N.06
Novembre/Dicembre 2012
Studi /

Creare l’incontro: vecchie e nuove agorà

In una ricerca sul disagio giovanile in Italia, da me diretta nel 1994, era emerso che il primo luogo di aggregazione dei giovani italiani era costituito dalle piazze e dalle strade. Infatti, ben il 71,0% dei giovani dichiarava che la piazza e la strada erano i luoghi in cui trascorrevano una parte significativa del loro tempo. Questo dato era superato solo dalla casa, mentre la scuola, ad esempio, registrava una percentuale inferiore (68,6%). Ho voluto citare questo dato per indicare come diciotto anni fa il luogo principale dell’incontro tra giovani fosse collocato in uno spazio urbano fisico, in cui i rapporti con gli altri, gli amici in particolare, era esclusivamente “faccia a faccia” e come, pur non essendo la struttura urbanistica delle città contemporanee, soprattutto nelle periferie, particolarmente vocata all’incontro tra le persone, i giovani riuscissero a crearsi dei microspazi urbani relazionali. Oggi, pur persistendo il fenomeno delle aggregazioni spontanee di gruppi giovanili informali nelle strade e nelle piazze, la situazione è significativamente diversa per la progressiva sostituzione di quote sempre più rilevanti dello spazio-tempo, di cui fanno parte le strade e le piazze, da parte dello spazio-velocità.

Per comprendere quest’affermazione è necessario ricordare che l’uomo per millenni ha abitato esclusivamente lo spazio-tempo, ma, che da alcuni decenni il suo habitat è mutato e ciò fa sì che egli viva sia nello spazio-tempo sia nello spazio-velocità. Quest’ultima espressione è stata coniata da Paul Virilio che con essa indica lo spazio disegnato dai media elettronici. Com’è noto, questi media trasmettono i loro messaggi a una velocità prossima a quella della luce. Secondo la fisica relativistica, alla velocità della luce il tempo tende a zero, cioè non scorre e rimane fissato nell’istante atemporale simile a quello delle radiazioni elettromagnetiche presenti prima del big bang. Ciò significa che i media elettronici disegnano uno spazio in cui il tempo non scorre, o lo fa quasi impercettibilmente, e in cui domina la realtà dell’istantaneo. L’emersione della quasi velocità della luce nella comunicazione, grazie alle scoperte dell’elettronica, ha fatto sì che non solo si modificasse l’esperienza umana del tempo, ma che anche lo spazio smarrisse la sua dimensione costitutiva: la distanza. La comunicazione elettronica, infatti, ha abolito la distanza e, quindi, la faticosità del percorrerla perché attraverso il computer, il telefono, la televisione e la radio è possibile raggiungere persone e luoghi situati all’altro capo del mondo pressoché istantaneamente e senza alcuna fatica. Lo spazio dello spazio-velocità appare quindi come uno spazio paradossale privo della distanza e in cui non è più presente lo scorrere del tempo della storia. Questo spazio è quanto di più lontano esista dallo spazio della natura in cui l’uomo ha sempre abitato, almeno sino all’avvento della società industriale. Occorre però dire che l’uomo contemporaneo non abita ancora completamente lo spazio-velocità perché trascorre una parte consistente del suo tempo all’interno del “vecchio” spazio-tempo, che, anche se non è più uno spazio-tempo naturale perché permeato dalla tecnica, non è ancora pienamente uno spazio-velocità. Si ha, ad esempio, un’esperienza di questo spazio-tempo tradizionale quando si attende un autobus o si è in coda in qualche ufficio pubblico. Questo abitare sia lo spazio-tempo sia lo spazio-velocità rende l’uomo anfibio e differenzia notevolmente chi abita con una certa continuità, durata e intensità lo spazio-velocità da chi lo abita saltuariamente o non lo abita per niente. Occorre però fare attenzione a non identificare gli abitanti dello spazio-velocità esclusivamente con gli utilizzatori di internet, perché anche chi non utilizza questo medium di solito guarda per molte ore al giorno la televisione e usa il telefono fisso e/o quello portatile. Non solo. Queste persone, magari per mezzo di mediatori professionali, usano dei terminali connessi in rete per accedere a un’ampia gamma di servizi necessari alla loro vita quotidiana. Coloro che non abitano per nulla lo spazio-velocità sono oramai una piccola minoranza, un vero e proprio resto di Israele. L’esperienza anfibia di abitare contemporaneamente lo spazio velocità e lo spazio-tempo ha dei profondi riflessi non solo sui modi di vivere, ma sulla forma e sulla qualità dell’essere. Per comprendere la profondità di questa trasformazione è necessario ricordare che sino a un recente passato lo spazio per eccellenza dell’uomo, quello che ha sempre concretamente sperimentato, era il territorio. Infatti, è in questo spazio che era inscritta la comunità/società in cui egli viveva. Nella storia umana allo spazio dello spazio-tempo tradizionale hanno sempre corrisposto delle comunità che erano caratterizzate, oltre che dal legame solidale tra i loro membri, anche da quello, altrettanto solidale, con lo spazio fisico in cui erano insediate. Al contrario, allo spazio dello spazio-velocità corrispondono comunità prive di un qualsivoglia legame con lo spazio fisico. Il passaggio da comunità localizzate in uno spazio fisico a comunità prive di riferimenti a un luogo è stato chiamato da alcuni antropologi “deterritorializzazione”. Per comprendere questo fenomeno è necessario esplorare prima che cosa designa esattamente la parola “territorio”.

