N.05
Settembre/Ottobre 2013
Studi /

Per una “nuova” pastorale vocazionale

L’aggettivo “nuova” assegnato a un dovere di sempre, qual è la pastorale vocazionale, può suscitare qualche meraviglia, se non rifiuto. Parafrasando il Card. Biffi, molti potrebbero chiedersi, cosa abbiamo fatto finora se non predicare il Vangelo della vocazione? Si può cambiare questo Vangelo senza danni? Per altri dietro l’aggettivo “nuova” si può nascondere il rischio di «iniziare nella vita ecclesiale un tempo che privilegi la straordinarietà a scapito dell’azione pastorale ordinaria, che è la meno appariscente ma è probabilmente la più fruttuosa». C’è poi chi è sfiduciato di fronte a “programmi nuovi” quando ci sono altri appena proposti nella Chiesa e non ritiene opportuno iniziare permanentemente qualcosa di “nuovo”. Simultaneamente, di fronte ai risultati, non per tutti sempre soddisfacenti, sorge forte il desiderio di qualcosa di “nuovo”. La categoria del “nuovo” esercita sempre un particolare fascino sull’animo di fedeli e non solo… Tanti e tante fremono di fronte alla “nuova” macchina, alla “nuova” lavatrice, al “nuovo” computer, molte volte – ma non sempre! – di fronte al “nuovo” parroco, e forse ancora di meno di fronte al “nuovo” governo!

Ma non possiamo aspettarci nessun “fascino” o “successo” “sotto l’etichetta dello scontato e del risaputo”. «È difficile ottenere oggi una più vasta mobilitazione degli animi su un progetto che si confessa elaborato vent’anni prima. Di qui la necessità che ogni tanto si riparta con il piglio di chi comincia adesso»1. Quale novità, dunque, dare al volto della pastorale vocazionale che arriva alla bell’età di più o meno 41 nuovi anni se consideriamo come sua data di nascita la “magna carta” della pastorale vocazionale, cioè, il Documento Conclusivo del Congresso Mondiale del 1981, pubblicato nel 1982?2

Una pastorale vocazionale “nuova” dovrà cogliere e far cogliere l’intrinseca novità dell’azione salvifica di Dio attraverso le sue azioni riguardo la vocazione nel contesto che abbiamo analizzato nel precedente articolo. La vocazione compresa nella sua autenticità è sempre qualcosa di inconsueto, di straordinario, di sorprendente rispetto al macrosistema in cui si inserisce. Perciò serve prendere coscienza dell’assoluta giovinezza del Vangelo della Vocazione e della sua capacità sempre viva di rinnovare tutte le persone, le culture, la storia. Gesù si è presentato come qualcuno portatore di novità. Il suo messaggio e le sue azioni mediate dalla Chiesa devono portare intrinsecamente qualcosa di quella «dottrina nuova» (cf Mc 1,22), della «creazione nuova» (cf 2Cor 5,17), della «vita nuova» (cf Rm 6,4), del «comando nuovo» (cf Gv 13,34)3.

A noi tocca far assaporare la novità di Cristo e della sua chiamata a questa società e a questa gioventù che cammina con scarse prospettive di “vita nuova”. Occorre offrir loro una novità di vita, uno slancio più generoso, una voce più fresca, un animo più sicuro, una fiducia e una fede più grandi fino a dare frutti sempre nuovi, frutti che non muoiano… (cf Gv 15,15).

Nella logica del “saggio scriba del Vangelo”, occorre prendere del vecchio e del nuovo. Innanzitutto, propongo un concetto di vocazione che considero coerente con il dato biblico fondante di qualsiasi pastorale vocazionale.

La vocazione è quella realtà costitutiva dell’essere umano, frutto del dialogo tra la parola “efficace” del Creatore che sceglie-chiamainvia- assiste e la risposta “umile” del credente, che costruisce la sua identità in relazione vitale con gli altri, in continuità progettuale e in evoluzione dinamica, fino a diventare immagine di Cristo, membro attivo della Chiesa, segno vivente del Regno di Dio.

Questa definizione di vocazione evidenzia le azioni divine contenute nella vocazione e propone le azioni correlative del chiamato. La nostra riflessione pastorale si colloca tra questi due attori del fenomeno vocazionale e scopre quali siano le concrete forme di mediazione pastorale atta a sostenere il cammino della persona e della comunità tutta nella risposta all’amoroso volere di Dio.

