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Quando l’amore chiama: percorsi di educazione affettiva

Ogni vivente ha una vita affettiva, parte alta e forte della sua identità, necessaria per essere felice. Possiamo negarla, ma non eliminarla. La dimensione degli affetti, fondamentale per l’equilibrio della persona, necessaria per vivere (“se non amiamo, non viviamo1Gv 3,14), e per vivere con gioia, è un autentico luogo teologico: l’amicizia rivela qualcosa di Dio. Ogni vivente nasce come persona appassionata, e quel malinteso spirito religioso che spinge a negare le passioni inaridisce le sorgenti della vita rendendo molti cristiani dei predicatori di cose morte. Bisogna non tanto soffocare ma convertire le passioni: non raggelare, ma liberare i desideri per desiderare Dio”1.

Oggi ci troviamo di fronte ad una sorta di “marasma” terminologico indifferenziato, in cui affetto e amore sono spesso confusi con emozione, sentimento, soddisfazione effimera. Non solo, ma le esperienze affettive sono sempre più vissute come realtà dell’io individuale, pieno del suo sentire e delle sue emozioni e quindi senza spazio per l’incontro con l’altro, che diviene così qualcosa di minaccioso da cui difendersi o del quale appropriarsi per non esserne a propria volta fagocitato.

Se si pensa all’affettività come irrazionalità (qualcosa di intenso che mi travolge, che mi fa diventare strano), o come emotività  (frutto di entusiasmi passeggeri), essa sembra quasi un fiume in piena da arginare: può accadere che l’affettività diventi più problema da cui difendersi che risorsa da mettere in gioco. Gli stili di vita che abbiamo sotto gli occhi e che condizionano anche i nostri sentimenti e i nostri valori affettivi sono sostanzialmente i seguenti:

stile di vita consumistico, orientato sui valori del denaro, del successo e della ricerca del guadagno per cui l’uomo vale per quello che ha con la conseguenza di percepire i sentimenti e le relazioni con mentalità commerciale e/o contrattuale…

Stile di vita individualistico, orientato sul valore della propria realizzazione personale, ma che, se non trova un equilibrio tra i valori del diritto e del dovere, può condurre a seguire la regola di vita seguente: l’uomo vale molto solo quando pensa prima di tutto a se stesso…

Stile di vita agonistico, orientato al primato della vittoria e della supremazia a tutti i costi, per cui l’uomo vale solo quando vince e se sconfigge gli altri. La conseguenza sulla nostra vita interiore è quella del fare tante esperienze affettive che siano sempre appaganti e al massimo fuggendo quelle in cui ci si può anche rimettere e perdere.

Stile di vita edonistico, orientato alla ricerca del divertimento e del piacere personale per cui l’uomo vale solo quando si gode la vita e si diverte con la conseguenza del cadere nella cultura dello “sballo” e della vita spericolata all’ennesima potenza: i giovani, ma non solo loro, sono i primi a rimanere condizionati.

Ricorrente è l’espressione “analfabetismo affettivo” per significare lo stato di immaturità personale diffuso in particolare tra adolescenti, ma anche tra giovani o adulti, in difficoltà ad assumersi impegni e responsabilità, in particolare quando devono compiere scelte che richiamano il “per sempre”, peraltro elemento costitutivo dell’amore. La condizione di immaturità affettiva, peraltro, emerge anche nelle stesse comunità cristiane, spesso caratterizzate da relazioni formali e che faticano a pensarsi come luoghi di relazione affettiva e di condivisione delle responsabilità e a volte anche tra quanti aspirano alla vita religiosa e al presbiterato.

  1. Una formazione che parte da lontano

L’affettività rappresenta per ogni essere umano un bene irrinunciabile, un bene da liberare, da fare emergere, da educare. Si tratta di un cammino da compiere per tutta la vita, che esige gradualità, ma nello stesso tempo punta in alto, alla qualità propriamente umana e dunque divina dell’affettività.

Eppure pare che nella nostra società, e spesso anche nella prassi pastorale delle nostre parrocchie, non ci si occupi affatto dell’educazione affettiva. I bambini vengono educati fin da piccoli sul piano cognitivo e comportamentale, mentre l’affettività sembra considerata come “non educabile”, e questo determina uno spontaneismo che si risolve in un puro soddisfacimento dei bisogni immediati.

Questa lacuna educativa ha come riscontro un mondo giovanile sempre più emancipato sul piano intellettuale e sempre più disorientato e in balia delle proprie dirompenti emozioni sul fronte relazionale ed affettivo.

