N.04
Luglio/Agosto 2014

Le “Parole” che piacciono a Papa Francesco

Un breve glossario: paralleli tra Papa Francesco e padre Pino Puglisi

“3P”: così veniva chiamato padre Pino Puglisi e così abbiamo pensato di curare questa rubrica, con le “P” che piacciono a Papa Francesco. Tra questi due personaggi ci sono profonde similitudini, hanno nel cuore l’utopia della trasformazione, del cambiamento, soprattutto delle persone.
«Se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto»: è una frase di Pino Puglisi. Sembra essere il motto di Papa Francesco, che in questo anno di pontificato sta portando avanti un cambiamento, una novità che lo coinvolge in prima persona nella mentalità, nel modo di pensare e di agire, una semplificazione di schemi e struttu­re che altrimenti finiscono per appesantire e far perdere di vista ciò che è importante e dà senso al nostro esistere.
«Le parole devono essere confermate dai fatti»: lo affermava pa­dre Pino e Papa Francesco sa rispondere ai bisogni di chi è in diffi­coltà attraverso l’annuncio dell’Evangelo. Lui è testimone credibile e attendibile e alle parole fa seguire fatti concreti. È in questo spiri­to che abbiamo stilato un glossario per trasmettere la freschezza e l’immediatezza di alcune “P”.
Sì, Papa Francesco piace soprattutto a coloro che sono ai margi­ni, lontani, perché rompe con un linguaggio stereotipato ed eccle­siologico per entrare nel vissuto delle persone.

Testimone
La parola che unisce questi due personaggi è testimone, che de­riva dal termine greco “martyr” e significa “colui che ricorda”. Che cosa ricorda, allora, un testimone? Un incontro che ha trasforma­to l’esistenza: l’incontro con Gesù di Nazareth. La sua Parola e le parole qui di seguito ci aiutano a testimoniare e a narrare questo incontro.
Il testimone dà valore e importanza alle parole che erano pane quotidiano per il beato padre Pino, parole ancora attualissime e spesso provocanti, esclusivamente vocazionali. Mettiamo a punto un breve glossario pensando alla storia di questo prete marginale, di periferia, che per dare senso alle sue parole ha donato la vita.

Pace
«La pace non si può comperare, non si vende. La pace è un dono da ricercare pazientemente e costruire “artigianalmente”mediante piccoli e grandi gesti che coinvolgono la nostra vita quotidiana. Il cammino della pace si consolida se riconosciamo che tutti abbiamo lo stesso sangue e facciamo parte del genere umano»1.
Chissà come mai Papa Francesco ha voluto insistere tanto sull’aggettivo “artigianale”. Forse perché la pace è un dono che vie­ne dall’alto, che accogliamo con le nostre mani aperte. La pace ha a che fare con le nostre mani, è possibile solo se ci “sporchiamo” le mani, se lavoriamo per ottenerla. Pace vuol dire coinvolgimento, qualcosa che scomoda, che costa, che sta a cuore e che fa passare notti insonni finché non la si raggiunge. E si realizza soprattutto nella quotidianità che nessuno vede, nei gesti di ogni giorno, diffi­cili da individuare, ma necessari per vivere.
Riconosciamo in questi gesti di pace un legame di umanità che trascende la vita e ci pone in una relazione profonda con Dio; e allora capiremo quanto la pace sia necessaria per vivere da fratelli.

Padre
«Adamo dove sei? In questa domanda c’è tutto il dolore del Pa­dre che ha perso il figlio. Il padre conosceva il rischio della libertà; sapeva che il figlio avrebbe potuto perdersi… ma forse nemmeno il padre poteva immaginare una tale caduta, un tale abisso»2.
È un mistero difficile da comprendere come l’eterno Padre ci lasci liberi a tal punto da poter fare il male. Di fronte al dilagare della malvagità, della cattiveria dell’uomo, si alza un grido: Dio dove sei? E questo grido, perso nel vuoto, a volte è motivo per l’uomo per negare la presenza di Dio nella propria vita: se il male dilaga, Dio non esiste, Dio non c’è!
Papa Francesco (nel grido alla Shoah) inizia la sua invocazione con un grido, che però è rivolto all’uomo: Adamo dove sei? È un forte richiamo alla responsabilità dell’uomo di fronte al male. Il Padre non si impone, ma si propone per salvaguardare la libertà dell’uo­mo. Tuttavia, rimane l’immenso dolore di Dio per aver perso un figlio. Egli era consapevole di questo rischio, ma “forse nemmeno il padre” poteva immaginare un tale abisso di malvagità. Il Padre ci ama a tal punto da lasciarci liberi di compiere il male, di annientar­ci, per farci comprendere che solo nella relazione con lui possiamo riscoprire il valore della fraternità.