Un Dio che sceglie-chiama-invia-assiste i suoi chiamati, sollecita ognuno di loro perché percepiscano e valutino la portata della scelta, si orientino e rispondano con generosità, assumano la missione come progetto di vita e siano fedeli in modo dinamico, collegati alla storia e docili ai segni dei tempi alla fedeltà di Dio che non delude. La mediazione ecclesiale dovrà accogliere-discernere il dono di ogni persona, proporre gli ideali vocazionali e orientare le scelte, iniziare le persone alla missione divina e sostenerle nell’elaborazione del proprio progetto di vita, accompagnarle nella fedeltà come singoli e come comunità.

Detto questo si capisce come i bisogni rilevati nella situazione magnifica e drammatica della condizione adolescente-giovanile attuale siano “profondamente” vocazionali; infatti, sono bisogni legati all’identità, all’alterità, alla continuità-progettualità e all’evoluzione.

La “novità” della pastorale vocazionale sarà nell’elegante, adeguata e rinnovata disposizione degli accessori o degli elementi che la compongono, dando la priorità e il rilievo necessario a quelli che richiedono maggiore novità per le caratteristiche oggettive dei soggetti e delle comunità. Vista la difficoltà della maturità umana provocata dal contesto, criterio essenziale della ricerca della novità, occorrerà fornire strumenti adeguati ai destinatari e agli operatori della pastorale vocazionale.

 

  1. La promozione dell’identità

La pastorale vocazionale, per generare le nuove identità vocazionali richieste dal mondo contemporaneo, dovrebbe offrire un supporto empatico fatto di ammirazione, di lealtà al dono contenuto nella gioventù che va oltre la povera prospettiva dell’economia. Credo serva una pastorale vocazionale capace di produrre identità e senso della vita.

In un’epoca di passioni tristi4 si impone una proposta “vocazionale”, cioè “di vita” appassionante che trascina verso l’assoluto dei valori tralasciando la dittatura degli spiriti gregari e la falsa rappacificazione del consumo; la direzione della cura è il senso, la forza dei “chiamati”, una forza maggiore di quella dei loro coetanei.5

1.1 Soggettività

La pastorale vocazionale in quanto relazione educativa è realizzata da soggettività che s’incontrano. La soggettività è la capacità di un soggetto adulto, impegnato in un ruolo familiare o sociale a contatto con bambini o adolescenti, di ascoltare, definire ed esprimere i propri bisogni, compreso il proprio bisogno di essere sostenuto ed aiutato ad affrontare le proprie impegnative responsabilità a contatto con figli, allievi o minori in carico professionale. La soggettività comprende gli aspetti professionali ed umani, cognitivi ed affettivi dell’educatore, dell’operatore o del professionista dell’infanzia o dell’adolescenza. L’azione pastorale vocazionale deve valorizzare la soggettività del destinatario, favorendo la sua partecipazione cognitiva ed emotiva al percorso di crescita. Senza gestione della propria personalità in forma integrale non è possibile che l’adolescente-giovane avvii la sua soggettività e identità.

1.2 Educazione dell’emotività

Si tratta di favorire non solo l’attivazione, ma anche la consapevolezza e l’ascolto di sé dei destinatari col fine di sviluppare la loro «intelligenza emotiva»6. Essa qui è la capacità di riconoscere e mettere in parola il mondo dei sentimenti e delle emozioni associato alle esperienze e alle relazioni, la capacità di controllare gli impulsi emotivi senza reprimerli e senza neppure farsene travolgere; la capacità di sviluppare l’efficienza mentale e la comprensione della realtà e di motivarsi in modo globale (con lucidità razionale e con sensibilità emotiva gestita) per il raggiungimento di obiettivi e finalità di crescita, di educazione, di tutela; la capacità di percepire e comprendere le emozioni altrui, riuscendo ad essere sensibili ed empatici.

