N.05
Settembre/Ottobre 2015

La vocazione di Matteo: una nuova creazione

Caravaggio, La vocazione di San Matteo, (1599-1600), Roma, San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli

Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori.

L’artista
È quasi impossibile ripercorrere in breve la vita e l’attività pittorica di Caravaggio2 tanto grande e complessa è la sua figura. Qui ci limiteremo a fare riferimenti storico-artistici che riguardano prevalentemente l’opera presa in considerazione, La vocazione di San Matteo.
Siamo in pieno periodo della Controriforma, movimento interno alla Chiesa cattolica che si contrappone alla riforma protestante. Caravaggio giunge a Roma, diventata il centro delle attività artistiche di quel tempo; è l’inizio della sua formidabile ascesa. L’aristocrazia romana affidava incarichi ad artisti noti per dipingere le pareti di ville e chiese ed era anche l’occasione, per giovani di talento, di mettersi in mostra per diventare famosi e ricchi. Il cardinal Del Monte, intellettuale raffinato, conoscitore delle arti, fu suo generoso mecenate e affidò a Caravaggio, come primo incarico, la La vocazione di San Matteo nella chiesa di San Luigi dei Francesi.
Caravaggio aveva una forte consapevolezza di sé come credente, ma anche come peccatore. Conosciamo la sua vita sregolata e piena di eccessi. Era quello che oggi potremmo definire un tipo borderline, frequentatore di bische, osterie e personaggi poco raccomandabili. In lui, accanto al carattere passionale, emergeva la figura di uomo dotto, non solo informato dai suoi committenti, ma profondamente consapevole del pensiero teologico del suo tempo, contrassegnato dalla Controriforma, rinnovamento della Chiesa che portava ad approfondire il forte legame tra i peccatori e Gesù. Nella tela Caravaggio vuole narrare questo incontro mettendo in risalto la figura di Matteo il pubblicano, un pubblico peccatore, in cui probabilmente si identificava.
Quest’opera rappresenta un segno della sua maturità, un passaggio nell’approfondimento della realtà e in cui la luce, in un gioco di chiari e scuri, luci e ombre, assume un ruolo importante.

L’opera
A Caravaggio sono sufficienti i pochi versetti del Vangelo per comporre questo quadro. Ne La vocazione di San Matteo la narrazione è infatti molto scarna, sobria. È Matteo che ritorna con la memoria a quell’incontro che è rimasto indelebile nel suo cuore; come si sa, chi scrive di sé stesso ricorda e riporta ciò che è essenziale.
L’ambientazione è un’osteria della Roma del seicento, che il pittore amava frequentare. Come in un’istantanea, Caravaggio rappresenta Matteo, seduto al banco delle imposte, raggiunto dallo sguardo e dalla chiamata di Gesù; non si alza, è colto nel momento dello stupore e dell’incredulità. Caratteristica di Caravaggio è il realismo:, rappresenta, infatti, i suoi personaggi vivi e veri, sorpresi nella quotidianità, nell’ordinaria banalità. Da molti critici è tacciato di essere blasfemo perché ritrae i santi, i personaggi sacri, nelle vesti di comuni mortali ispirati dalla realtà, prendendo i modelli nei luoghi che frequenta, mettendo in evidenza l’importanza della realtà, della storia, e un Dio che non ha paura di coinvolgersi negli avvenimenti degli uomini.
Gesù si è incarnato, ha assunto la condizione umana per condividere la vita di ogni uomo e per donare salvezza. Caravaggio mostra che Dio si può incontrare ovunque e che la chiamata può giungere anche nella più misera storia, quella di un pubblicano.
È interessante vedere che i personaggi a destra, Pietro e Gesù, sono vestiti all’antica, come ai tempi di Gesù, mentre gli altri sono vestiti come nella Roma del Seicento. Questa maniera di rappresentare e rendere attuale un avvenimento del passato è caratteristica di Caravaggio e raggiunge il suo culmine nell’attualizzazione della chiamata di Matteo. Dio chiama ogni uomo in ogni tempo e in ogni luogo. Con Lui ogni uomo è destinatario di questa chiamata, anche i peccatori più incalliti, e ogni luogo è adatto alla chiamata, anche una bettola.
Mi piace inoltre evidenziare la gestualità di Caravaggio, la capacità di esprimersi con i gesti, di raffigurare parti del corpo: il braccio, le mani valorizzano l’immediatezza del gesto andando oltre la semplice descrizione anatomica; si può dire che questi gesti parlano, interpellano, provocano e, allo stesso tempo, quietano l’animo, rasserenano e, perché no, incoraggiano a una sequela.

