N.06
Novembre/Dicembre 2012

Dalla casa all’agorà: sentirsi inviati…

Come aiutare i giovani e gli educatori che vogliono la loro maturazione ed il loro bene, a non lasciarsi sopraffare dalla “dolorosa immobilità” delle non scelte, dalla paura contagiosa di gettarsi nella mischia per vivere una full immersion nelle tante “agorà” che la vita ci propone oggi?

L’attuale numero di «Vocazioni» conclude l’anno 2012 con una tematica originale e profondamente vocazionale: “Vocazione e responsabilità per il Bene comune”. Si tratta di alcune piste di riflessione, suggerite da autori altamente qualificati, anche come maestri di vita, per trovare il coraggio di andare oltre le paure e i timori esistenziali nel proiettare la vita e il cuore verso gli spazi aperti del dono; per imparare “l’arte del volare alto”, abbandonando la sicurezza del ramo a cui tutti noi siamo tenacemente aggrappati. Scegliere di lasciare dietro alle spalle la soglia della propria casa, per andare nelle piazze della vita e del mondo, è una via possibile e percorribile: solo accettando di vivere le resistenze e le paure tipiche del cuore umano, potremmo trovare pienezza di serenità e pace interiore.

Nel Messaggio per la GMPV del 13 aprile 2008, Papa Benedetto XVI coglie questa trepidazione e insieme rilancia con forza la scelta di sentirsi inviati nelle Agorà del mondo e della storia, portando l’annuncio di una buona notizia e l’impegno di prendersi cura degli altri: «Gesù si scelse dei discepoli, come stretti collaboratori nel ministero messianico, già nella vita pubblica, durante la predicazione in Galilea. In occasione della moltiplicazione dei pani, Egli disse agli Apostoli: “Date loro voi stessi da mangiare” (Mt 14,16), stimolandoli così a farsi carico del bisogno delle folle, a cui voleva offrire il cibo per sfamarsi, ma anche rivelare il cibo “che dura per la vita eterna” (Gv 6,27). Era mosso a compassione verso la gente perché, mentre percorreva le città ed i villaggi, incontrava folle stanche e sfinite, “come pecore senza pastore” (cf Mt 9,36). Da questo sguardo di amore sgorgava il suo invito al discepoli: “Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9,38)».

Gesù si fa carico del bisogno della gente, soprattutto di quella che è frustrata e depressa, stanca e sfinita, e incoraggia i suoi apostoli a fare altrettanto. Questo aspetto ci viene proposto in maniera emblematica nel Vangelo di Matteo. I Vangeli del tempo di Avvento, del S. Natale e della festa della Santa Famiglia, vanno a zoomare, in maniera decisa, sulla figura di San Giuseppe, facendoci riscoprire il senso misterioso e affascinante del suo Sì.

Giuseppe è l’uomo del Sì silenzioso e totale, pur nel mistero della comprensione di quanto a lui viene chiesto.

Giuseppe è uomo dei sogni: mani indurite dal lavoro e cuore intenerito da Maria; non parla, ma il suo silenzio è un amore senza parole:«Il più alto raggiungimento nella fede è rimanere in silenzio

e far sì che Dio parli e operi internamente» (Meister Eckhart).

Giuseppe, come Israele nel deserto, è «messo alla prova per vedere che cosa si radicava nel suo cuore». Ogni amore vero deve varcare la soglia stretta per compiere il passaggio denso di stupore e di amore: dal possedere al proteggere.

In sintesi potremmo individuare tre vie relazionali, umane ed ecclesiali, per vivere la immersione nelle “agorà” e nella “civitas” del nostro tempo.

La via dell’essere con: la compagnia. Lo stare con gli altri è esattamente all’opposto dell’indifferenza che spesso ci avvolge, come una nube di smog velenoso.

La via dell’essere per: la gratuità. Solo chi è libero dall’ossessione di pensare e ripensare a se stesso diventa disponibile al dono e alla diakonìa, e noi tutti avvertiamo il fascino e il “profumo” di coloro che hanno scelto di vivere per l’altro.

La via dell’essere in: la contemplazione nella preghiera. Significa immergersi nell’oceano dell’Assoluto, sapendo che in esso non si annega, ma si vive; che in esso non ci si perde, ma si trova la sorgente del proprio essere.

Nel suo diario autobiografico Linea di vita (Rizzoli, Milano 1967, p. 106), Dag Hammarskjòld, primo Segretario generale dell’ONU, afferma: «Nell’Uno non sei mai solo; nell’Uno sei sempre a casa tua».

 

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