N.04
Luglio/Agosto 2015

Emmaus, tra simboli e segni: una nuova chiamata

Caravaggio, La cena in Emmaus, (1601), olio e tempera su tela, Londra, National Gallery

Testo biblico (Lc 24,28-35)
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. 

L’artista
Delineare un profilo della vita e dell’opera di Caravaggio in poche righe è impossibile, ricordiamo allora solo gli avvenimenti più importanti della sua esistenza per poter comprendere almeno in parte il suo carattere e la sua personalità.
Michelangelo Merisi da Caravaggio nasce il 28 settembre 1573. Nel 1585, giovanissimo, entra nella bottega di Simone Peterzano, pittore milanese, dove resta per qualche anno. Già da giovane mostra il suo carattere difficile, portato alla rissa, per cui finisce per qualche tempo in carcere.
Nel 1590 arriva a Roma. In compagnia di altri giovani artisti conduce, tra avventure e piaceri, una vita a dir poco sregolata. Nel frattempo raggiunge una certa fama e la sua attività di pittore, riconosciuta e apprezzata, viene contesa da nobili e cardinali romani, suoi mecenati. La sua vita privata resta caratterizzata da continue risse, delitti e fughe. Nel 1610, a soli 39 anni, la sua ultima fuga; viene trovato, sfinito e consumato dalla febbre, sulla spiaggia di Porto Ercole dove morirà pochi giorni dopo.
È interessante notare come Caravaggio in tutta la sua produzione artistica riporti i propri stati d’animo, le paure, il desiderio di essere perdonato, e scoprire come si nasconda tra i soggetti delle sue opere attraverso gli autoritratti.
Ma qual è la caratteristica principale di Caravaggio? Egli rappresenta la realtà come la vede, non come la pensa. Dipinge al naturale, i suoi personaggi sono raffigurati così come sono, tanto da apparire vivi e veri. La sua è una riproduzione così realistica, quasi fotografica. I volti sono quelli della gente comune che egli incontra nel suo quotidiano, nelle locande e nelle osterie che amava tanto frequentare. Credo che per Caravaggio sia stato importante, decisivo, l’aver operato artisticamente nel periodo della Controriforma voluta dalla Chiesa di Roma in risposta alla Riforma del Nord Europa.
Un tempo in cui si aveva il bisogno di riappropriarsi della fede in un Gesù dal volto più umano. Caravaggio aveva preso alla lettera i principi della Controriforma, che tendeva a riconsiderare, a dare valore e dignità ai poveri, agli umili, agli oppressi; a riportare i santi sulla terra, con i piedi sporchi, gli abiti sdruciti. In realtà, raramente vediamo le aureole nei santi da lui raffigurati.
Caravaggio compie tutto questo in modo sublime, raffigura i propri personaggi con tratti molto realistici al punto da essere considerato, a volte, troppo aspro e duro, troppo marginale, tanto che considerati offensivi, dissacratori. Prendeva dei modelli dalla strada per raffigurare i santi, Gesù e persino sua madre, Maria. Potete allora immaginare lo sconcerto, il disappunto di molti, ma anche l’ammirazione di artisti che ne hanno poi seguito le orme. 

L’opera
Esistono due versioni de La cena in Emmaus. Noi abbiamo scelto la prima, che oggi si trova a Londra. L’opera risale al 1601 e fu commissionata da Ciriaco Mattei, ricco ecclesiastico. Caravaggio ha sapientemente rappresentato il momento culminante del riconoscimento di Gesù risorto da parte dei due discepoli. Ha saputo cogliere lo stupore e la meraviglia, ma soprattutto è riuscito a rendere perfettamente la dinamicità nel momento dello spezzare il pane.
Dipinta alla soglia dei trent’anni, questa tela traspira entusiasmo giovanile e ricchezza di colori. Osserviamo gli oggetti sulla tavola, la dovizia e ricchezza di particolari con cui Caravaggio esprime tutta la sua bravura e originalità. Per non parlare dei movimenti, dei gesti; che dire poi della profondità dei personaggi raffigurati nella scena?
Una gestualità che esce dallo spazio e coinvolge lo spettatore, che interagisce con i personaggi del Vangelo e li interpella. In questa opera il Caravaggio ha messo tutta la sua maestria e la sua genialità, evidenziando notevoli capacità artistiche.

