N.02
Marzo/Aprile 2013

“Noi siamo divinamente chiamati da Cristo”

Rubrica: Pagine di Concilio

La seconda pagina che vogliamo aprire, dello stupendo Libro conciliare, è quella della Liturgia1. Pagina essenziale ed impegnativa per comprendere l’intima vocazione della Chiesa e, in essa, di ciascuno di noi.

La Costituzione Sacrosanctum Concilium fu la prima delle Costituzioni ad essere approvata, proprio in chiusura della seconda sessione, il 4 dicembre 19632. Nel fatto che fosse la prima ad uscire dalle mani e dal cuore dei padri conciliari, Paolo VI ravvisava una scelta di valore:

«In questo fatto ravvisiamo infatti che è stato rispettato il giusto ordine dei valori e dei doveri: in questo modo abbiamo riconosciuto che il posto d’onore va riservato a Dio; che noi come primo dovere siamo tenuti ad innalzare preghiere a Dio; che la sacra Liturgia è la fonte primaria di quel divino scambio nel quale ci viene comunicata la vita di Dio, è la prima scuola del nostro animo, è il primo dono che da noi dev’essere fatto al popolo cristiano, unito a noi nella fede e nell’assiduità alla preghiera; infine, il primo invito all’umanità a sciogliere la sua lingua muta in preghiere sante e sincere ed a sentire quell’ineffabile forza rigeneratrice dell’animo che è insita nel cantare con noi le lodi di Dio e la speranza degli uomini, per Gesù Cristo e nello Spirito Santo»3.

Paolo VI commenta in termini di profonda spiritualità quanto SC 10 indica come “culmine e fonte” attribuendo all’azione liturgica una priorità che scaturisce dall’azione stessa di Dio che santifica il proprio popolo. Una scuola, quella della liturgia, che plasma l’essere del credente, ma non solo. La liturgia viene descritta anche come “appellante”: chiamata all’umanità intera a sciogliere la sua lingua muta. Si potrebbe affermare che la dinamica dialogica della liturgia venga additata come paradigma della vita credente che si lascia coinvolgere nell’ esperienza di Dio e desidera coinvolgere nello stesso mistero quanti, lontani da Dio, hanno smarrito le parole per rivolgersi a Lui.

  1. Cristo principio, guida e via, speranza e meta

Ci soffermiamo sul Discorso iniziale della seconda sessione, perché in esso la dimensione cristica e liturgica pervade le affermazioni montiniane, fin dalle domande iniziali:

«Da dove prenderà l’avvio, Venerabili Fratelli, il nostro cammino? E poi che via si dovrà seguire…? Infine, quale traguardo si dovrà prestabilire al nostro percorso? Queste tre domande, che all’intelletto sono così elementari ma sono della massima gravità, hanno un’unica risposta, che abbiamo ritenuto di doverci ribadire in quest’ora solenne e in quest’assemblea e proclamare al mondo intero: che cioè Cristo, diciamo Cristo, è il nostro principio, Cristo è la nostra guida e la nostra via, Cristo è la nostra speranza e la nostra meta»4.

Cristo il nostro principio, Cristo la nostra guida e la nostra via, Cristo la nostra speranza e la nostra meta: la polarizzazione cristocentrica dell’itinerario tracciato dal Papa al Concilio è indubbia. Essa è inscindibilmente unita alla riflessione sulla liturgia, poiché riflettere sulla Chiesa in dimensione liturgica è lasciarsi coinvolgere nel mistero della Pasqua di Cristo. Un mistero che il pontefice desidera rivivere unitamente a tutti i padri conciliari:

«Fossimo Noi capaci di alzare al Signore Nostro Gesù Cristo, in quest’ora storica, una voce degna di lui! Facciamo qui nostre le parole della Sacra Liturgia: “Riconosciamo solo te, o Cristo; – con mente pura e semplice – ti chiediamo piangendo e cantando: – Ascolta le nostre invocazioni!” (Breviario Romano, Inno alle Lodi del mercoledì [nella Liturgia delle Ore, alla I e III settimana del Salterio, con modifiche])».

«Nel pronunciare queste parole, davanti ai nostri occhi attoniti e trepidanti sembra stagliarsi Gesù stesso, imponente di quella grandiosa maestà di cui rifulge il Pantocrator nelle vostre Basiliche, Venerabili Fratelli delle Chiese Orientali, ed anche in quelle occidentali. Noi sembriamo quasi rappresentare la parte del nostro Predecessore Onorio III che adora Cristo, come è raffigurato con splendido mosaico nell’abside della Basilica di San Paolo fuori le Mura. Quel Pontefice, di proporzioni minuscole e con il corpo quasi annichilito prostrato a terra, bacia i piedi di Cristo, che, dominando con la mole gigantesca, ammantato di maestà come un regale maestro, presiede e benedice la moltitudine radunata nella Basilica, che è la Chiesa. E questa scena Ci sembra essere riprodotta, non già in un’immagine dipinta sul muro con linee e colori, ma reale, in questa nostra assemblea, che riconosce Cristo come principio e sorgente da cui provengono la Redenzione umana e la Chiesa; che similmente riconosce la Chiesa come emanazione terrestre e misteriosa e prolungamento dello stesso Cristo; sicché

è come se gli occhi della nostra mente fossero sfiorati da quella visione dell’Apocalisse che l’Apostolo Giovanni descrive con queste parole: “Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello” (Ap 22,1)»5.

