N.02
Marzo/Aprile 2013

Fede e speranza: le radici feconde della vocazione

Volendo cercare una modalità viva ed incisiva per esprimere quanto è stato vissuto e celebrato nel Convegno Vocazionale Nazionale, svoltosi a Roma dal 3 al 5 Gennaio u.s., vorrei fare un esplicito riferimento all’opera del pittore francese Henri Jean-Guillaume Martin (Tolosa, 5 agosto 1860 – La Bastide-du-Vert, 12 novembre 1943), a cui le cover di Vocazioni 2013 si ispirano. Nel quadro scelto per questo numero, Salici nel verde, c’è un riferimento simbolico significativo che ci aiuta a focalizzare il senso del convegno.

Il salice… un tipo di pianta che ama affondare le proprie radici nel terreno umido e fecondo e i cui rami sono particolarmente si­nuosi e flessibili. Nel mondo greco-romano, questo albero veniva collegato sempre all’elemento acqua ed era connesso al futuro ultraterreno della vita. Radici profonde e orizzonte dell’aldilà: un modo efficace per proporre, attraverso la metafora del sa­lice, che la nostra esistenza e ogni storia vocazionale, affonda le proprie radici di scelte e di progetto nel cuore di Dio e nella vita di una comunità cristiana viva e appassionata; inoltre, deve avere lo sguardo ampio di chi sa sognare in grande e coltivare i propri desideri stagliati su un futuro di bene e di speranza da costruire insieme.

Un Convegno da cui sgorga un grande inno alla fraternità condivisa, al senso di una Chiesa in cammino, che si pone doman­de radicali e profonde sul senso dell’annuncio del Vangelo della Vocazione; che cerca con umiltà, prega con gioia, vive e testimonia una fede fondata e radicata sulla speranza, dove la via della bellezza diviene il primo strumento di annuncio vocazionale.

Figure evocate durante il Convegno, come quella del Cardinale viet-namita François Xavier Nguyên Van Thuân, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, parlano al cuore dell’uomo e dei giovani del nostro tempo di accoglienza, dolcezza e pazienza, che spes­so si rivelano modalità comunicative forti ed efficaci, più delle parole.

«Sperare si può… Sempre! In qualunque circostanza, a qualunque costo!» (Card. F.X.N. Van Thuân).

«Rispondere alla vocazione, consegnando se stessi senza riserve a Dio, vuol dire vivere in pienezza, perché l’unico atto col quale l’uo­mo può corrispondere al Dio che si rivela è quello della disponibilità illimitata»: è questo l’atteggiamento suggerito da S.E. Mons. Bruno Forte, che con la sua relazione ha concluso i lavori del Convegno. Un colpo d’ala importante e rimotivante per coloro che operano nell’am­bito spesso arduo e talvolta povero di gratificazioni, come quello della pastorale vocazionale.

 

Beati coloro che fanno della loro vita un canto di Speranza

Ci sono sempre più persone disorientate nella loro scelta di vita: esse non sanno più a che serve la loro esistenza e dove sia l’essenziale della loro vocazione. La vita non è più un canto di festa, ma un conti­nuo gemito di lamento e di dolore.

Come afferma lo scrittore Antoine de Saint-Exupéry, nella vita si possono incontrare mercanti di ogni tipo: anche il mercante che vende pillole contro la sete, per poter risparmiare il tempo di bere! Che fare di quel tempo? Non dovremmo avere dubbi: camminiamo a piedi, len­tamente, per cercare una fontana, un pozzo da cui bere l’acqua fresca.

Crediamo che nel cuore di ogni uomo, ma in particolare dei gio­vani, c’è un profondo bisogno di amore personale, “oltre il buio” del dubbio, oltre l’abbattimento della solitudine, vivendo come compagni di viaggio dei nostri giovani e accettando di essere presenze di ascolto.

Crediamo che l’altro nome della Vocazione è “Speranza”. È un im­pegno a risvegliare il senso del “desiderio” purificato dalla contempla­zione della Parola di Dio e reso trasparente dal depositarlo, con la pre­ghiera, nel cuore del Signore. E la Vocazione è Speranza se la pastorale vocazionale è “preghiera”.

Crediamo che le nostre comunità cristiane possono tornare ad es­sere realmente più “vocazionali”, nella misura in cui si sforzeranno di vivere una Fede meno statica e più generativa, meno efficientistica e forse organizzatrice e più ricca di interiorità e di annuncio della bellez­za e del fascino del tuo volto.

Crediamo che l’annuncio del Vangelo della Vocazione sia portare un annuncio di Speranza, uno squarcio di cielo che ci permette di ve­dere l’aurora che sorge e i germogli della primavera, perché la

Speranza è profondamente legata all’essere pellegrini della Verità, del Senso della vita e cantori dello Stupore e della Meraviglia che la nostra voca­zione porta in sé.

Crediamo di dover vivere nel presente, nell’ora di Grazia che ci è donata, con uno sguardo rivolto al futuro, ma con la libertà del cuore di imparare dal passato.

Non siamo chiamati a dire cose originali o nuove, ma a parlare con il linguaggio del cuore, che nasce solo da una rapporto affettuoso con il Signore, facendo nostre, in profondità e con coraggio, le parole del poeta Charles Péguy:

«La Fede è una Sposa fedele.

La Carità è una Madre. Una madre ardente, ricca di cuore.

La Speranza è una bambina insignificante».

Ma è questa piccola bambina insignificante che trascina con sé, quasi in un volo radente, le due Sorelle maggiori: la Fede e la Carità.