Pastore – Pecora
«Questo io vi chiedo: essere pastori con l’odore delle pecore, pa­stori in mezzo al proprio gregge»3.
Ho voluto unire queste due parole perché sono in simbiosi. Non si può parlare di pecora se non la si mette in rapporto con il pastore: sono legati e nessuno li può separare. La gente non è rimasta indif­ferente quando Papa Francesco ha richiamato i preti ad andare nel­le periferie, a essere pastori con l’odore del gregge. Questa metafora, un po’ lontana dalla nostra realtà, ci offre tante possibilità di azione e di intervento. Francesco richiamando l’essenzialità del Vangelo invita alla prossimità: il prete è uno che “sta” con la propria gente fino ad assorbirne l’odore, guarda con i loro occhi perché sta dalla loro parte, perché sogna con loro, spera con loro, soffre con loro… fino a condividerne la vita.

Periferia
«Bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle periferie dove c’è sofferenza, sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni»4.
Quando Papa Francesco parla di periferia non intende riferirsi solo al termine geografico, ma soprattutto alla periferia dell’essere. È una chiamata ad uscire da se stessi, a compiere un esodo: uscire da sé costa, è doloroso ma indispensabile per dare senso alla propria vita.
È una chiamata che il papa rivolge ai consacrati che, dopo aver sperimentato l’”unzione” su di sé, sono chiamati a scoprirne il po­tere e l’efficacia che salva sulle persone che incontrano. Un dono ricevuto che a sua volta va donato.
Mi piace pensare alle periferie come a un approccio vocazionale: andare nelle periferie per mettere in gioco la propria vita, solo in questo modo le periferie non saranno lontane e inaccessibili ma più vicine a noi.

Persona
«Il mondo può migliorare soltanto se l’attenzione primaria è ri­volta alla persona, se la promozione della persona è integrale, in tutte le sue dimensioni, inclusa quella spirituale; se non viene tra­scurato nessuno, compresi i poveri, i malati, i carcerati, i bisognosi, i forestieri; se si è capaci di passare da una cultura delle scarto ad una cultura dell’incontro e dell’accoglienza»5.
La persona nella sua unicità è importante e preziosa per Papa Francesco. Il suo umanesimo è “centrato” su chi non ha il neces­sario per vivere, sui bambini e gli anziani, su coloro che sono più fragili e che sono alla periferia del cuore.
Papa Francesco ci provoca continuamente e pone una domanda: cosa significa incontrare l’altro secondo il Vangelo? Significa pro­muoverlo nella sua totalità, operare il passaggio dalla cultura dello scarto alla cultura dell’incontro, ridare dignità alla persona nella dimensione spirituale, che cresce nella preghiera e nel concreto amore per i poveri.
Dare valore alla persona è dare parola a chi non ha voce, visibi­lità a chi è invisibile, centralità a chi è marginale, attenzione a chi è trascurato, libertà a chi ne è privato.
Francesco, un papa che va incontro e che si lascia incontrare, testimone di un nuovo modo di essere.

Povertà – Povero
«La povertà si impara toccandola, si rivela a chi è povero di fatto».
«La povertà teorica non interessa, la povertà si impara toccando la carne di Cristo povero»6.
Guardando il povero e scoprendo in lui la carne di Cristo, Papa Francesco ci pone a un livello di attenzione e sensibilità non indiffe­rente. Non ci sono più fraintendimenti, pretesti, alibi… Individuan­do nel povero la carne di Cristo, Francesco dà un aut aut… e non possiamo più fingere di non sapere. A Papa Francesco non interessa parlare di povertà, fare lunghe digressioni, convegni, redigere do­cumenti. Lui vuole toccare la povertà “in atto” che significa stare con i poveri, accoglierli nella propria casa, pensarli, commuoversi e, perché no, piangere. Vedere la carne di Cristo nel povero costituisce un appello, una chiamata a condividere e adottare, noi per primi, uno stile di vita sobrio per trovare insieme la soluzione al problema. Perché, in fondo, la povertà si ri-vela a chi è povero di fatto.