La luce
La luce è la protagonista dell’opera, il taglio di luce divide in due la tela, fa emergere dal buio i personaggi e le poche suppellettili che sono in questa stanza. È una luce soprannaturale che viene dall’esterno, da destra, viene da Dio. Il primo personaggio ad essere illuminato è proprio Gesù, il cui volto risalta ben visibile. Il fascio di luce squarcia le tenebre in cui sono avvolti tutti i personaggi, li illumina. Alcuni sono abbagliati da questa luce, altri continuano a badare ai propri interessi nell’indifferenza. Si può rimanere indifferenti a essa? Eppure quella luce li fa esistere: la luce che irrompe nella stanza è la grazia divina, la forza creatrice, è la nuova creazione, ma non per tutti.

Gesù
Chi si sarebbe mai sognato di coprire il corpo di Gesù in questo modo? Anche qui possiamo osservare tutto l’estro di Caravaggio; sono visibili il volto illuminato e il braccio con la mano che indica. Il volto e il braccio, le uniche parti del corpo visibili, lasciano solo immaginare il suo corpo.
Il corpo di Gesù è nascosto dalla persona in primo piano, Pietro. Non ci sfugge il significato che Caravaggio vuole dare a questo particolare; Pietro rappresenta la Chiesa che rende presente il corpo di Gesù e che imita timidamente il suo gesto, con minore intensità. Dal volto di Gesù traspaiono i lineamenti di un giovane uomo. Ciò che colpisce è lo sguardo deciso, pieno di forza, come se volesse rivelare tutta la grazia, piena di fiducia, che proviene da quella luce.
Dalla bocca di Gesù sembra risuonare l’invito che fa a Matteo: «Seguimi». Lo dice con amore, ma anche con molta fermezza e la sua parola si tramuta nel gesto della mano. Le parole e i gesti di Gesù hanno la capacità di esprimersi con efficacia.

La mano creatrice
Il fascio di luce illumina il volto di Gesù, il suo braccio, la sua mano e raggiunge il viso di Matteo che è completamente avvolto dalla luce di grazia. La luce ha una direzione ben precisa, è consapevole, sa chi vuole raggiungere. Qui l’artista ha dato prova di tutta la sua maestria. Nel suo lungo soggiorno a Roma, Caravaggio ha sicuramente visitato la Cappella Sistina ed è rimasto affascinato dalla mano “creatrice” dell’Eterno Padre che crea Adamo. Caravaggio ha rivisitato questo mirabile gesto creatore unendolo alla luce. La creazione dell’uomo e la creazione della luce sono un tutt’uno per lui. È la mano di Gesù che ri-crea Matteo e la sua chiamata a una vita nuova è la nuova creazione.
Quello di Gesù non è un gesto che giudica, che condanna il peccatore. Il dito che indica è un invito ad accogliere la sua proposta, a scoprire il suo amore nel rispetto della libertà di chi ha consapevolezza, nella scelta, di accettare o meno il dono di Dio.