  1. Il territorio

La parola “territorio” possiede una pluralità di significati a seconda della disciplina al cui interno si declina. Questa polisemia è dovuta al fatto che nel referente cui la parola rimanda, sono presenti tre gruppi di elementi diversi: ecologici, biologici e antropologici. Infatti, il territorio è costituito da elementi naturali come la terra, le rocce, le montagne, i fiumi, i mari, ecc., da elementi biologici, tra cui in particolare la copertura vegetale e la fauna, e, infine, da elementi umani costituiti dall’uomo e dalle sue opere. Secondo Sack1 il territorio è la realtà controllata e modificata dalla società dotata di un confine. Quest’approccio evidenzia che il territorio non può essere considerato una sorta di palcoscenico su cui si svolgono gli eventi umani, perché esso è, almeno in parte, il prodotto delle relazioni che gli esseri umani hanno con se stessi, con gli altri e con la natura. In questa prospettiva il territorio deve essere considerato come un sistema vivente complesso e aperto che non è presente in natura, essendo il prodotto della territorializzazione, in altre parole della strutturazione sociale e culturale dello spazio fisico da parte della società che in esso risiede. Questa strutturazione dello spazio possiede un elevato carattere simbolico perché pone in stretta relazione il luogo fisico, la cultura sociale, con i suoi sistemi simbolici, e l’economia. Questo fa sì che nello spazio territorializzato la natura evochi la cultura e questa la natura. Questo intreccio profondo tra natura e cultura che ha luogo nel territorio affonda le sue radici nelle origini della civiltà umana e, quindi, dell’umanizzazione.L’uomo, infatti, è emerso alla cultura e, quindi, alla civiltà quando ha strutturato lo spazio in cui era immerso. Infatti, l’uomo ha avuto accesso alla coscienza di sé nello stesso momento in cui, conquistata

la posizione eretta e la lingua, ha dovuto superare lo spaesamento, il disorientamento di trovarsi immerso in uno spazio apparentemente privo di confini, ricco di risorse ma anche di minacce attraverso l’orientatio, che altro non è che la partizione dello spazio. A partire da questa esperienza originaria – sentirsi gettati in mezzo ad una estensione apparentemente illimitata, sconosciuta, minacciosa – si elaborano i vari mezzi di orientatio; infatti, non si può vivere a lungo nella vertigine provocata dal dis-orientamento. Questa esperienza dello spazio orientato intorno a un centro spiega l’importanza delle divisioni e delle partizioni esemplari di territori, agglomerati, abitazioni, e il loro simbolismo cosmologico2. È l’orientatio che ha reso lo spazio un territorio e ha consentito all’uomo di abitare una realtà fisica gravida di significati simbolici, facendo sì che gli elementi naturali, biologici e umani assumessero dei significati la cui origine non è rintracciabile nella loro natura3. Da questa rapida escursione nella definizione di territorio emerge con evidenza che l’uomo non abita la “natura”, ma uno spaziotempo in cui sono integrati sistemi naturali e simbolici.