In sinergia con la pastorale familiare e quella scolastica, quindi, occorrerà preparare genitori, educatori e operatori vocazionali, quali validi allenatori emotivi con un supporto etico e professionale, persone in grado di attuare valide forme di counselling vocazionale7 che sappiano8:

  • interessarsi alle emozioni dei ragazzi con autenticità, trasformandole in occasione di intimità, di dialogo e di condivisione;
  • trascorrere del tempo con i ragazzi senza essere impazienti liquidatori, condividendo con loro sensazioni, palpitazioni e difficoltà;
  • aiutare loro a riconoscere le pulsioni interne e a gestirle prima che queste li facciano sentire in balia di oscure e temibili forze interne;
  • costruire insieme regole da rispettare, soluzioni di problemi, interazioni e giochi attivando la cooperazione e la sintonizzazione;
  • far rispettare le regole e i divieti adottati: insegnare il senso della misura che garantisce e protegge la loro dignità;
  • rispecchiare con un buon approccio gli stati d’animo, le sensazioni e i bisogni dei ragazzi, senza confonderli con altri, per offrire loro la possibilità di modulare le proprie pulsioni attraverso le emozioni e le indicazioni dell’adulto.

 

1.3 Confini identificatori e atteggiamento educativo

L’adolescente o giovane, anche quello in cammino “vocazionale”, condivide con i suoi coetanei la difficoltà dell’autonomia e l’insicurezza di fronte alla vita. Lui non è in grado di sostenere ogni responsabilità e di poter fare quanto desidera con equilibrio.

L’operatore vocazionale ha la responsabilità di una presenza adulta e matura capace di generare per contagio uno stile relazionale personalizzante e liberatore da qualsiasi forma di dipendenza. La profezia della pastorale vocazionale “nuova” ed “evangelica” in questo campo è proprio una relazione educativa amorevole, matura e sicura.

  1. La relazione con l’A-alterità

La pastorale vocazionale deve mediare la chiamata divina, la parola del radicalmente Altro che convoca e sollecita con la vocazione per collocare qualcuno in particolare rapporto con gli altri. La vocazione e la sua cura pastorale si articolano in una doppia direzione: la relazione con Dio (Gesù Cristo, in particolar modo) e gli altri uomini e donne. Questa doppia polarità della relazionalità umana è fonte di maturità per ogni chiamato.

2.1 L’incontro con l’Altro (= Gesù Cristo)

In primo luogo, segnalo alcune condizioni per la maturità dell’alterità in rapporto con Dio.

  • L’annuncio di un Altro vicino

La pastorale vocazionale ha il compito di maturare nell’adolescente-giovane un rapporto di vicinanza e alleanza di vita con Gesù. Lui è un Altro, conosciuto, ascoltato, sentito, annunciato, amato dall’operatore vocazionale che può dire in prima persona «vieni e vedi» oppure «abbiamo conosciuto il Messia». L’esperienza dell’operatore vocazionale rende l’Altro vicino, amico, alleato dell’esistenza del giovane. La sua è un’Alterità che serve, che tocca, che salva, che rende migliori.

La pastorale vocazionale avvicina tanto l’Alterità di Cristo al giovane, che costui non sente un Dio lontano, ma vicino, intimo al suo cammino, per cui tante volte egli sperimenta ciò che hanno sperimentato i grandi della Scrittura: «Non già sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me». Perciò l’Alterità annunciata è un’Alterità configurante, costitutiva del proprio essere, della propria identità. Il contatto con Gesù Cristo rende all’operatore e al giovane, quegli uomini “nuovi” che richiama e desidera la nuova evangelizzazione.Perciò sentire la sua dolce parola che chiama è un giogo soave e leggero, è una gioia e una forza, la sua Parola vocazionale è vita, dono accolto che rende testimoni di una trasformazione personale tale, per cui tutte le relazioni sono cambiate di colore e di valore. L’incontro con l’Altro li ha buttati verso l’amore per gli altri.Forse è questa la novità più importante della pastorale vocazionale, quella di accogliere l’Uomo nuovo che è Cristo per diventare un uomo nuovo anch’io per i giovani che daranno questa novità al mondo intero. Gli operatori di pastorale vocazionale devono avere sempre un orecchio orientato verso la realtà giovanile e l’altro verso l’Altro annunciato nel Vangelo. Si tratta di un ascolto stereofonico della voce di Cristo e quella del contesto storico-culturale-sociale attuale.