Il mondo degli affetti chiede dunque di essere formato e, per così dire, “raffinato” da un lavoro educativo non meno lungo e impegnativo di quello richiesto per la formazione delle menti e delle cognizioni. La capacità di impegnarsi in un legame, di vedere gli affetti come il luogo dell’incontro con l’altro esige un lavoro che parte da lontano, come ben delineato nell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio. L’Esortazione recita:

“La preparazione al matrimonio va vista e attuata come un processo graduale e continuo. Essa, infatti, comporta tre principali momenti: una preparazione remota, una prossima e una immediata. La preparazione remota ha inizio fin dall’infanzia, in quella saggia pedagogia familiare, orientata a condurre i fanciulli a scoprire se stessi come esseri dotati di una ricca e complessa psicologia e di una personalità particolare con le proprie forze e debolezze. È il periodo in cui va instillata la stima per ogni autentico valore umano, sia nei rapporti interpersonali, sia in quelli sociali, con quel che ciò significa per la formazione del carattere, per il dominio ed il retto uso delle proprie inclinazioni, per il modo di considerare e incontrare le persone dell’altro sesso, e così via. È richiesta, inoltre, specialmente per i cristiani, una solida formazione spirituale e catechetica, che sappia mostrare nel matrimonio una vera vocazione e missione, senza escludere la possibilità del dono totale di sé a Dio nella vocazione alla vita sacerdotale o religiosa.

Su questa base in seguito si imposterà, a largo respiro, la preparazione prossima, la quale – dall’età opportuna e con un’adeguata catechesi, come in un cammino catecumenale – comporta una più specifica preparazione ai sacramenti, quasi una loro riscoperta. Questa rinnovata catechesi di quanti si preparano al matrimonio cristiano è del tutto necessaria, affinché il sacramento sia celebrato e vissuto con le dovute disposizioni morali e spirituali. La formazione religiosa dei giovani dovrà essere integrata, al momento conveniente e secondo le varie esigenze concrete, da una preparazione alla vita a due che, presentando il matrimonio come un rapporto interpersonale dell’uomo e della donna da svilupparsi continuamente, stimoli ad approfondire i problemi della sessualità coniugale e della paternità responsabile, con le conoscenze medico-biologiche essenziali che vi sono connesse, ed avvii alla familiarità con retti metodi di educazione dei figli, favorendo l’acquisizione degli elementi di base per un’ordinata conduzione della famiglia.

…Alle diverse fasi della preparazione al matrimonio – che abbiamo descritto solo a grandi linee indicative – devono sentirsi impegnate la famiglia cristiana e tutta la comunità ecclesiale”2.

La cura pastorale dei fidanzati, come suggerisce il Direttorio di Pastorale familiare, “va attuata in stretta sintonia con la pastorale giovanile e vocazionale e deve essere preceduta da attenzioni e iniziative rivolte a quanti, pur senza essere ancora fidanzati, cominciano ad assumere atteggiamenti paragonabili a quelli dei fidanzati stessi”3.

A tal riguardo possiamo segnalare un percorso4 nato all’interno della Commissione Regionale di Pastorale Familiare di Piemonte e Valle d’Aosta in collaborazione con l’Associazione Progetto AMOS, che si rivolge ai giovani che hanno iniziato ad “uscire insieme”, che si vogliono bene e che vogliono creare una coppia. Il percorso offre loro la possibilità di essere protagonisti di un cammino di scoperta di sé e della relazione con l’altro che potrà condurli verso un serio, equilibrato e maturo orientamento vocazionale verso il matrimonio o verso altre forme di vita e di testimonianza dell’amore.

Crediamo sia fondamentale per tutti coloro (coppie, preti, religiosi/e) che si stanno preparando a vivere in modo definitivo la scelta vocazionale, intraprendere un cammino che li aiuti a comprendere il vero significato della vita come vocazione all’amore.

“Poiché l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio che è amore (1Gv 4,8), nell’umanità dell’uomo e della donna è iscritta “la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione”. L’amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano”5.

Parlare di amore vuol dire coinvolgere la persona nella sua interezza: ogni uomo e ogni donna sono chiamati a vivere l’amore in modo totale, con il corpo e con lo spirito, di cui la sessualità è parte integrante. Siamo così interpellati ad inserire nei percorsi educativi delle nostre parrocchie, delle iniziative che aiutino i fanciulli prima e i ragazzi poi a crescere nella consapevolezza della bellezza del corpo come via per la realizzazione di ogni chiamata vocazionale.

