N.03
Maggio/Giugno 2015

Giacomo e Giovanni: chi-amati per amare

Marco Basaiti, Vocazione dei figli di Zebedeo, (1510), olio su tela, Gallerie dell'Accademia di Venezia

Testo biblico (Mc 1,14-20)
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui. 

L’artista
Del pittore Marco Basaiti si hanno poche notizie, la sua data di nascita è incerta, databile intorno al 1470, da una famiglia probabilmente di origine greca. Muove i primi passi nel mondo artistico veneziano all’inizio del Cinquecento. La sua produzione pittorica sarà fortemente influenzata dalla scuola di Giorgione, soprattutto nella rappresentazione del paesaggio, in cui gli ampi spazi naturali assumono significati particolari, come nella pala della Vocazione dei figli di Zebedeo. Basaiti collabora con Alvise Vivarini, suo maestro, ed esprime il proprio talento nella ritrattistica oltre che nella rappresentazione della natura. 

L’opera
La Vocazione dei figli di Zebedeo è una pala d’altare, eseguita ad olio su tela nel 1510. Un tempo collocata nella chiesa della Certosa di Sant’Andrea a Venezia (oggi non più esistente), attualmente è conservata presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia.
In questo dipinto la rappresentazione del paesaggio aveva la capacità di destare nei giovani che entravano nella comunità monastica, un interesse all’attualizzazione della loro vocazione attraverso l’accurata riproduzione di territori, paesaggi, ambienti familiari, luoghi in cui si sarebbe poi realizzata la chiamata, la loro missione.
Marco Basaiti ha dedicato più della metà della superficie del quadro alle montagne, al lago, ai paesini, ai mestieri… Quel paesaggio rendeva più familiare e meno doloroso il distacco dagli affetti, ma ancor più aveva un potere evocativo: la chiamata di Gesù, attualizzata, era per loro.
Ma analizziamo i personaggi, i cui gesti ci aiuteranno a gustare più profondamente quest’opera.

Gesù
Gesù è il protagonista di tutta la scena. Ha davanti a sé i due fratelli: Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo. Gesù si rivolge a loro scrutandoli nel profondo; il suo è uno sguardo che sceglie, che attira. È un Gesù giovane, con i capelli lunghi e la barba, indossa una tunica rossa e sembra ritirarsi nel suo mantello blu, in un gesto di intimità, di riservatezza Colpisce il fascio di luce che proviene da destra e che illumina totalmente il corpo di Gesù, mentre i volti di Pietro e Andrea rimangono nell’ombra. Notiamo la capacità espressiva di Gesù, la mano destra che benedice. Ma qual è il senso di Gesù che benedice? E perché è così importante? La benedizione è un atto di predilezione da parte di Dio e svela la presenza divina nella vita e nella storia di questi due discepoli. Il bene-dire è l’impegno di amore che Dio prende con l’uomo, è un atto che comunica come in Dio si trovi il senso e il significato profondo della vita.

La mano benedicente
Per l’iconografia le dita hanno un significato profondo: le dita incrociate formano l’anagramma di Gesù (IC) Cristo (XC).
Le tre dita aperte (pollice, indice, mignolo) vogliono ricordare la Trinità, mentre le due dita ripiegate (medio e anulare) vogliono ricordare che in Cristo sussistono due nature, quella umana e quella divina. Nella mano benedicente è nascosto un profondo simbolismo: questo gesto rivela la divina-umanità di Cristo. Non è solo un uomo che chiama, è Dio, tutta la Trinità.

Pietro e Andrea
Marco Basaiti ha rappresentato Pietro alla destra di Gesù e Andrea alla sua sinistra; il pittore, nella sua genialità, li ha raffigurati tenendo conto della loro storia di vocazione, facendone una sintesi dall’inizio al compimento. I gesti si riferiscono a eventi vissuti: Pietro indica con la mano destra i due fratelli, con la sinistra stringe la cintura che gli cinge la veste. Questo gesto ci riporta alla seconda chiamata di Pietro, quando si getta nelle acque del lago per andare da Gesù (cf Gv 21,7). Pietro e Andrea hanno molti elementi in comune con Giovanni e Giacomo. Sono le prime coppie di fratelli chiamati da Gesù e sono legati da molti elementi. I loro gesti e significati fanno riferimento ai Vangeli: dubbi, incertezze, errori, timori, gloria, essere primi, sedere alla destra e alla sinistra del Padre, potere.
Andrea è l’unico personaggio all’interno della pala che ha lo sguardo diretto all’osservatore del dipinto come per redarguire i chiamati a non desiderare posti d’onore e ad abbandonare ogni desiderio di gloria. Con la mano sinistra sembra quasi sbarrare la strada ai due fratelli (nel Vangelo di Matteo è la loro madre che chiede a Gesù il privilegio di farli sedere uno alla sua destra e l’altro a sinistra, cf Mt 20,21), con la mano destra indica sé stesso (ricordiamo che a Sant’Andrea era titolata la chiesa dove inizialmente si trovava la pala d’altare).