  • Le risonanze comunitarie

L’annuncio dell’alterità cristiana si realizza in nome e molte volte all’interno dello stesso contesto della Comunità ecclesiale. Chi si presenta “a nome” della Chiesa dovrebbe assicurare – e non solo a parole – che il comportamento giovanile, la loro ricerca di qualcosa di grande li inserisce già dentro la Chiesa. Così, la scoperta del “Tu” divino e della sua Parola nella Chiesa visibile fa che il soggetto percepisca la presenza di un Cristo che lo ama e ama la sua vita. La comunità ecclesiale è luogo di proposta e di giudizio profetico e si propone come istanza critica per il singolo, per aiutarlo a verificare la qualità del suo incontro con Gesù Cristo. La comunità ecclesiale, luogo della “memoria”, annunciando Gesù Cristo, allaccia il presente al passato, nel ricordo delle meraviglie compiute da Dio per il suo popolo e lo rilancia verso il futuro della promessa che compie la vocazione personale e comunitaria.

  • L’annuncio di un’alterità che sia risposta a domande dei destinatari

L’annuncio del Vangelo della Vocazione deve proporsi come buona novella, cioè, nel significato salvifico che ha per la vita quotidiana del giovane, come un’apertura ai suoi problemi, una risposta alle sue domande, un allargamento ai suoi valori ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni, costituendo motivo e criterio per tutte le valutazioni e le scelte della sua vita (cf RdC 52). Per la pastorale vocazionale conta essenzialmente la percezione soggettiva del significato-valore salvifico dell’annuncio, quale verità che risponde alla fame di vita, di significato, di felicità del soggetto. L’alterità divina scoperta nella pastorale vocazionale deve essere di un valore insuperabile per chi la riceve. L’annuncio dell’Altro, di Gesù Cristo, per non ridursi a sterile diffusione di informazioni e promuovere la vocazione, deve riferirsi alle domande di senso e di salvezza offrendo risposte vivaci, esistenziali, con lo stile di una verità amabile e personale. L’annuncio dell’Altro non deve generare il senso di rischio o di alienazione. L’ideale contenuto nella chiamata dell’Altro non deve essere tanto alto da spaccare le persone e la loro volontà di accoglierlo. L’ideale dell’Alterità va proposto in misura raggiungibile.

  • Un incontro che si traduce in vita “nuova”

L’incontro con Gesù Cristo è espressione di quell’Alterità autentica ed efficace come fattore identitario solo quando produce “vita nuova”, cioè quando il giovane assume una prassi che ne scaturisce come condivisione radicale della sua causa, del suo stile di esistenza, dei suoi atteggiamenti e dei suoi progetti. L’incontro vero con Gesù Cristo ci fa “nuove creature”, investe cioè in modo radicale la struttura della personalità, determina una novità sostanziale di vita, uno stile nuovo di pensare e di agire, la trascendenza del proprio essere nell’agire e nel dono. Nell’incontro con Gesù Cristo, il giovane deve scoprire che la sua vita quotidiana gli è restituita “salvata”, con una significatività che la rende vera e la supera. Salvato per dono, il giovane riconosce l’opera di Dio nella sua vita e così diventa dossologia nel profano ed è celebrata con verità nell’espressione liturgica e sacramentale. Le cose di sempre assumono i toni dell’incontro, piccoli quotidiani gesti dove si fa esperienza di un modo nuovo di essere uomo, perché amati dal Padre, salvati in Gesù Cristo, restituiti nello Spirito ad una reale comunione con tutti i fratelli.