  1. Affettività e sessualità unica via d’amore

Sesso, istinto, passione, piacere sono parole inflazionate e spesso strumentalizzate per scopi pubblicitari e commerciali. Chiediamoci:

-qual è il senso dell’essere sessuati?

-si tratta solo di istinto o solo di comportamento?

-quale nesso vi è tra piacere e dimensione relazionale?

Il sesso della persona umana non è mai puro istinto e anche se non è manifestato o deciso, contiene sempre un progetto. A differenza degli animali, nessun essere umano può fare il sesso per il sesso. Nessuna azione umana è solo istinto perché contiene sempre messaggi, valori, affetti, domande, positività o negatività. Il rapporto sessuale può esprimere molti bisogni e sentimenti quali prova di identità, fuga dalla solitudine, espressione di vero amore, sollievo dalla tensione e dallo stress, desiderio di avere un figlio… In genere la motivazione non è unica, ma si presenta in forma mista.

Per comprendere che cosa è la sessualità e come usarla, essa va vissuta nel quadro globale dell’intera persona. La sessualità richiama tutto l’Io della persona, è la relazione che determina le caratteristiche della vita affettiva e sessuale; non è l’esercizio della sessualità che fa nascere l’amore, ma è l’impegno ad amare che rende capaci di usare il sesso e dare significato umano alla genitalità. Nella sessualità “ben fatta e ben condotta” si incontrano due persone reali nelle loro dimensioni più visibili (corpo, gesti, espressioni) e più invisibili (sentimenti, spirito, valori…). Una personalità matura è in grado di vivere una sessualità matura, che abbraccia tutta la persona e ne attraversa con equilibrio tutte le dimensioni.

La differenza tra il femminile e il maschile, che spesso fa nascere conflitti, può far scaturire la scintilla che muove l’uno verso l’altra, la scintilla che annulla le distanze, la scintilla che avvicina l’uomo alla donna. L’identità personale e l’alterità si incontrano e le storie diverse dell’Io e del Tu, il passato che ha costituito la propria identità, devono trovare la possibilità di essere raccontate e accolte. Il femminile e il maschile devono trovare lo spazio per raccontarsi e farsi accogliere. La garanzia di riuscita di questa relazione è valorizzare la ricchezza della differenza, uscire da sé per andare verso l’altro.

Le diversità di sensibilità, interiorità, razionalità… nella coppia non sono elementi di contrapposizione o “lontananze invalicabili”, ma una provvidenziale risorsa da preservare. Allora esercitarsi nell’arte di uscire da sé per imparare ad abitare nell’alterità è tornare a sé arricchiti in una dinamica dialogica di confronto, amicizia, affettività e flessibilità.

“La gente ritiene che amare sia semplice, ma che trovare il vero soggetto da amare, o dal quale essere amati, sia difficile… Questa teoria può essere paragonata a quella dell’uomo che vuole dipingere, ma che, anziché imparare l’arte, sostiene che deve solo aspettare l’oggetto adatto e che dipingerà meravigliosamente non appena lo avrà trovato”6.

 

In effetti il problema sta proprio qui: io desidero l’amore, perché avverto che è questa la chiave della felicità; ma scopro che la riuscita dipenderà non tanto dall’oggetto che dipingerò, ma dalla mia capacità di dipingere…

È facile confondere la sete d’amore con il desiderio di sesso, che dell’amore è solo un segno, una spia. Se è vero che l’amore è:

-desiderio e parola

-ricerca della felicità, non solo del piacere

-gioia nel poter comunicare quello che si è è chiaro che non possiamo trovare l’amore semplicemente nella soddisfazione degli impulsi sessuali, che avvertiamo in modo intenso a livello fisico. Certo, ci si può benissimo accontentare di provare semplicemente piacere.

Ma allora bisogna con onestà rassegnare le dimissioni dalla categoria “uomini”: non c’è bisogno di arrivare fino al livello uomo per imparare il piacere. Ci si può fermare prima, senza tanta fatica.

Non basta, infatti, desiderare di amare; è necessario imparare l’arte di amare, di donarsi. Non solo: è illusorio credere di essere capaci di impegnare la propria vita insieme a “lui” o a “lei”, se non ci si prepara ad essere persone attive, nella vita di gruppo, nella costanza degli impegni assunti, nel superamento delle mie difficoltà, nella capacità di rendere un servizio efficace a chi ci sta vicino. L’amore vero non si trova già pronto, si costruisce.