Giacomo e Giovanni
Giacomo e Giovanni erano soprannominati Boanérghesfigli del tuono” – per il loro carattere impulsivo, reattivo. In questa scena però il loro  carattere irascibile non traspare, sono invece rappresentati, uno dietro l’altro, rasserenati e pacificati.
Giacomo è il primo e si prostra in segno di riverenza. È un gesto denso di significato, che riconosce la grandezza di chi gli sta di fronte, è l’atteggiamento di chi si sente umile, piccolo, che desidera essere accolto e amato.
Le mani di Giacomo: la sinistra sul cuore (la parola di Gesù fa battere il cuore pronto a rispondere alla chiamata), la destra è aperta nell’accoglienza del dono.
I due fratelli si assomigliano, Giovanni è molto più giovane di Giacomo, traspare il suo volto di adolescente Ricordiamo che è il più piccolo degli apostoli e, anche se siamo nel momento inizia le della chiamata, dal suo sguardo, da tutto il suo essere, sembra già trasparire la consapevolezza di essere il privilegiato, il prediletto.Giovanni è il discepolo che riposa sul petto di Gesù nell’ultima cena, che rimane sotto la croce nel momento della prova, per tutto questo è il discepolo amato: la sua mano destra è sul cuore, in sintonia con le parole e il gesto benedicente di Gesù.

 

Il padre Zebedeo
Zebedeo, padre di Giacomo e Giovanni, è l’anziano che troviamo sulla destra del dipinto. Sta per scendere dalla barca (notate il dinamismo della sua figura). Anche lui è attratto dallo sguardo di Gesù. È evidente il senso di libertà che proviene da questo padre che intuisce la forza dell’amore: non trattiene i suoi figli, al contrario, indicando il Cristo, li lascia andare; sembra dire a Giovanni, il più piccolo dei suoi figli, l’inseparabile: «Non preoccuparti di me, tu segui Lui».

 

Pescatori e Pastori
I pastori sul crinale di sinistra e i pescatori sul lago, intenti nel loro lavoro quotidiano, sembrano quasi interagire. Gesù chiama ad essere pescatori e pastori, da pescatori di uomini a pastori di pecore, per salvare uomini dalle acque del mare, che rappresentano la morte, e condurre le pecore ai pascoli verdi per dare loro nutrimento. Pastori e pescatori, figure che simboleggiano la dura fatica del lavoro quotidiano ed evocano la solitudine… le stesse difficoltà di ogni chiamato.

 

Il garzone
Il garzone raffigurato di spalle, seduto, con la canna da pesca, appare immobile, incantato. Sembra un personaggio che assiste passivamente alla scena, ma in realtà ne è protagonista al pari di chi osserva il dipinto. In ogni tempo e in ogni luogo. Segue il movimento, l’attrazione dei due discepoli verso Gesù. È solo un garzone, davanti a lui ci sono i figli del suo padrone. Sta pescando e sembra non curarsi di ciò che sta avvenendo; non vediamo il suo volto, ma ne intuiamo lo stupore e la meraviglia: come si possono lasciare affetti, famiglia, ricchezze? Per molti la chiamata è qualcosa di incomprensibile, misterioso. Questo garzone rappresenta ciascuno di noi; è testimone del mistero della chiamata, lascia parlare le nostre fatiche, i pensieri, le attese, i nostri sogni per poi annunciare ciò che ha visto, ciò di cui testimone.