Gesù
Gesù è raffigurato al centro, domina la superficie del quadro.
Ciò che colpisce immediatamente è il suo volto, un Gesù giovanissimo, adolescente, un viso dai tratti misti, femminili e maschili insieme.
Gesù esprime dolcezza e tenerezza (richiama le raffigurazioni del buon pastore dei primi secoli del Cristianesimo) con le guance paffute, la bocca ben definita, i capelli ondulati. Sembra che Caravaggio si sia divertito ad esagerare i tratti del volto di Gesù, particolari questi che sono testimonianza della sua esuberanza giovanile. Caravaggio ha voluto mostrare un Gesù quasi trasfigurato dalla risurrezione, senza i segni della passione, per far sì che i discepoli lo riconoscessero solo dal gesto delle spezzare il pane.
Ciò che colpisce di Gesù è lo sguardo abbassato, come per dare più forza e intensità all’azione che sta compiendo. Tutto il suo essere è proteso verso l’atto della benedizione, quasi a invitarci a non distogliere lo sguardo perché in quel gesto è racchiuso il senso del riconoscimento. Caravaggio ha saputo rendere in modo mirabile quel momento sospeso e sembra invitare ognuno di noi a trattenere il respiro.

Pane spezzato
Come è riportato nei Vangeli, Gesù dà la benedizione e poi spezza il pane.
Qui l’artista ha invertito i momenti, ha voluto prolungare nel tempo il gesto del benedire dopo aver spezzato il pane. In primo piano sulla tavola un pollo arrostito, mentre il pane spezzato è nascosto, si fatica a intravederlo tra le tante pietanze, sembra confondersi, quasi a far comprendere che quel pane spezzato è simbolo del risorto. È un segno comprensibile solo per alcuni, i discepoli, ma non lo è per l’oste, anche se è a fianco di Gesù, così come per tanti altri.
Il pane spezzato è nascosto quando diventa abituale, quotidiano, quando non rivela più nulla, non svela il mistero perché non è più cibo e nutrimento per la propria vita, perché non è più pane condiviso.

La mano destra di Gesù
La mano destra di Gesù, nel gesto della benedizione, sembra invitare i discepoli a non indugiare, ad andare ad annunciare ciò che hanno visto, sperimentato. Da quel segno i due discepoli recuperano la fiducia, superano la paura; è per quella mano che, incuranti della notte, riprendono il cammino. Quanti significati in quel gesto: partecipare alla cena è un invito ad annunciare.

La tavola
La tavola della locanda imbandita di vivande, con il pane e il vino, ha l’aspetto di un altare. A quel tempo l’altare consisteva in un tavolo coperto da un drappo damascato e da una tovaglia bianca. Ogni oggetto che è sulla tavola – frutta, vino, acqua, pollo – ha un significato. Questi oggetti vengono descritti e riprodotti con grande precisione ed evidenza realistica. È un richiamo ai simboli e al significato dell’Eucaristia e un invito all’osservatore a trovare e interpretare corrispondenze e significati teologici. Pane e vino come Corpo e Sangue di Cristo dati in sacrificio; la frutta nel canestro rimanda invece alla passione e alla risurrezione di Cristo.
Particolare curioso e stravagante è quello del canestro di frutta che, consapevolmente, Caravaggio ha posto in bilico sulla tavola con un’ombra che ricorda la figura di un pesce (proiettata sulla destra). Ecco la genialità di Caravaggio che da un gioco di ombre riesce a farci riflettere su temi e aspetti teologici.
Il pesce, simbolo di Gesù: nella lingua greca pesce – (ΊΧΘΥΣ) – è una parola composta da lettere che corrispondono a ogni titolo di Gesù2. I due discepoli lo ri-conoscono perché possono ricondurre a Gesù tutti questi titoli attraverso questo simbolo. Pensate, tutto questo a partire dall’ombra a forma di pesce del canestro che, a un occhio poco attento, passa inosservata.

Cleopa
Cleopa non si capacita di ciò che sta contemplando, non possiamo vedere il suo volto perché è di spalle, il solo profilo ci fa immaginare lo stupore, la meraviglia. Caravaggio è stato talmente abile da far parlare tutto il suo corpo, è il corpo che riconosce Gesù, non ha bisogno di farlo vedere con gli occhi.
Con quanta forza Cleopa spinge sui braccioli! Immaginiamo l’impeto, lo scatto, il pittore ha saputo rappresentare Cleopa quasi sospeso. E Cleopa ci insegna che non si deve indugiare nell’annunciare Gesù vivo e vero, presente nella mia vita e nella storia di ogni giorno. Invita a non perdere tempo, ad avere prontezza e sollecitudine perché Cristo non è morto, è risorto e vive per sempre. Cleopa sembra dire: è proprio lui, è Gesù e io lo vedo! 

Discepolo (a destra)
Forse il discepolo è senza nome affinché ognuno di noi si possa identificare con questo personaggio che nell’atto del riconoscimento allarga le sue braccia a forma di croce. Quella croce che era ostacolo, che impediva di conoscere profondamente l’identità di Gesù ora la riproduce su di sé, come se fosse crocifisso anche lui; si ri-conosce in quel simbolo. Ora è pronto all’annuncio perché ha saputo integrare nella sua vita lo scandalo della croce. Nella croce non c’è solo sofferenza, dolore, morte, su quel patibolo c’è tutto l’amore di Dio verso ogni uomo. Gesù ha trasformato la morte che è diventata offerta di redenzione per l’uomo. Ha reso la croce strumento di supplizio, straordinario dono d’amore. Lo sguardo del discepolo è pieno di stupore e adorazione. A volte facciamo fatica ad accettare la croce perché la interpretiamo come fallimento, morte e la rifiutiamo. Ma nello stupore dell’incontro con lui, nel segno del pane spezzato, la croce si rende comprensibile. Allora, come il discepolo, allarghiamo le braccia per abbracciare il mondo intero, come Gesù e con Gesù, e annunciamo a tutti il suo amore.
Alcuni vedono nel personaggio senza nome l’evangelista Luca perché è solo lui a narrare questo episodio nel suo Vangelo. Ne fa un narrazione dettagliata e minuziosa che solo chi ne è testimone, chi ha vissuto quell’evento in prima persona, può fare e poi perché, come si sa, chi scrive non si nomina mai.
Questo personaggio ha un segno che lo distingue, la conchiglia. In quel tempo erano numerosi i pellegrini che andavano a piedi, in particolare nel santuario di Santiago di Compostela. In un pellegrinaggio, in un cammino a piedi, è possibile riscoprire il senso profondo della vita, perché riproduce in sé l’esistenza con le sue domande, i suoi perché. Un cammino è fondamentale per conoscersi e ri-conoscere e questa conchiglia ci dice che il suo pellegrinaggio è giunto alla meta.

Oste
Nella narrazione di Luca non c’è l’oste.
Raffigurandolo, Caravaggio ha voluto privilegiare la scena, forse perché anche l’oste, come gli altri due personaggi, desidera comunicarci qualcosa. L’oste sta guardando Gesù. È uno sguardo distaccato, senza nessuna emozione, nessun trasporto; egli non comprende, è immobile, fisso, guarda, ma non si coinvolge. Quello di Gesù è un gesto che ha visto migliaia di volte compiersi nella locanda, il movimento del maestro non gli dice nulla. È davvero strano! Un’azione che nei due discepoli suscita sbalordimento e gioia per l’oste è segno di poca attenzione, perché senza comprensione. Si può essere molto vicini a Gesù, e lui lo è fisicamente, ma non nell’intimità del cuore, perché incapace di emozionarsi e di coinvolgersi. L’oste non conosce Gesù, non sa chi è, non sa comprendere il significato di quel gesto; è lì, ma non può partecipare al mistero che si sta rivelando, il suo volto ci rattrista un po’ come quello di tanti altri che non hanno incontrato il Signore. 