  1. I fidanzati e la sessualità

Oggi, a causa dei lunghi percorsi di studio, della mancanza di lavoro o della precarietà, le coppie si avvicinano al matrimonio oltre i30 anni. Il tempo del fidanzamento per alcuni dura molti anni, per altri inizia molto tardi e questo fa sì che molte coppie ormai adulte abbiano già vissuto o stiano vivendo rapporti sessuali. Questo non è il tempo del moralismo o della penitenza, ma l’occasione che abbiamo per dire ai fidanzati la bellezza del corpo e della sessualità così come Dio l’ha pensata e voluta. Questo è il tempo per parlare di castità, che non è sinonimo di astinenza, ma rispetto profondo dell’altro.

Attraverso la Parola di Dio i fidanzati possono comprendere il significato della sessualità:

  1. a) la Parola ci lascia trasparire la sessualità come mistero. Per mistero non si intende ciò che non si capisce, ciò che è inspiegabile, ma ciò che non si può capire e spiegare completamente.

La sessualità è mistero perché è sempre inesauribile, perché non è mai posseduta, perché ha sempre bisogno di essere ulteriormente spiegata e compresa, perché è sempre una crescita.

Per quanto una coppia viva l’amore, la confidenza e l’abbandono, ci saranno sempre molti sentimenti e molti atteggiamenti che resteranno un mistero e una sorpresa.

  1. b) La Parola ci parla della sessualità come incontro. Qui non si parla dell’amore romantico. Non è un amore pieno di energia e di grande intensità emotiva, ma chiuso in se stesso. L’incontro, la cop-pia sono fatti per raggiungere l’altro così come è, nella sua “nudità”, nella sua ricchezza, senza volerlo asservire e possedere.
  2. c) La Parola ci parla della sessualità come unità nella differenza.

Quando il testo afferma che l’uomo e la donna hanno la stessa costola, non vuol dire che uno deve annullare se stesso per fondersi nell’altro… Non c’è coppia quando uno viene assorbito dall’altro. C’è coppia quando si è diversi ma insieme, quando si è due e si arriva a costruire un’unità, anche se con fatica e sofferenza.

Un altro aspetto molto concreto che questi testi biblici ci fanno prendere in considerazione è che per diventare una sola carne bisogna “lasciare il padre e la madre” (Gen 2,24). È necessario che questo avvenga realmente. Qualche volta tra un uomo e una donna si instaura una relazione che più che a un rapporto di coppia fa pensare al rapporto padre-figlia o madre-figlio. Si cerca nell’altro il padre o nell’altra la madre. In questi casi il rapporto dovrà ancora maturare e superare certe dipendenze. Il rapporto di coppia è maturo quando si è capaci di stare insieme senza prevaricare l’uno sull’altro.

  1. d) La Parola ci fa riflettere sulla sessualità come dono. Il sesso non è per sé, è per l’altro. È dono di sé all’altro. È celebrazione della relazione e dell’amore. La vocazione del sesso e della sessualità è di creare la comunione tra le due persone. La Parola ci chiama alla scoperta dell’amore, di un amore di dono e di intimità. Mai come nell’intimità siamo noi stessi: nudi, poveri, dipendenti dall’altro, senza alcuna paura di lasciar vivere in noi e di manifestare all’altro i sentimenti più belli e i segreti più profondi.

Donarsi totalmente non è facile perché ognuno cerca di prendere per sé, anche nella sfera sessuale. Per questo bisogna “vegliare” ed allenarsi per vivere bene l’aspetto unitivo valorizzando tutti i momenti della giornata nei quali siamo in contatto con il nostro coniuge: l’amore non si crea in camera da letto! Non diventiamo una sola carne con la semplice unione fisica se non siamo stati capaci di donarci ed accoglierci durante il resto della giornata.

Per conoscersi in queste diversità è importante che i due futuri coniugi imparino a comunicarsi sensazioni e desideri senza finzioni. Dobbiamo staccarci dai pregiudizi della società e costruire un rapporto che nasca dal dialogo e dalla conoscenza reciproca dei propri tempi e modi di provare piacere e dal rispetto per l’altro.

Il tempo del fidanzamento è l’occasione per comprendere che il rapporto sessuale dovrebbe essere un tipo di linguaggio attraverso il quale due coniugi si esprimono una donazione reciproca e totale, cioè una maniera privilegiata (ma non unica) di comunicarsi l’amore.

Essendo un tipo particolare di linguaggio, esso va sempre più imparato, affinato, approfondito, con un impegno che deve durare tutto l’arco della vita matrimoniale, perché possa diventare sempre di più un linguaggio d’amore. Come accade per il linguaggio verbale: dai semplici balbettii occorre progressivamente passare alla capacità di esprimere delle frasi compiute e di svolgere poi un argomento.