Il pane e il vino
Come interpretare il pane raccolto in un panno e il vino in una brocca di terracotta nella stiva della barca a sinistra? Sicuramente alludono ai segni sacramentali, un sicuro rimando all’Eucaristia che il sacerdote celebrava al di sotto del quadro, dove c’era l’altare dossale. Ma noi questi segni possiamo interpretarli come invito a rendere presente e vivo quel Gesù nella vita di ogni giorno, quando la fatica quotidiana è pesante, quando la monotonia dei giorni è insostenibile, l’Eucaristia diventa il segno per ri-motivare la propria chiamata.
Pane e vino sono un forte invito, per chi osserva, ad avere il nutrimento per vivere ogni giorno la chiamata del Signore. Come non ricordare le parole dell’evangelista Giovanni: «Chi mangia me vivrà per me». Se ci cibiamo del Signore è per vivere, come Lui, nell’amore, sono nutrimento per amare come Gesù, per assomigliare a lui nell’amore. Pane e vino sono nella stiva della barca, difficili da trovare nell’insieme del quadro, quasi nascosti. Sono segni che non si impongono, che parlano di una “presenza” da accogliere libera mente. Pane e vino: preziosi per accogliere una chiamata, per rendere, oggi, presente e reale la persona di Gesù. 

Riflessioni e approccio vocazionale
La chiamata: un’attrazione del cuore
Nell’incontro con Gesù, Giacomo e Giovanni vivono un’attrazione del cuore. Il segreto di questa attrazione è nella Parola e nel gesto benedicente di Gesù. Dio, in Gesù, li chiama e li benedice, li ama: è da questa forza che sono attratti, forza che fa battere il cuore e che non cede a tentennamenti, dubbi, incertezze.
Ascoltare la parola di Dio che chiama è vivere un innamoramento riguardo a Dio.
Parlare di innamoramento riguardo a Dio è senza dubbio suggestivo.
Certo, questa parola sembra appartenere ad altri contesti e linguaggi, soprattutto dell’universo giovanile. Ma cosa si intende per innamoramento?
È la consegna totale di sé a chi si ama, è fidarsi così tanto da affidargli la propria persona, la vita, il futuro, è accoglienza e responsabilità dell’altro. Comprendiamo allora quanto sia naturale che ogni uomo e ogni donna si innamorino del Dio Creatore, perché solo lui è tenerezza infinita e amore senza limiti.
Solo chi ha sperimentato la chiamata di Dio può comprendere fino in fondo: la vocazione è un grande dono da accogliere, è la scommessa di Dio su ciascuno di noi.
All’origine, agli inizi di un’esperienza di amore, non c’è l’io ma il Tu. Chi si innamora subisce il fascino, la meraviglia dell’altro, e quando l’altro è Dio, come non stupirsi e meravigliarsi? Dio, come ogni innamorato, seduce con la prospettiva del dono, ti rende consapevole di essere dono, ti chiede di uscire da te stesso per incontrare gli altri, per donare felicità e amore.
La vocazione è sentirsi amati dal Signore e allo stesso tempo esperienza di innamoramento. È desiderio di donarsi agli altri e di imparare ad amare con la stessa intensità, la stessa passione con cui siamo amati da Dio.
Ma come si fa a scoprire questo amore? Attraverso quali strumenti una persona può sentire la chiamata ad amare? Dio si rende presente nella storia dell’uomo, nella storia personale di ognuno, che è il luogo in cui il Signore si rivela, dove la vita diventa dimora di Dio, dove si possono scoprire il suo volto, i suoi passi.
Scoprire la chiamata è ripercorrere la nostra vita, gli incontri, le relazioni, gli stati d’animo, i sentimenti con gli occhi della fede per giungere alla presenza di Dio che non abbandona mai.
La nostra storia è spesso frammentata; è come un puzzle, dove le tessere sono disordinate e senza senso. Occorre rimettere insieme le situazioni, gli avvenimenti della nostra esistenza per guardare il nostro passato e il nostro presente in modo nuovo, per scoprirci alla chiamata. È necessario vivere continuamente alla presenza del Signore nella consapevolezza che non si può vivere senza di lui, che solo lui può dare senso alla vita e, come l’innamorato che vive la certezza di essere amato, ha certezza di amare. Queste due “certezze” riempiono il cuore di chi si innamora perché l’esperienza della chiamata non è qualcosa di astratto e lontano, ma tocca l’affettività, i sentimenti, e addirittura i sensi… è questa l’attrazione del cuore. 

Preghiera
Signor Gesù,
mi sorprendi
con la tua chiamata
e come hai fatto
con Giacomo e Giovanni
mi proponi di seguirti.
Provoca anche in me
questa attrazione d’amore.
Donami un cuore
libero e generoso
con il quale io possa
donare tutto il tuo amore
e attirare altri a te
che sei amore infinito.

NOTE
1 Per una completa comprensione dei dipinti analizzati in questa rubrica, consigliamo di visitare il sito www.chiesacattolica.it/vocazioni e visionare gli schemi proposti.

Marco Basaiti
Vocazione dei figli di Zebedeo
(1510), olio su tela, Gallerie dell’Accademia di Venezia