  1. La de-territorializzazione

La realtà del territorio, soprattutto per quanto riguarda le sue radici simboliche, sembra essere oggi per molti versi in crisi, tanto che alcuni studiosi parlano dell’esistenza nell’attuale realtà socioculturale di un fenomeno di de-territorializzazione. Questa crisi non è prodotta solo dallo spazio-velocità, anche se esso ne è una componente importante, ma, come si vedrà tra breve, da alcune disgiunzioni prodotte comunque dagli stessi media elettronici che sono alla base della nascita dello spazio-velocità. La deterritorializzazione, come prima accennato, è un fenomeno che tende a dissolvere il rapporto biunivoco tra lo spazio fisico e la cultura della società che in esso è insediata. È una rottura della relazione profonda, prima descritta, delle persone con il territorio in cui vivono e che è sperimentata in modo particolare dalle grandi masse di persone che emigrano dal loro luogo di origine alla ricerca di lavoro o fuggendo da carestie e guerre. Questo fenomeno sarebbe il risultato di cinque disgiunture tra economia, cultura e politica che si possono osservare, ad esempio, nella relazione tra cinque dimensioni dei flussi culturali globali che sono chiamate: etnorami, mediorami, tecnorami, finanziorami, ideorami. Si tratta di cinque panorami che possono essere considerati i mattoni dei mondi immaginati, dei molteplici mondi che sono costituiti dalle immaginazioni storicamente localizzate di persone e gruppi diffusi sul pianeta4.

  1. L’etnorama è il panorama disegnato dal movimento delle persone nel pianeta per motivi di lavoro, di turismo o di emigrazione. Ogni istante nel mondo ci sono centinaia di milioni di persone in movimento e questo fenomeno sembra in grado di influenzare in modo inedito la politica delle nazioni. Questo non significa, come osserva Appadurai: che non ci siano comunità relativamente stabili e reti di parentela, amicizia, lavoro e tempo libero, così come la nascita, la residenza e altre forme di affiliazione. Ma significa che la trama di queste stabilità è percorsa ovunque dall’ordito del movimento umano, quanto più persone e gruppi affrontano la realtà di doversi muovere o la voglia di volerlo fare5.
  2. Oltre alle persone in movimento nel mondo ci sono anche le immagini mediatiche. Mentre nel passato c’erano le persone in movimento ma non le immagini, oggi, invece, accanto alle persone in movimento ci sono anche le immagini. Il panorama delle immagini in movimento è il mediorama, che è la distribuzione delle capacità elettroniche di produrre e diffondere, unitamente alle immagini del mondo create dai media elettronici6, l’informazione. In altre parole, la televisione, i video, ecc., forniscono agli spettatori in tutto il mondo un insieme variegato di immagini in cui i confini tra ciò che è realtà e ciò che è fiction sono estremamente labili, soprattutto per le persone che vivono lontano dalle realtà che sono rappresentate dalle immagini. Queste narrazioni mediatiche: offrono a coloro che li utilizzano o modificano una serie di elementi (come personaggi, trame e forme testuali) con i quali è possibile dar forma a sceneggiature di vite immaginate, vite degli spettatori stessi, ma anche vite di altri che vivono altrove. Queste sceneggiature possono essere disaggregate (e di fatto lo sono) in insiemi complessi di metafore per mezzo di cui la gente vive7 e aiutano a costruire narrazioni dell’Altro e narrazioni di vite possibili, fantasie che potrebbero diventare premesse al desiderio di acquisizione e movimento8.
  3. Il finanziorama, invece, è costituito dal movimento dei capitali finanziari che si spostano continuamente e molto velocemente da un capo all’altro del pianeta, alla ricerca del mercato finanziario che può offrire loro le maggiori opportunità di guadagno momento per momento, anche se si tratta di piccoli scarti percentuali.
  4. L’ideorama, così come il mediorama, è formato da concatenazioni di immagini, con la differenza che si tratta di immagini politiche legate a ideologie, contro-ideologie e movimenti politici.

Secondo Appadurai gli ideorami «si compongono di elementi della versione mondiale dell’Illuminismo che consiste in una serie di idee, termini ed immagini, tra cui libertà, benessere, diritti, sovranità, rappresentanza e il termine principe, democrazia»9. Queste idee circolano e si insediano in culture sociali con tradizioni radicalmente diverse, perdendo la loro coerenza interna e manifestandosi spesso in rozze traduzioni.