Pietro
Pietro appare come un uomo maturo, con i capelli bianchi, la barba, un po’ incurvato, forse sente il peso di una grande responsabilità.
Pietro è colto nella sua dinamicità, cammina con il bastone, la gamba in avanti mi fa pensare a una Chiesa che cammina in uscita da se stessa, che va alle periferie, non tanto fisiche, ma dell’esistenza, immagine richiamata spesso da Papa Francesco. Una Chiesa in uscita, che va alle periferie, nei sobborghi, tra i peccatori. Una Chiesa povera che porta con sé l’indispensabile, il mantello e il bastone, Pietro mi fa ricordare tutto questo: il ministero petrino di Papa Francesco.
Pietro, tra noi e Cristo, rappresenta la Chiesa che trova il proprio significato riconoscendosi nel Corpo di Cristo, assumendone e ripetendone segni e azioni che spesso, nella sua posizione istituzionale, hanno sminuito o nascosto la figura, la presenza, ma non il volto vero, l’essenza di Cristo che è sempre ben visibile e “illuminato”. Il gesto della mano di Pietro, che ripropone quello di Gesù, ci dice che è Gesù stesso che chiama attraverso la Chiesa, è la consacrazione della sua presenza nel tempo e nella storia.

Matteo
Matteo è al centro del gruppo dei gabellieri ed è l’unico consapevole di ciò che sta avvenendo. Gli altri due sono illuminati, ma i loro volti esprimono passività, incomprensione. Seppur raggiunti dalla luce, non dimostrano alcun coinvolgimento…
Matteo è stupito, incredulo, sembra dire: «Ma sono proprio io quello che cerchi e che chiami? O e l’altro, quello al mio fianco destro? Sono un pubblicano, un pubblico peccatore, ti stai sbagliando non posso essere io…!». La mano sinistra sembra indicare sé stesso, quasi a rimarcare la sua incredulità, ma è ambiguo e sposta tutta l’attenzione sull’altro. Lo colpisce un senso di inadeguatezza, di sfiducia, si sente incapace di essere il destinatario di tutta questa luce, di questa grazia che lo sta investendo.
Matteo è colto nel momento e lo sguardo sospeso, che si prolunga nel tempo, è la risposta allo sguardo di Gesù. È disorientato, i suoi occhi raccontano stupore, meraviglia, incredulità, ma anche un po’ di sconcerto…
Sembra ritrarsi con tutto il corpo alla chiamata di Gesù. Sotto il tavolo si vedono infatti le sue gambe, in avanti rispetto al busto, che tendono ad arretrare; ha paura, questo invito è troppo grande per lui.

I gabellieri
I quattro gabellieri che sono a destra e a sinistra di Matteo rappresentano le età della vita: un adolescente, un giovane, un adulto e un anziano; Gesù chiama a tutte le età.
Ma esaminiamoli più attentamente. Quelli a destra sono illuminati dalla luce; i loro sguardi sono infatti rivolti verso Gesù e Pietro. Uno in primo piano, con le spalle all’osservatore, di profilo, è colto nel movimento repentino di afferrare con la mano sinistra la spada come per difendersi, è sorpreso e un po’ spaventato; l’altro è sbalordito, non reagisce.
Gli altri, a sinistra, sono gli unici a non accorgersi di ciò che sta accadendo anche se la luce li investe. Sono talmente ripiegati sui propri interessi che sono incapaci di qualsiasi reazione. Contano i denari, indifferenti a ciò che succede, indifferenti a Gesù, alla luce, alla vita.

La finestra
Una stanza che non accoglie luce, neanche dall’unica finestra dai vetri offuscati, e personaggi destinati a vivere nelle tenebre mettono ancora più in risalto questa luce soprannaturale. La finestra al centro è segno del mistero della croce di Gesù che, nella bettola, sembra velata e svelata allo stesso tempo. Chi non si nasconde alla Croce è destinato, nella scelta della vocazione, a subire l’incomprensione, il rifiuto, l’oltraggio, la persecuzione che ogni scelta porta con sé. Chi segue Gesù deve riprodurre in sé l’itinerario di sequela percorso dal maestro. Con La vocazione di San Matteo Caravaggio ci invita a partecipare alla scena, a scegliere di essere illuminati dalla luce o di rimanere nelle tenebre… E noi in chi ci identifichiamo?

