera di guarigione. Quando Tobia arriva a conoscere Sara, l’intervento di Azaria sarà preciso e… chirurgico, nel senso non tecnico, ma spirituale della parola; a Tobia egli suggerisce di mettere sulla brace il cuore e il fegato di un grosso pesce pescato sulla riva di un fiume: sarà l’odore che emana da essi a scacciare il demonio Asmodeo e a permettere a Tobia e Sara, non prima di avere insieme detto una stupenda preghiera di “grazie” a Dio, di portare a compimento la loro storia di amore.

  1. Quando il diavolo mette la coda in… amore

Comprendiamo bene come la vicenda di Sara a cui è negata, in maniera drammatica, la possibilità di vivere l’amore coniugale, è una metafora della vita e dell’amore stesso. La parola “metafora” esprime una realtà che intende dire qualcosa che va al di là (in greco meta) di quello che il fatto concreto in se stesso racconta. È un episodio da leggere in maniera figurata, simbolica, come segnale preciso dell’eterna influenza del male sull’amore. Infatti, anche il nome del demonio Asmodeo è significativo: esso significa “colui che fa perire”, o anche “l’angelo distruttore”; è interessante sapere che nelle religioni dell’antico Oriente, soprattutto quelle legate all’area mesopotamica, la mezzaluna fertile collocata tra i due grandi fiumi sacri, il Tigri e l’Eufrate, Asmodeo era proprio “il nemico della unione coniugale”. Anche oggi Asmodeo è all’opera e l’Amore ne risulta profondamente turbato e ammalato. Proviamo, per un attimo, a valutarne le cause.

  • – L’amore è ammalato di individualismo ed egoismo, perché il rischio è quello di pensare troppo a se stessi, alla propria felicità, al proprio benessere, all’avere tutte le carte a posto prima di imbarcarsi nell’avventura dell’amore. Ci sono tante coppie che decidono di non avere figli, perché questi vengono a disturbare il livello di quieto vivere e di benessere personale che la loro vita ha raggiunto.
  • – L’amore è ammalato perché, spesso, si cercano solo la propria felicità e il proprio piacere. E così, si corre il rischio di strumentalizzare la vita del partner a proprio uso e consumo, con la fatale conseguenza che la vita insieme diventi una interminabile lotta per il dominio di uno sull’altra e viceversa. Lotta destinata, inevitabilmente, a concludersi con la crisi e il fallimento della vita di coppia.
  • – L’amore è ammalato perché si ha paura di rischiare una vita in fedeltà. Oggi la parola “fedeltà”, legata ad un “per sempre”, fa molta, troppa paura. È un impegno che, proprio perché totalizzante, non ti permette più di svariare sul fronte di altre opzioni. La si vive come una “palla di piombo” al piede, tipica dei carcerati dei tempi passati, come una prigione che impedisce alla propria libertà di realizzarsi. Ma di quale libertà si parla? Di una libertà che pensa di essere tale perché fa quello che vuole o sta insieme “finché dura e finché piace”, o piuttosto di un altro modo di intendere la libertà, capace di affrontare la scelta d’amore con responsabilità, sapendo che una scelta esclude altre opzioni e che questo fa uscire dall’onnipotenza narcisistica latente in noi. Qui entra in gioco la consapevolezza che si tratta di una scelta coinvolgente e totale, e solo in questo reciproco donarsi e appartenersi si può trovare la chiave per affrontare le inevitabili difficoltà della vita, anche della vita insieme.
  • – L’amore è ammalato perché è in balia della “sindrome di Giona”: come il profeta biblico Giona, esso tende a fuggire dalle proprie responsabilità. Guarda caso, Giona era stato invitato da Dio ad andare a Ninive, la stessa città di Tobi, per predicare la conversione a questa città. Tuttavia, un po’ per gelosia, un po’ per pigrizia, un po’ per mancanza di coraggio, egli preferisce scegliere la via della fuga. E quando, tra mille peripezie, il Signore lo riporterà indietro e Giona andrà a Ninive per invitare gli abitanti della città alla conversione, suo malgrado, la città si convertirà e Giona, raggomitolato sotto un ricino per proteggersi dal calore tagliente del sole, invece di gioire scoppia dalla rabbia, dalla frustrazione e dall’invidia: deve sperimentare la bontà del Signore invece che la sua ira e il suo castigo. Giona, con la sua voglia di fuga, la sua gelosia e la sua invidia è davvero un terribile nemico dell’amore.
  • – L’amore è ammalato per una noiosa ripetitività. Questo è quanto afferma chi pensa che il Sì d’Amore sia quello di un solo istante e che invece non vada ripetuto e riportato alla propria consapevolezza giorno dopo giorno: in un Sì nuovo che, proprio per questo, diventa capace di creatività e di freschezza genuina e sincera. Chiaro, non ci si può illudere che l’amore non possa anche rimanere invischiato dentro la spirale della routine, ma sta a noi lasciarlo lì a soffocare o ridonargli l’aria della libertà, spesso sofferta, ma comunque sempre nuova e rigenerante, che esso porta in sé.

– L’amore è ammalato perchè annega nello stagno con… Narciso: ricordate il mito greco, dove questo giovane, troppo impegnato a guardare nell’acqua dello stagno l’immagine della sua bellezza, cade nell’acqua dello stagno stesso e annega? È un mito ricco di spunti assai attuali, perché anche la nostra cultura è profondamente intrisa di narcisismo. Gli spot televisivi sono un perenne inno al narcisismo del corpo, dell’estetica, del culto esasperato di se stessi. Tutto ciò non permette all’eterno bambino che vive in noi di crescere e di guardarsi attorno, di guardare avanti, di imparare a guardare in alto. «Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?»: così racconta la favola di Biancaneve quando la strega-regina si pone la fatidica domanda, questa è anche la domanda dei tanti “Narcisi” che vedono solo se stessi e non si accorgono che c’è un mondo da abbracciare, di cui prendersi cura e benevolenza.

  1. Per attualizzare questa riflessione

Se volessimo ridire, in una manciata di piccole e pratiche provocazioni, quali sono gli elementi essenziali del nostro camminare lungo le vie della Vita con lo spirito dei pellegrini, potremmo ridefinirle così:

dai un senso al tuo camminare: conserva di fronte a te una meta da raggiungere;

  • scegli la fatica dell’Amore;
  • vivi il coraggio della fedeltà di fronte alle scelte fatte;
  • abbi uno sguardo trasparente e puro, per non specchiarti narcisisticamente nel tuo specchio e vedere riflesso solo il tuo volto, imparando a scrutare nel grande specchio della vita: esso ti rivelerà sempre tante sorprese e molte realtà nuove e grandi;
  • là dove c’è un bisogno, credi che è Dio che ti chiama e questa è la via della tua personale beatitudine;
  • vivi con passione e coinvolgimento la tua personale vita, amandola e benedicendola insieme con tutte le persone che ti hanno amato e ti hanno insegnato i valori belli e sacri dell’esistenza.

Solo così il cammino sarà dolce e la fatica diverrà lieve. Questo ci porta a scoprire la verità di un piccolo grande aforisma esistenziale, che affascina e dà radici alla nostra speranza:

 “È camminando che si apre il cammino”.

La vicenda di Tobia potrebbe aiutarci a porre sul tappeto alcune domande/riflessioni.

  1. a) Dice il Card. Martini: «La vita cristiana è un itinerario, è un muoversi, è un partire da un punto per arrivare ad un altro, lungo tappe intermedie; non è possedere!». La nostra vita, nella sua espressione più quotidiana e feriale, dimostra dinamicità, ricerca, voglia di novità.
  2. b) Sentirsi pellegrini come Tobia significa entrare nella dimensione del “cammino di vita”, nell’ottica più profonda del pellegrinaggio del cuore; ciò significa imparare a relativizzare tanti aspetti della nostra vita, per far emergere alcune priorità.
  3. c) Avvertiamo anche noi a volte che un “piccolo diavolo” di nome Asmodeo mette la coda dentro al nostro sconfinato desiderio di Amore.

Seguendo le orme di questo “viaggio accompagnato e benedetto” di Tobia, ci può rincuorare una parabola, che sgorga dalla sorgente fresca e viva del monachesimo sufita:

«Il Signore ha bisbigliato una parola all’orecchio di un fiore e questo si è aperto in tanti petali colorati.

Il Signore ha bisbigliato una parola ad una pietra, e questa ha assunto i colori iridescenti e le sfumature del diamante.

Il Signore ha bisbigliato una parola al ruscello, ed esso è sgorgato con la freschezza di una sorgente d’acqua viva e perenne.

Il Signore, alla fine, si è chinato all’orecchio dell’uomo e gli ha sussurrato dolcemente una sola parola: “AMORE”».

(Gilal Ed-din Rumi, monaco sufita del XIII secolo)

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