  1. Infine, il tecnorama è costituito dal movimento delle tecnologie e non solo per quanto riguarda la loro diffusione e vendita in ogni parte del mondo, ma anche per l’insediamento di centri di produzione delle tecnologie in luoghi in cui sino a quel momento era assente qualsiasi tradizione produttiva o di ricerca in ambito scientifico/tecnologico.Questo perché: l’iniqua distribuzione della tecnologia, e quindi la peculiarità di questi tecnorami, sono sempre più dovute non a qualche ovvia economia di scala, o al controllo politico o alla razionalità del mercato, ma a relazioni sempre più complesse tra flussi di denaro, possibilità politiche e disponibilità di forza lavoro altamente specializzata e comune10. Questi cinque panorami costituiscono i fattori più importanti alla base della rottura del legame delle persone con la loro terra che, come prima si è visto, nel passato era considerata madre. Tra l’altro, questi flussi hanno fatto e fanno sì che nello stesso spazio fisico vivano persone che abitano culture diverse e ciò crea una pluralità di territori che insistono nello stesso spazio naturale. Si può dire che i media elettronici, oltre ad aver creato lo spaziovelocità, hanno anche inciso profondamente sullo spazio tradizionale, rompendo il legame che univa determinati comportamenti, atteggiamenti e stili di vita a specifici spazi fisici e simbolici aut territori. All’interno della deterritorializzazione è in corso poi una rapida e per ora irreversibile espansione di quei territori particolari che Marc Augé ha chiamato “nonluoghi”. Occorre tener presente che per questo antropologo il luogo è uno spazio umanizzato che assolve a tre funzioni: identitaria, relazionale e storica. Infatti, i luoghi offrono a chi appartiene ad essi un’identità, rendendolo riconoscibile sia a chi è all’interno sia a chi è all’esterno del luogo, lo inseriscono in un sistema di relazioni particolari tipiche di quel luogo e, infine, gli offrono una memoria e una tradizione che lo fanno sentire parte di una storia. Seppur letto da una prospettiva concettuale diversa, il luogo è nient’altro che un modo diverso di declinare il territorio e si può dire che il referente di questa parola è molto vicino a quello della parola territorio.

I nonluoghi sono spazi umanizzati che, a differenza dei luoghi, non offrono alcuna identità, non inseriscono le persone che sono presenti in essi in sistemi relazionali particolari e in una storia. Concretamente, essi sono tanto le installazioni necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni, quanto i mezzi di trasporto stessi, o i grandi centri commerciali o, a livello micro, i bancomat e i distributori automatici di bevande. La vita delle persone nelle aree urbane si svolge in una sorta di pendolarismo tra lo spazio deterritorializzato e i nonluoghi. È interessante osservare che i luoghi del territorio che i giovani hanno eletto ad agorà sono spesso dei nonluoghi allo stesso modo delle agorà virtuali, di cui si parlerà più avanti.

  1. La crisi delle comunità territoriali e la nascita delle comunità di destino e di sentimento

Da quanto detto sinora appare evidente che nella storia umana il territorio è strettamente intrecciato con la comunità, cioè, con quel gruppo di uomini che, nello stesso spazio-tempo, condividono scopi comuni e i cui progetti di vita individuali sono reciprocamente legati da un profondo vincolo di solidarietà. In un passato anche recente comunità e territorio erano, di fatto, due elementi complementari del mondo umano, in cui l’uno non poteva dirsi senza l’altro. Come si è appena detto definendola, la comunità, nelle sue varie forme e manifestazioni culturali, è sempre stata il luogo in cui le persone potevano inscrivere il proprio progetto personale di vita all’interno di un progetto collettivo e, quindi, condividerlo attraverso i vincoli di solidarietà e altruismo. Oggi, in questa fase storica, si assiste, invece, all’attribuzione all’individuo di una centralità assoluta che gli assegna, in modo esclusivo, l’onere di tessere l’ordito della sua vita e la responsabilità totale del successo o del fallimento, che cade principalmente sulle sue spalle. In altre parole, è in atto, come sostiene Bauman, la liquefazione dei legami comunitari e ciò fa sì che le comunità assumano sempre di più la funzione di semplici contenitori di progetti individuali. La liquefazione dei legami comunitari tocca anche quella particolare comunità che è la famiglia, che perde la sua caratteristica di luogo di un progetto condiviso per divenire, in molte situazioni, il luogo della convivenza, all’interno di una relazione d’intimità, di progetti individuali reciprocamente impermeabili. In queste comunità nessun membro è disponibile a rinunciare a una parte del proprio progetto personale per sostenere quello dell’altro o la costruzione di un progetto che realizzi il bene comune della comunità. Tuttavia, accanto alla liquefazione dei legami nelle comunità territoriali, si sta assistendo, grazie alla rete di comunicazione disegnata dai media elettronici e, quindi, allo spazio-velocità, alla nascita nel mondo di tipi di comunità che Appadurai definisce “comunità di sentimento” e che sono formate da persone che immaginano e sentono collettivamente. Infatti, «la fruizione collettiva dei mass media, soprattutto, film e video, può creare sodalizi di culto e carisma»11. Questi sodalizi «sono comunità in sé, ma sempre potenzialmente comunità per sé, in grado di muoversi dall’immaginazione condivisa all’azione condivisa»12.Questo indica chiaramente che alla crisi del territorio, definita de-territorializzazione, corrisponde la crisi delle comunità localizzate in un territorio e la nascita di comunità de-territorializzate. Comunità in cui il legame di prossimità fisica è sostituito da quello di prossimità virtuale. Sono comunità che abitano quasi esclusivamente lo spazio-velocità. È interessante osservare che questo tipo di comunità è in grado di esercitare sulle persone che le abitano la stessa, se non maggiore, influenza delle comunità tradizionali. Quelle in cui questa influenza è molto più forte sono definite, non casualmente, comunità di destino.