2.2 Un trasformante incontro con gli altri

Il destino di ogni essere umano dipende dall’incontro con figure affettive, significative, di riferimento (mamma, papà, educatori, accompagnatori…). Gli svantaggi educativi sperimentati lungo la vita richiedono dei recuperi e degli interventi di aiuto e sostegno perché il soggetto ritrovi se stesso. Abbiamo analizzato quanto l’alterità produca complicazioni educative e di maturazione all’individuo. Il cammino vocazionale dovrà valutarle e osservarle con cura, ma allo stesso tempo, l’alterità come fattore maturante della persona e dei gruppi, non può essere lasciata al caso. È necessario che la pastorale vocazionale assuma il compito di educare verso la maturità della relazione e dell’alterità necessaria all’equilibrio personale. Il disagio di molti adolescenti-giovani può essere superato a partire dalle loro risorse relazionali, affettive, educative, familiari e conoscitive. Abbiamo osservato anche come tra i compiti di sviluppo adolescenziale ci sia una relazionalità soddisfacente. Di fronte a questa relazionalità causa di pienezza di realizzazione personale e di maturità, ci sono ragazzi fragili e impreparati. La pastorale vocazionale può essere per loro la palestra di superamento, l’irrobustimento adatto ai muscoli della relazione e dell’alterità, dell’autostima e dell’autoefficacia. Propongo qui alcuni spazi maggiormente utilizzabili in campo di pastorale vocazionale come istanza di maturità e di crescita nella relazione interpersonale, dove la chiamata divina prende carne umana e dove la concretezza del rapporto mette alla prova l’individuo e la sua capacità di camminare insieme agli altri nelle strade della vita.

  • La mediazione educativa del “gruppo”

Il gruppo, famiglia sociale alternativa alla famiglia d’origine e alla scuola-università, ambiti del maggiore disagio dell’esosistema adolescente-giovane, dotato di stabilità e continuità, è il contesto ottimale dove svolgere un intervento formativo che favorisca fra i partecipanti condizioni di conoscibilità reciproca e di rassicurazione, indispensabili per uscire dall’ansia, dalla diffidenza, dall’inautenticità, dalla presentazione difensiva di falsi Sé e per far emergere problemi reali. Nel gruppo non si parte dalla teoria, anche se ad essa si può e si deve pervenire: il formatore non impone un sapere predefinito, non fa prediche, non sale in cattedra, ma tende a facilitare la costruzione di un buon clima utile alla comunicazione, alla riflessione e all’apprendimento a partire dall’esperienza.

  • Responsabilizzazione

Si tratta di costruire nel gruppo di formazione un clima dove prevalga l’atteggiamento di contrasto alle colpevolizzazioni nei confronti della vita emotiva o nei confronti del proprio operato o delle azioni degli altri. Si tratta di favorire al massimo l’espressione autentica e differenziata dei problemi, dei punti di vista, dei sentimenti. Si tratta di evitare la colpevolizzazione per favorire contestualmente la consapevolezza e l’impegno sulle responsabilità psicologiche e relazionali.

  • Creare l’esperienza

Il lavoro di gruppo o il gioco rinviano all’esperienza problematica che si vuole elaborare, la rappresenta, la rievoca e, nel contempo, propone un’esperienza nuova rispetto a quella che si è già verificata, al fine di rivedere e rielaborare i problemi e le difficoltà del vissuto quotidiano. I processi di apprendimento e di formazione risultano più efficaci se i contenuti teorici non vengono trasmessi in modo astratto, bensì vengono ad appoggiarsi all’elaborazione dell’esperienza, sia quella che si produce nel “qui e ora” del gruppo attraverso il gioco, sia quella che riguarda l’impegno e l’attività quotidiana. È senz’altro vero che non c’è nulla di più concreto di una buona teoria, ma a condizione che questa teoria sappia dimostrare di prendere avvio e di trovare verifica nell’esperienza, sapendola illuminare ed orientare.

  • La connessione alla multimedialità giovanile

Come abbiamo già intuito la pastorale vocazionale che voglia chiamarsi “nuova” dovrà rispondere a una serie di trasformazioni e sollecitazioni provenienti dalle tecnologie, dai nuovi linguaggi, dai nuovi modi di comunicare e dalle nuove prassi sociali. I nuovi media consentono l’elaborazione di nuovi sistemi e microsistemi di apprendimento all’interno di spazi virtuali e telematici con numerose forme di apprendimento e di crescita personale interattiva. Certamente, i “vecchi” media non vanno abbandonati, ma occorre imparare arti nuove, linguaggi nuovi, comunicazione della “nuova” era, quella del “terzo millennio”…

Si tratta di qualificarsi per essere comunicatori efficaci capaci di elaborazione di messaggi che mai nessuno aveva visto e udito. Serve la scrittura corretta, il libro bello, la stampa, la lavagna, le fotografie, i proiettori, il disegno, i vari vecchi e nuovi media, la lavagna interattiva, l’e-book, suoni, filmati… tutto per suscitare una didattica integrata che generi curiosità, interesse, motivazione e desiderio d’imparare.