Riflessioni e approccio vocazionale
La vocazione: una nuova creazione
Il racconto evangelico di Matteo è un’appassionante pagina autobiografica in cui ci parla della sua esperienza, del suo incontro con Gesù; è il modo migliore per parlare della propria vocazione e, pensate, lo fa circa trenta anni dopo l’avvenimento.
Gesù non chiama tra i suoi discepoli gente colta, istruita, i teologi, gli scribi del suo tempo. Al contrario, chiama gente semplice, che lavora; chiama addirittura un pubblicano, un pubblico peccatore. Questo è un aspetto molto importante della chiamata.
Ogni persona chiamata sperimenta un senso di inadeguatezza, di indegnità, di incapacità rispetto al compito affidato perché ciò che deve emergere non è tanto la capacità del singolo, ma la grazia del Signore. Nulla è impossibile alla sua grazia, non c’è situazione di vita che non possa aprirsi al suo invito, non c’è professione che sia inconciliabile con la sua chiamata o peccato che non possa essere vinto dal suo amore.
Per rispondere alla chiamata che Dio rivolge non bisogna essere perfetti, senza macchia. È l’incontro con il Signore che trasforma. Il Vangelo della chiamata di Matteo sovverte tutti questi nostri ragionamenti e ci sorprende perché Gesù sceglie proprio tra i peccatori e della peggiore specie.
Il particolare della luce e della mano “creatrice” che chiama Matteo mi porta a considerare la vocazione come creazione che dona una nuova vita, una trasformazione dell’esistenza che ogni chiamato può sperimentare su di sé. “Seguimi” è l’inizio dell’incontro con Gesù che porta inevitabilmente a una conversione radicale dell’esistenza, un venire di nuovo alla luce, una nuova nascita in cui il chiamato sperimenta un nuovo modo di essere.
Come Dio durante la creazione dà nome a tutte le cose e le chiama all’esistenza, con la sua chiamata Gesù fa riscoprire quell’identità originaria, l’essere a immagine e somiglianza di Dio nell’amore. Infatti è grazie allo sguardo di amore che Matteo sperimenta di essere profondamente amato e si lascia amare per realizzare il progetto che il Creatore ha su ognuno di noi, la sua chiamata ci svela e ci rivela a Dio. Allora, come Dio ha creato Adamo, il primo uomo, così chiama ogni uomo, in Gesù, alla sua sequela.
La vocazione offre una vita nuova, una nuova identità e solo chi ascolterà e risponderà alla chiamata del Signore potrà realizzarsi in una nuova creazione. Gesù chiama perché “vede” in Matteo, il suo sguardo arriva al cuore e trasforma la vita di Matteo; per lui niente sarà più come prima.
La luce che entra nel quadro avvolge, trasforma e anche l’osservatore del dipinto viene “illuminato”, sta a lui scegliere se alzarsi dal tavolo e seguire Gesù o se rimanere indifferente, al buio, ignorare il suo sguardo, la sua mano, e rifiutare la luce della sua grazia, la possibilità di scelta che ha offerto a ognuno di noi.

Preghiera
Matteo sei chiamato
ad una nuova creazione
perché hai accolto l’invito di Gesù.

Questa chiamata ti ha sorpreso
e sei proprio stupito che Dio chiami proprio te
un pubblicano della peggiore specie.

Signore, chiama anche ciascuno di noi,
illuminaci con la tua grazia
e sarà anche per noi
una nuova creazione. 

NOTE
¹ Per una completa comprensione dei dipinti analizzati in questa rubrica, consigliamo di visitare il sito www.chiesacattolica.it/vocazioni e visionare gli schemi proposti.
² Una breve biografia di Caravaggio l’abbiamo già presentata nell’ultimo numero della rivista «Vocazioni» riguardo La cena in Emmaus («Vocazioni» n. 4/Luglio-Agosto 2015, p. 104).

 

Caravaggio
La vocazione di San Matteo
(1599-1600), Roma, San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli