N.02
Marzo/Aprile 2015

Verità e bellezza

Vi saluto con affetto e vi ringrazio per il vostro invito. Vi porto il saluto affettuoso e la Benedizione di Papa Francesco, dalla cui Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium avete tratto il tema dei lavori di questi giorni: “Vocazioni e santità: toccati dalla Bellezza”.
Mi domando: esiste la reale possibilità, nel nostro mondo affannato e superficiale, di riconoscere davvero questa Bellezza, e di esserne di conseguenza affascinati e attratti? È possibile – come scrive il Papa – trasformare tutte le espressioni di autentica bellezza in sentiero che aiuta ad incontrarsi con il Signore Gesù? (EG167). Da un lato siamo circondati, per non dire immersi nella bellezza, che ci viene incontro nella natura, nei capolavori dell’arte e nelle opere d’ingegno che l’umanità continuamente produce. Tutte le forme artistiche, in particolare, ci richiamano a qualcosa di superiore, a Qualcuno che le ha rese possibili e verso il quale tendiamo. Se poi passiamo a considerare la Sacra Scrittura e in modo peculiare il Vangelo, ci imbattiamo in una forma di bellezza che suscita meraviglia, non solo nei credenti in Cristo Gesù, ma in ogni persona che con onestà intellettuale si ponga davanti a quelle pagine.
Le letture che la Chiesa ci propone in questa seconda domenica di Natale ne sono un fulgido esempio. Siamo davanti al Prologo del Vangelo di Giovanni, grandioso e intimo al tempo stesso. L’autore è riuscito a condensare in pochi versetti una storia che, superando i secoli, raggiunge il nostro tempo e la nostra esistenza. Descrive il viaggio di Dio verso l’uomo, intrapreso affinché l’uomo potesse iniziare il suo viaggio verso Dio. Descrive la potenza e l’umiltà del Creatore, che non si arrende di fronte alle difficoltà poste al suo disegno di benevolenza e di amore. Afferma che il Figlio di Dio, la sua Parola, si è fatta carne, che la Sapienza è divenuta un Bambino, che la Gloria di Dio si è abbassata fino alla mangiatoia di Betlemme per essere e rimanere con noi. Lancia uno sguardo sul mistero insondabile di una lotta senza quartiere tra luce e tenebre, tenebre che non si arrendono di fronte all’aurora che avanza, ma luce più ostinata e più forte che vince e non verrà spenta dal buio. Afferma con un’autorevolezza insindacabile, vertiginosa, che coloro i quali accoglieranno questa luce che viene nel mondo, diventeranno figli di Dio.
In poche, mirabili righe, è descritta la grandezza del disegno provvidente di Dio ed è condensato il dramma della storia e la speranza offerta agli uomini in Gesù, Parola di Dio fatta carne. È una pagina che rivela tutto questo con un linguaggio poetico, teologico e filosofico insieme, in cui i riferimenti alla Scrittura e alle categorie culturali greche producono un esito del tutto originale.
La verità e la bellezza gareggiano per conquistarsi il primo piano e, pur essendo stata scritta circa duemila anni fa, si presenta sempre nuova ed attuale, segno che in essa spira qualcosa di ben più alto che la semplice bravura di uno scrittore. Eppure, pur essendo immersi in questa bellezza che può promanare da uno spettacolo della natura, da un’opera d’arte o, in maniera del tutto speciale, da una pagina di Vangelo, ne siamo davvero toccati profondamente? La meraviglia riesce a trasmettere una forza in grado di trasformare l’esistenza, oppure c’è il rischio concreto di vagare alla ricerca perenne i sempre nuove emozioni, senza soffermarsi su nessuna in particolare, rimanendo tiepidi e incapaci di tradurle in programma e novità di vita, in sequela fiduciosa ed operosa? Cosa interviene se l’emozione non si trasforma in vocazione e sequela e neppure la via pulchritudinis sembra condurre alla meta? Forse ci è stato rubato il tempo per assaporare le cose, per renderei conto del loro vero valore, della loro importanza reale e non fittizia. Probabilmente siamo immersi in troppa bellezza per valorizzarla appieno e raggiunti da troppe immagini e parole perché ne possiamo scegliere alcune su cui riflettere e renderle davvero carne della nostra carne.
Per favorire un clima adatto a scelte decisive nella vita occorre non solo essere toccati dalla bellezza, dalla verità e bontà, ma saper creare un ambiente in cui esse possano risuonare nell’animo fino a coinvolgerlo esistenzialmente. Quella bellezza, quella verità e bontà hanno bisogno non solo di essere riconosciute come tali, ma di essere considerate come profondamente adatte, desiderabili e raggiungibili da parte di ciascuno. La nostra epoca è generosa nel riconoscere il valore in sé ma restia a prendere coscienza che si tratta di un valore “per me”. Siamo capaci di fare del mistero del Natale, della sua ineffabile e incantevole bellezza, un mistero “per me”? Il grande mistico tedesco Meister Eckart si domandava: «Perché Dio si è fatto uomo?». E rispondeva: «Perché Dio nasca nel cuore di ciascuno e perché il cuore di ciascuno nasca in Dio». Gli fanno eco le celebri parole di un altro mistico tedesco, di qualche secolo successivo, Angelo Silesio, il quale affermava: «Anche se Cristo nascesse mille e diecimila volte a Betlemme a nulla ti gioverà se non nasca almeno una volta nel tuo cuore».
Per provare la meraviglia non fine a se stessa, ma capace di coinvolgere la vita, guardiamo al Presepe. Il Presepe mostra una scena fatta di semplicità e sobrietà in cui la bellezza e la commozione sorge da quella piccola culla con l’Emmanuele e con la Sacra Famiglia e i pastori. E attorno a loro c’è la notte buia. Abbiamo forse bisogno anche di un po’ di buio, come accade per apprezzare in pienezza il presepe. Non il buio simbolo di ciò che si oppone alla luce di Cristo, ma quello che ne fa risaltare lo splendore agli occhi delle nostre coscienze, in modo da renderle capaci non solo di riconoscere Gesù, ma di seguirlo, diventando suoi discepoli. Uno spazio di silenzio interiore in cui ciascuno possa incontrare sé stesso e cogliere in tal modo che la presenza di Gesù è per lui e richiede una personale, fiduciosa e concreta risposta d’amore. Abbiamo ascoltato l’Apostolo Paolo pregare Dio Onnipotente perché dia agli Efesini uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di Lui e illumini gli occhi del loro cuore perché comprendano a quale speranza li ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi (cf Ef 7-18). Ci dia davvero il Signore questa sensibilità e questa sapienza per accoglierlo e testimoniarlo. Ci dia la grazia di fare spazio a Gesù nelle nostre concrete esistenze, di avvertire che la vocazione alla santità è rivolta a tutti, è un dono da chiedere, una luce verso cui camminare, una speranza che ci rallegra e ci sostiene.
È bello stare con te, Signore. Direi piuttosto – come disse l’Apostolo Pietro sul monte Tabor: «Signore, è bello per noi restare qui» (cf Mt 17a) – è vitale per noi parlarti, pregarti, trascorrere ogni giorno un po’ di tempo con Te. Questo non «per fare le tende» (cf Mt 17a), pretendendo di godere della tua presenza come se già fossimo arrivati in patria, ma per ricevere la chiarezza e l’energia necessarie per scendere dal Tabor e incamminarsi in ogni strada del mondo con il cuore colmo del ricordo dell’incontro con te, portarti ai nostri fratelli e sorelle e trasfigurare il mondo con la tua bellezza.
Nel formulare a tutti voi i miei più cordiali auguri per l’anno appena iniziato, auspico vivamente che il presente Convegno aiuti voi e tutti coloro che sono affidati alle vostre attenzioni spirituali e pastorali, a riscoprire la bellezza di dirsi e di essere cristiani, di accogliere la presenza del Figlio di Dio che viene a visitarci e a redimerci.