Occorre ipotizzare seriamente l’abilitazione degli operatori e la previsione progettuale di programmi d’inserimento della pastorale vocazionale nei meandri della comunicazione sociale per potersi “incarnare” nella condizione giovanile odierna.

  1. L’iniziazione e la progettazione nella continuità

Deficit di ragione e di senso e relativismo etico erano le note più compromettenti della progettualità giovanile che abbiamo ricavato da un’analisi sommaria della condizione giovanile attuale, che è la pista di lancio di una pastorale vocazionale nuova.

La formulazione di un progetto di vita e la sintonia con una vocazione specifica poggiano sull’ideale di sé e mettono la persona in rapporto con il tempo e con il bisogno di “ragionare” e “bene” sulla propria esistenza.

Il progetto di vita si costituisce a partire dal ragionamento sulle esperienze vissute e dalla coscienza etica riguardo il presente. Frutto della propria visione della vita e dei riflessi che gli altri ci danno, il progetto ci aiuta a proiettarci e a costruirci nel futuro.

3.1 La progettualità, frutto dell’uso illuminato della ragione

Passato e presente costituiscono parte della propria personalità e giocano un particolare influsso sulle scelte in funzione di un futuro. L’identità personale è frutto della continuità dell’io nel tempo. La pastorale vocazionale nel processo con cui segue l’itinerario vocazionale, aiuta l’adolescente-giovane ad attribuire senso al suo cammino.

Qualunque progettualità il soggetto porti dentro di sé a partire dalle sue esperienze diventa «l’asse centrale attorno a cui la personalità va costruendosi; il principio unificatore delle proprie esperienze»9, una fonte profonda d’identità personale. Ogni decisione va integrando, arricchendo il progetto per l’esistenza. Anzi, il progetto di vita si comporta come «il polo magnetico che calamita le varie forze, unifica le varie componenti della persona, consente di essere e di sentirsi se stessi attraverso le varie scelte e situazioni, e di realizzarsi»10, perché il medesimo progetto «si configura come “senso per la vita” che offre luce e direzione alle varie scelte, unifica la vita quotidiana rendendola significativa in ordine a quel significato globale»11.

Le decisioni attuali svelano il progetto presente nel cuore della persona. L’animazione della vocazione non deve consentire decisioni senza senso. Occorre sollecitare, proporre, aiutare a dare senso al vissuto, cioè, orientamento, prospettiva, direzione. Ogni decisione solo grazie alla ragione collega la persona al suo progetto, perciò s’impone offrire alla persona attraverso il servizio educativo-pastorale le chiavi fondamentali per la lettura, la scoperta e l’attribuzione di senso al vissuto per la persona che cresce. Occorre identificare l’insieme di realtà importanti per il soggetto12. Tutto ciò poi diventa parametro di misura per la selezione, l’interiorizzazione, e l’assunzione di nuovi elementi nel medesimo progetto13.

3.2 Un progetto di valore etico

L’individuo costituisce il suo progetto con gli elementi culturali di cui viene fornito dalle agenzie educative. La proposta di un progetto cristiano di vita, e ancor di più, di un progetto vocazionale specifico di vita cristiana, comportano un lavorio pedagogico pastorale non indifferente. Si tratta fondamentalmente di raccordare questo progetto personale vissuto con il progetto vocazionale cristiano.

Il progetto di sé include anche l’atteggiamento fondamentale riguardo all’ambito del trascendente, cioè, il progetto si collega intimamente alla dimensione etica dell’esistenza. Si presenta come un «ponte gettato verso ciò che trascende la nostra finitezza», evidenzia la nostalgia dell’infinito e suggerisce le forme considerate adatte per raggiungerlo14.