Sarebbe illusorio credere che in una coppia agli esordi, malgrado la seduzione e l’attrazione fisica, l’intesa sessuale si crei spontaneamente per il semplice fatto di dormire insieme. Il legame sessuale che si crea in una coppia è opera comune. E ci sarà alternanza costante di momenti di fallimento a momenti di successo, di momentanee delusioni e di gioie, di recriminazioni contro l’altro e di gesti di gratitudine.

Scrive il teologo Botero con una bellissima intuizione, commentando i racconti della creazione dell’uomo: “È molto significativo il fatto che l’autore sacro, quando scrive il secondo racconto della creazione lo ponga al futuro: “e i due saranno una sola carne”; il futuro sta ad indicare che “giungere ad essere una sola carne”, quasi a dire un’unica persona, non è qualcosa che avviene magicamente, bensì un compito da realizzare nel tempo”.

Siamo di fronte ad una visione originale e positiva della sessualità umana e siamo invitati a farla nostra. La sessualità è un dono di Dio all’uomo, è una sua dimensione fondamentale ed è per questo che va vissuta nel modo più umano e più profondo possibile. La sessualità è stata donata da Dio per creare comunione tra due persone, per creare la possibilità del vero incontro, per amare, per comunicare con il dono reciproco di tutto se stessi. La Bibbia ci insegna che non è il sesso a suscitare l’amore e a dargli il suo vero significato, ma esattamente il contrario: è l’amore che dà significato e contenuto al sesso. Riguardo a questa affermazione Benedetto XVI nell’Enciclica Deus Caritas est ci ricorda che l’uomo è corpo e spirito:

“Eros e Agape sono le due dimensioni dell’amore umano: l’una è strettamente legata all’altra e l’una non può sussistere senza l’altra.

Nella coppia bisogna saper vivere il dono di sé, perché se il rapporto sessuale è vissuto in modo egoistico rimane solo eros”.

Concludiamo con un pensiero di Vladimir Solov’ev che scandisce tre livelli dell’amore tra uomo e donna che, se sono compresenti nella giusta successione, formano come un albero con le radici, il tronco e la chioma, dunque un organismo vivo. Il fondamento della coppia è la comunione di loro due in Dio. L’amore che li ha visitati ha aperto loro gli occhi a questa verità. Poi si procede con un impegno davanti alla società, esplicitando la ferma volontà e l’impegno di entrambi di vivere secondo questa unità radicata nell’amore di Dio, così che la società possa beneficiare della loro comunione e allo stesso tempo tener conto dei loro impegni, che hanno dei risvolti anche nel mondo economico, sociale, educativo, ecc. Solo dopo arriva la comunione dei corpi come espressione della verità di quello che c’è stato precedentemente. È l’espressione di un contenuto di unità che ha un fondamento incrollabile che è Dio e che cresce attraverso i tanti momenti della giornata dove voi due morirete a voi  stessi per risorgere come persone nella comunione. L’amore sessuale diventa così per i coniugi un assaggio della felicità proprio perché è una sorta di iceberg, cioè un’espressione di comunione che corrisponde alla verità di un vissuto infinitamente più grande.

Poesia

“Ci hai dato un corpo. Ed ecco: sa parlare”7 

Signore, sei veramente formidabile!

Ci hai dato un corpo. Ed ecco: sa parlare.

Un nostro gesto ha in sé mille parole,

un nostro bacio è forte come un grido,

ogni carezza è come un fraseggiare,

domanda e offerta, confessione e dono.

Signore, sei veramente formidabile!

Questo linguaggio tutto personale

che dice quel che non sappiamo dire,

che apre al cuore porte sconosciute

per un incontro nuovo, tanto atteso

ma anche pieno di trepidazione,

questo linguaggio di carne che ci aiuta

a una più sconfinata confidenza

ha inscritti i segni della tua presenza

dentro di noi, nel nostro stesso corpo.

Aiutaci a parlar parole buone,

parole semplici, parole sempre nuove.

Fa’ che ogni gesto della tenerezza

sia un punto di partenza, non di arrivo,

sia mano aperta, delicata e attenta,

non mano che carpisce solitaria.

Signore, sei veramente formidabile!

Ci hai dato un corpo. Ed ecco: sa parlare.

Fa’ che ascoltiamo sempre al tuo cospetto,

e tu ci ascolti e ne gioisci. Amen.