Non possiamo restare indifferenti ad un quadro così vivido ed intenso in cui viene dipinta l’esperienza che ciascuno vive all’interno dell’assemblea liturgica. Non sono, infatti, solo i padri conciliari che Paolo VI, in questa sua visione escatologica, presenta, ma tutta la Chiesa. E riesce dunque spontaneo domandarci se le nostre assemblee conservino un tale stupore estatico di fronte al mistero

celebrato; se i fedeli, soprattutto i nostri giovani, possono percepire la presenza di un Dio che ha bisogno non di “immagini dipinte sul muro”, ma di persone vive e dialoganti.

  1. Divinamente chiamati da Cristo

La riflessione di papa Montini si approfondisce, esplicitando la dinamica vocazionale insita nella propria visione di Chiesa celebrante e dichiara che «noi siamo divinamente chiamati da Cristo»…:

«A Noi sembra assai opportuno che questo Concilio prenda l’avvio da quell’immagine, meglio ancora da questa mistica celebrazione. Questa celebrazione infatti proclama che il Signore Nostro Gesù Cristo è il Verbo incarnato, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, Redentore del mondo, cioè speranza del genere umano e suo unico Maestro, Pastore, Pane di vita, nostro Pontefice e nostra Vittima, unico Mediatore tra Dio e gli uomini, Salvatore della terra, che sarà Re nei secoli eterni; e questa medesima celebrazione dichiara che noi siamo divinamente chiamati da Cristo, siamo suoi discepoli, apostoli, testimoni, ministri, rappresentanti; e insieme agli altri fedeli sue membra vive, che confluiscono in quell’immenso ed unico Corpo mistico che egli, per mezzo della fede e dei sacramenti, si edifica continuamente nelle generazioni umane; parliamo della sua Chiesa, che è società spirituale e visibile, fraterna e gerarchica, temporale nel presente, ma un giorno permanente in eterno»6. Siamo di fronte ad un commento “dall’interno” della Costituzione liturgica in cui si legge: «Per realizzare un’opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. […] Effettivamente per il compimento di quest’opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l’invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’eterno Padre» (SC 7).

La dinamica con cui il Cristo chiama-associa a sé la propria sposa rende i credenti apostoli per vocazione, poiché è la celebrazione stessa che li introduce nella pressante carità di Cristo:

«La liturgia spinge i fedeli, nutriti dei “sacramenti pasquali”, a vivere “in perfetta unione”; prega affinché “esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede”; la rinnovazione poi dell’alleanza di Dio con gli uomini nell’eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa» (SC 10).

Rileggere queste pregnanti espressioni ci fa cogliere come la conseguente insistenza a che i fedeli «vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche» (SC14) che scaturisce dalla loro vocazione battesimale, sia stata spesso disattesa, scadendo in un attivismo sterile. La vocazione a partecipare va riscoperta nelle nostre attenzioni vocazionali, riscoperta come esigenza di intima esperienza del mistero celebrato per essere vissuto.

Conclusione

Raccogliamo le intuizioni che ci sono giunte dalla pagina della Sacrosanctum Concilium, filtrata alla luce del Magistero di Paolo VI, lasciandoci provocare dal sogno del Concilio tracciato da Cettina Militello: «La Chiesa che vorrei è una Chiesa che a tutto antepone la sua coscienza di soggetto celebrante. Il che vuol dire consapevolezza della sua identità di raduno. […] La Chiesa che vorrei è una Chiesa che raccogliendosi sappia d’essere popolo santo, popolo d’acquisto, popolo di re, sacerdoti, profeti. La Chiesa che vorrei è quella che nel celebrare i misteri manifesti con chiarezza che nell’azione liturgica non ci sono spettatori ma soggetti, soggetti attivi, ministri. […] La Chiesa che vorrei è viva, partecipe, consapevole del suo diritto nativo e inalienabile alla lode come alla parola, al prendersi cura. […] La Chiesa che sogno non solo attesta la pluralità dei compiti e dei soggetti (uomini e donne / adulti e giovani / ricchi e poveri / sani e malati), ma mostra il legame vitale tra la celebrazione e la vita, senza fughe individualiste, devote e silenziose. […] La Chiesa che sogno… canta in polifonia d’universo, in tutte le lingue del mondo… unicamente protesa a far memoria del Signore Gesù, del suo stare con i suoi, del suo darsi per noi, rendendolo intelligibile e sperimentabile a quanto gli sono lontani per latitudine o longitudine, siano esse dimensioni geografiche o temporali7.