  1. Il sostegno della dinamica evolutiva

Il giovane non cresce solo con un progetto. Il progetto è comunque statico… mentre la vita chiede un dinamismo, quello frutto dell’amore fedele…

Perciò, la pastorale della nuova evangelizzazione dovrebbe assicurare il gusto della propria vita come sorgente di autostima e di gioia. La sfida consiste nel farlo in una società adulta che non inizia i giovani alla presa di decisioni e alla responsabilità e che, piuttosto, li lascia impreparati e vulnerabili nella deriva della nave del non senso e della limitata lungimiranza della politica giovanile. La mancanza di direzione, di prospettiva, di progetto o di futuro sono la grande materia pendente dell’educazione in genere, e della pa-storale vocazionale della nuova evangelizzazione. Il Vangelo della vocazione della nuova evangelizzazione è innanzitutto il Vangelo di una “nuova vita”, una vita generatrice di speranza, che si scontra esistenzialmente con la difficoltà dei giovani ad allinearsi con una visione “ideale” del proprio essere, o a cogliersi come “possibilità aperta”, perché «la possibilità è l’oro dei giovani»15, ma questo fatto, nel contesto del Primo Mondo post-democratico, nichilista, neoliberista, è facilmente ricondotto al sincretismo e alla mancata definizione personale, sessuale, vocazionale.

4.1 Verso la progettualità dinamica dell’amore

Il contenuto della proposta/alternativa cristiana è la stessa persona di Gesù Cristo, incarnato, morto e risorto, e il suo Vangelo, unica fonte dove il mistero dell’uomo trova vera e definitiva luce e senso come costante dinamica di crescita16.

L’obbiettivo finale di ogni progetto di vita umana è la gioia e la felicità di ogni uomo. Un modo di concepire la salvezza dell’uomo e dell’universo dal male e dalla morte per costruire l’uomo integrale ed eterno17. Punto centrale ed etico di qualunque progetto di vita personale è l’amore che porta alla donazione di sé. La pastorale vocazionale, fedele alla sua antropologia cristiana, non può concepire un progetto di vita senza l’amore – culmine di qualsiasi etica – come orizzonte di senso e di pienezza.

E quindi, l’intervento di pastorale vocazionale “nuova” sarà guidato costantemente dall’amore come orizzonte della progettualità da discernere e da accompagnare.

«L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non lo esperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente»18.

NOTE

1 G. Biffi, Riflessioni sulla nuova evangelizzazione, in www.gesuemaria.it (20.01.2013).

2 Cf II Congresso internazionale dei Vescovi e di altri Responsabili delle Vocazioni ecclesiastiche, Cura Pastorale delle Vocazioni nelle Chiese Particolari. Documento conclusivo, Figlie di San Paolo, Roma 1982.

3 Cf G. Biffi, cit.

4 Quest’epoca di passioni tristi suppone o esige una prassi di passioni gioiose. Cf M. Benasayag – G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2005, p. 15.

5 Ivi, pp. 119-129.

6 Cf D. Goleman, La práctica de la inteligencia emocional, Kairós, Barcelona 1998.

7 «Il Counselling vocazionale è una relazione d’aiuto realizzata con criteri professionali, guidata da standard etici e giuridici, che tratta questioni personali e/o di gruppo dell’ambito vocazionale, cioè la proposta e la progettazione di un cammino specifico per la propria vita, come risposta alla chiamata divina, che tende a guidare e a sostenere la ricerca e le decisioni degli interessati per formulare modi di comportarsi, di sentire e di pensare coerenti con la medesima vocazione» (cf M. Llanos, Il Counselling nella pedagogia vocazionale. Dispense Corso EB2524, Università Pontificia Salesiana, Roma, 2010-2011, p. 127).

8 Cf M. Benasayag – G. Schmit, op. cit., pp. 139-140.

9 G. Sovernigo, Progetto di vita. Alla ricerca della mia identità, Elledici, Leumann (To) 61993, p. 69.

10 Ivi, p. 70.

11 Ivi, p. 128.

12 Ivi, p. 44.

13 Cf M. Pollo, Animazione culturale, Elledici, Leumann (To) 2002, pp. 97-104.

14 Cf A. Cencini, Elementi costitutivi del “progetto di vita”, in «Rogate Ergo» 58 (1995) 1, p. 14.

15 Cf I. Rizzi, Giovani e futuro, cit., p. 18.

16 Cf Concilio Vaticano II, Costituzione Pastorale Gaudium et spes, n. 22.

17 M. Bernardini, Giovani e progetto di vita, Elledici Leumann (To) 1986, p. 36.

18 Giovani Paolo II, Redemptor Hominis, n. 10.