Preghiera
«L’incontro con Dio nella preghiera ci spinge nuovamente a scen­dere dalla montagna e ritornare in basso, nella pianura, dove in­contriamo tanti fratelli appesantiti da fatiche, ingiustizie, povertà materiale e spirituale. Ai nostri fratelli che sono in difficoltà, siamo chiamati a portare i frutti dell’esperienza che abbiamo fatto con Dio, condividendo con loro i tesori di grazia ricevuti»7.
Papa Francesco non dà una definizione di preghiera, ma descrive dettagliatamente i frutti della preghiera, che cosa provoca la relazio­ne con Dio. La preghiera che intende Francesco non è intimistica o un monologo, perché la preghiera non serve tanto a Dio ma all’uo­mo per comprendere, per aprire gli occhi alla realtà. Una preghiera che ci catapulti al di fuori di noi stessi, che “trasfiguri” la realtà. Bella l’immagine del monte e della pianura: la preghiera sul monte, ovvero la relazione verticale, ci porta immediatamente a ritornare in basso, nella pianura, nella relazione orizzontale per trovare le dinamiche dell’incontro con l’uomo, in particolare con il povero, l’abbandonato, l’escluso. È questo il senso della preghiera, perfet­tamente riassunto nel verticale e nell’orizzontale che formano la croce: la follia d’amore di Dio per ogni uomo. Non conta tanto dire preghiere, ma essere preghiera.

Profughi e Pianto
«Sulla via dolorosa dell’esilio, in cerca di rifugio in Egitto, Giu­seppe, Maria e Gesù sperimentano la condizione drammatica dei profughi, segnata da paura, incertezza, disagi. Ai nostri giorni, mi­lioni di famiglie possono riconoscersi in questa triste realtà»8.
«Abbiamo la capacità di piangere i tanti che si perdono nel mare?»9.
Il pianto, le lacrime, raccontano il nostro coinvolgimento nella storia degli altri, nella realtà che ci sta a cuore, che ci commuo­ve, dove ci sentiamo tutti appartenenti alla stessa famiglia. Chi ha pianto per questi morti? Perché se non c’è il pianto, le lacrime, la commozione, nel nostro cuore vive l’indifferenza, un male da cui bisogna guarire, pena l’infelicità. Questi profughi non vengono a inquietare le nostre coscienze, a occupare le nostre città, a minare le nostre sicurezze, a privarci del futuro. Sono fratelli e sorelle da incontrare, compagni di viaggio sull’itinerario della nostra vita che, indispensabili e necessari, rendono meno insensibile il nostro cuore.
Come la santa famiglia di Nazareth, nel suo peregrinare in terra straniera, ha sperimentato accoglienza e ospitalità, così anche noi, stranieri e ospiti su questa terra, camminiamo insieme.

Predica
«Un giorno, uscendo dal convento, San Francesco incontrò frate Ginepro. Era un frate semplice e buono, e San Francesco gli voleva molto bene. Incontrandolo gli disse: “Frate Ginepro, vieni, andiamo a predicare”.
“Padre mio” rispose, “sai che ho poca istruzione. Come potrei parlare alla gente?”.
Ma poiché San Francesco insisteva, frate Ginepro acconsentì. Gi­rarono per tutta la città, pregando in silenzio per tutti coloro che lavoravano nelle botteghe e negli orti. Sorrisero ai bambini, spe­cialmente a quelli più poveri. Scambiarono qualche parola con i più anziani. Accarezzarono i malati. Aiutarono una donna a portare un pesante recipiente pieno d’acqua.
Dopo aver attraversato più volte tutta la città, San Fran­cesco disse: “Frate Ginepro, è ora di tornare al convento». «E la nostra predica?”.
“L’abbiamo fatta… L’abbiamo fatta” rispose sorridendo il Santo10.
«Predicate il Vangelo e se è proprio necessario usate anche le parole11. 

NOTE
1 Papa Francesco, Omelia della messa celebrata all’International Stadium di Amman, 24 maggio 2014.
2 Papa Francesco, Discorso al memoriale di Yad Vashem, il museo che ricorda le vittime della Shoah, 26 maggio 2014.
3 Papa Francesco, Messa crismale del giovedì Santo ai sacerdoti, 28 marzo 2013.
4 Papa Francesco, Messa crismale del giovedì Santo ai sacerdoti, 28 marzo 2013.
5 Papa Francesco, Messaggio per la giornata del migrante e del rifugiato, 19 gennaio 2014.
6 Papa Francesco, Discorso ai partecipanti dell’Assemblea Plenaria dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali, 8 maggio 2013.
7 Papa Francesco, Angelus, 17 marzo 2014.
8 Papa Francesco, Angelus, preghiera alla Santa Famiglia, 29 dicembre 2013.
9 Papa Francesco, Discorso a Lampedusa, 8 luglio 2013.