  1. Le agorà virtuali

Se, come si è visto, vent’anni fa i giovani abitavano esclusivamente le agorà territoriali e formavano in esse delle piccole comunità, oggi essi abitano anche quelle virtuali prodotte dai media elettronici, in cui creano comunità di sentimento e, in casi più rari, di destino. Ci sono purtroppo anche giovani che incontrano gli altri quasi esclusivamente nelle agorà virtuali e che non appartengono ad alcuna comunità territoriale, così come ve n’è una minoranza, ancora più esigua, che abita solo le agorà territoriali. Le agorà virtuali sono quelle che nascono tanto dall’intreccio delle comunicazioni elettroniche, come gli sms, gli MMS, i video, la fruizione comune di contenuti mediali, quanto dalla partecipazione a social network, community, forum, chat, ecc. In queste nuove agorà si formano le comunità di sentimento e di destino. La caratteristica di queste comunità è che le relazioni tra i loro membri s’instaurano tra le immagini che essi offrono di sé stessi e ciò ha come conseguenza che l’accettazione e l’accoglienza reciproca è normalmente limitata e esistenzialmente non autentica. In questo tipo di relazione interpersonale, infatti, le persone possono indossare la maschera che sanno essere più facilmente accettata e apprezzata dai loro interlocutori e, nello stesso tempo, narcisisticamente più gratificante. Tra l’altro questa immagine corre uno scarso rischio di essere smentita essendo la meta comunicazione presente nei messaggi elettronici molto debole e non certamente in grado di coprire l’ottanta per cento del significato da essi veicolato, come accade nei messaggi scambiati nelle comunicazioni faccia a faccia. La metacomunicazione, poi, è anche assente dai feedback e ciò ha come conseguenza la scarsa creazione di significati comuni intorno ai segni linguistici utilizzati e ciò fa sì che spesso le comunicazioni, più che scambi, siano monologhi, in cui la persona pensa di comunicare un certo significato, ma questo però è decodificato e compreso in modo differente da chi lo riceve. Secondo Baudrillard13 si verifica una vera e propria implosione del soggetto in se stesso, prodotta da una comunicazione che non riesce a condurre le persone ad intraprendere la rischiosa ma affascinante avventura dell’incontro con le soggettività degli altri. In altre parole, questo significa che la parola, invece di promuovere la comunione, incentiva la separazione e l’imprigionamento delle persone in una soggettività che nella realtà sociale odierna ha sempre più un volto narcisistico. Una parola che, privata delle emozioni che il corpo comunicando esprime, riduce il proprio significato a quello lessicale svuotandosi della capacità di comunicare il mondo del soggetto che la esprime. Il mondo delle emozioni che la parola veicola durante l’incontro personale, faccia a faccia, non è certo surrogabile con l’uso di emoticon più o meno raffinate. Tuttavia, nonostante questi limiti, esiste la possibilità di creare un incontro più autentico tra le persone anche nelle agorà virtuali. Ciò richiede l’uso di una lingua più ricca, l’abbandono di immagini preconfezionate e, quindi, una progressiva e prudente rivelazione di sé e certamente un incremento della multimedialità dei messaggi che vengono scambiati, perché questo consentirebbe alla metacomunicazione di essere maggiormente presente negli scambi dell’agorà virtuale. In ogni caso, però, dovrebbero esistere dei percorsi, adeguatamente protetti, in grado di condurre i membri di una comunità di sentimenti alla formazione di una comunità territoriale all’interno di un’agorà urbana. Infatti, se è vero che l’uomo può abitare lo spazio-velocità, non può però uscire dallo spazio-tempo dematerializzandosi, perché la prima a risentirne sarebbe la sua anima, poiché, come sottolineava S. Tommaso d’Aquino con la formula anima forma corporis, non c’è anima senza corpo e non c’è corpo senza anima. Ciò significa che un incontro di anime richiede nel mondo umano anche quello dei corpi. Oltre a questo, senza il corpo nella comunicazione non si ha un’esperienza reale della finitudine umana  e, quindi, la reciproca accettazione della debolezza che segna ogni persona in relazione. E questo impedisce l’erompere dell’invocazione verso il mistero che trascende i limiti della vita umana e, quindi, l’apertura creaturale al divino.