Riflessioni e approccio vocazionale
La chiamata in un gesto
Caravaggio ci invita ad entrare nella locanda di Emmaus, vuole farci partecipare a ciò che sta accadendo intorno a quel tavolo, ad aprire gli occhi per riconoscere Gesù presente nella nostra vita e nella nostra storia. Ecco perché tutta la narrazione dei discepoli di Emmaus si può dire che tratti un discernimento vocazionale. Gesù, con Cleopa e il suo amico, agisce come un animatore vocazionale che accompagna, sa ascoltare, sa porre domande e trarre dalla loro storia un senso e una speranza.
Questo episodio è molto emblematico perché all’inizio i due discepoli sono delusi, scoraggiati, ripiegati su se stessi, senza più una motivazione. Addirittura stanno tornando indietro abbandonando la chiamata, la sequela di Gesù, la vocazione; sono disillusi, a dir poco disperati.
Come fare per ri-conoscere Gesù? Mi piace pensare ad una seconda chiamata, a conoscerlo di nuovo, poiché nel significato biblico “conoscere” vuol dire “amare”.
Ri-conoscono Gesù nello spezzare il pane, lo riconoscono perché quel gesto poteva farlo solo lui. È un segno che fa sintesi di tutta la sua storia. Lì, in quell’atto, è racchiuso il segreto della vita di Gesù, il suo testamento, il suo cuore. È un gesto caratteristico della sua persona (come quando ciascuno di noi riconosce i passi, la voce della persona amata e non può avere dubbi e incertezze). Un’azione così semplice, quotidiana, ma allo stesso tempo straordinaria, perché narra la bellezza dell’essere un dono per amore.
Nell’Eucaristia c’è questa avventura vocazionale, lì è racchiusa la nostra chiamata. Il Signore lo conosciamo da sempre; oppure presumiamo di conoscerlo! A volte è una presenza che ci sfugge, altre volte lasciamo spazio alla delusione, allo scoraggiamento, all’illusione.
Allora c’è il bisogno di conoscerlo più intimamente, di entrare sempre più nel suo mistero e nell’Eucaristia, nello spezzare il pane, saper riconoscere la verità della mia vita, della mia storia, perché in quel gesto ci sono anch’io con lui.
Quel segno narra la mia vocazione, la mia più profonda identità: quella di essere suo figlio, rassomigliare a lui nell’amore, e da quel pane spezzato viene la chiamata a fare ciò che ha fatto lui, ad essere un dono per amore.
Cleopa e il discepolo riferiscono alla comunità di Gerusalemme l’esperienza che li ha trasformati: «Ciò che era accaduto lungo la via… come l’avevano riconosciuto…».
Il problema non è come Gesù sia risorto, ma come riconoscere il risorto. Che sia per ciascuno di noi un invito a riconoscere e ad annunciare il risorto, a ripetere ogni volta quel gesto con il suo e il nostro cuore.

Preghiera
Signore Gesù, ti ringraziamo
perché nella locanda di Emmaus
ci hai dato la possibilità
di ri-conoscerti vivo e presente
nel cammino della nostra esistenza.
Fa’ che non dimentichiamo mai
il gesto dello spezzare il pane
un gesto che narra
la tua profonda identità:
essere un dono per gli altri.
Signore Gesù, mi sorprendi
con la tua chiamata
e come hai fatto con Giacomo e Giovanni
mi proponi di seguirti.
Provoca anche in me
questa attrazione d’amore.
Donami un cuore libero e generoso
con il quale io possa
donare tutto il tuo amore
e attirare altri a te
che sei amore infinito. 

NOTE
¹ Per una completa comprensione dei dipinti analizzati in questa rubrica, consigliamo di visitare il sito www.chiesacattolica.it/vocazioni e visionare gli schemi proposti. Marco Basaiti Vocazione dei figli di Zebedeo (1510), olio su tela, Gallerie dell’Accademia di Venezia.
² Acrostico: parola formata dalle iniziali di un gruppo di parole. Il pesce è simbolo di Gesù perché nella lingua greca ogni lettera che compone la parola “pesce” (ΊΧΘΥΣ) designa l’iniziale di un titolo di Gesù: Gesù (I: Iesus), Cristo (X: Khristos), di Dio (Θ: Theou), Figlio (Υ: Uios), Salvatore (Σ: Soter).

 

Caravaggio
La cena in Emmaus
(1601), olio e tempera su tela, Londra, National Gallery