N.02
Marzo/Aprile 2016

Riscoprire la bellezza e la ricchezza della gratitudine

Fratelli carissimi, è importante riscoprire la bellezza e la ricchezza della gratitudine, celebriamo l’Eucaristia in cui è custodita la “riserva infinita della gratitudine”. Tutta l’assemblea è associata nel rendimento di grazie, «in cui si incontrano in Cristo il culmine dell’amore di Dio e l’evento della gratitudine ecclesiale che celebra e attualizza il mistero della divina misericordia».
La pagina di Vangelo proclamata narra l’incontro tra il Signore e Natanaele, che significa “Dio ha dato”. Egli proveniva da Cana (cf Gv 21,2) ed è quindi possibile che sia stato testimone del grande “segno” – “primizia della gioia pasquale” – avvenuto, tre giorni dopo la chiamata dei primi discepoli, durante una festa di nozze (cf Gv 2,1- 11). La liturgia identifica Natanaele con Bartolomeo, probabilmente per il fatto che nel Vangelo di Giovanni si trova accanto a Filippo (cf 1,43-51), cioè nello stesso posto riservato a Bartolomeo nelle liste degli Apostoli registrate nei Sinottici (cf Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,14).
È Filippo a coinvolgere Natanaele nell’avventura della sequela.
Egli, subito dopo aver accolto l’invito di Gesù a seguirlo (Gv 1,43), incontra Natanaele e gli comunica che, finalmente, ha trovato colui che Mosè e i profeti aspettavano: «Gesù, il Figlio di Giuseppe, di Nazaret» (Gv 1,45). La risposta che riceve è scettica: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46). Questa reazione mostra che, secondo le attese giudaiche, il Messia non poteva provenire da un piccolo villaggio come era Nazaret (cf Gv 7,42). Questo partico lare pone in evidenza la libertà di Dio, che sorprende le nostre attese facendosi trovare proprio là dove non ce lo aspetteremmo. Il Signore disarma le nostre pretese e, con le sue sorprese, supera persino le nostre attese “al di là di ogni desiderio e di ogni merito”.
Ogni percorso vocazionale si risolve nel lasciarsi sorprendere dal Signore che apre nuovi orizzonti, impensati, imprevedibili, appassionanti.
Filippo, nel prendere atto dello scetticismo di Natanaele, non si scoraggia, non dà spiegazioni, ma gli propone soltanto un’esperienza diretta: «Vieni e vedi» (Gv 1,46). Per rendersi conto della chiamata di Dio, Natanaele ha avuto bisogno della voce di un amico.
Di norma il cammino della sequela comincia con una “pro-vocazione”: c’è sempre qualcuno che, come Filippo, esorta a rispondere alla chiamata del Signore, che è una “in-vocazione” a seguirlo con “entusiasmo sincero”. Ogni proposta vocazionale è un appello alla libertà che, secondo Charles Peguy, «è la più bella invenzione del Creatore»; Dio non si impone ma «tutto dispone con forza e dolcezza», sollecitando l’uomo a compiere la sua volontà senza cedere la parola al timore che rende afono l’amore. L’apostolo Giovanni, nel rilevare che «nell’amore non c’è timore, al contrario, l’amore perfetto scaccia il timore», avverte che «chi teme non è perfetto nell’amore» (1Gv 4,18).
Natanaele non è uno sconosciuto per Gesù: «Ecco davvero un Israelita, in cui non c’è falsità» (Gv 1,47). Si tratta di un elogio che non stuzzica l’orgoglio, ma suscita la meraviglia di Natanaele, il quale chiede al Signore: «Come mi conosci?» (Gv 1,48). La risposta di Gesù non è immediatamente comprensibile: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico» (Gv 1,48).
Sebbene Sant’Agostino avanzi l’ipotesi che l’albero sotto il quale il Signore ha visto Natanaele possa significare che egli era sotto il dominio del peccato (cf Discorso 122,1), tuttavia nella Scrittura il fico, unitamente alla vite, è il simbolo del popolo di Israele (cf Zc 3,10 1Re 5,5). Chissà, dunque, cosa avrà visto il Signore sotto il fico?
Forse sarà stato testimone di uno slancio di generosità, compiuto da Natanaele con la sua destra e rimasto ignoto persino alla sua sinistra (cf Mt 6,3)? O forse avrà sorpreso Natanaele raccolto in preghiera, vissuta con emozione segreta? Chissà cosa avrà visto il Signore?
È necessario lasciare aperta la risposta custodendo e meditando le parole risuonate nella prima lettura: «Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1Gv 3,20).
La meraviglia di Natanaele di fronte a Gesù che lo “inter-pella” si traduce in una limpida confessione di fede: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d’Israele» (Gv 1,49). Le parole di Natanaele pongono in luce un doppio e complementare aspetto dell’identità di Gesù: Egli è riconosciuto sia nel suo rapporto con Dio Padre, di cui è Figlio Unigenito, sia nella sua relazione con il popolo d’Israele, di cui è dichiarato Re, qualifica propria del Messia atteso. Con questa limpida confessione di fede, ispirata dallo stupore, Natanaele muove i primi passi della sequela. La fiamma dello stupore fa divampare in lui l’incendio della gratitudine: egli è profondamente grato al Signore perché sa di essere da lui conosciuto e amato.
L’esperienza vocazionale di Natanaele insegna che stupore e gratitudine tracciano la linea di partenza dell’avventura della sequela.
Lo stupore, amplificato dal silenzio, si apre alla gratitudine, che non è solo un sentimento se si trasforma in un impegno di fedeltà. La riconoscenza senza la promessa di fedeltà – autentica ipoteca sul futuro! – è come l’innamoramento senza l’amore: non ha storia! Solo in virtù di una gratitudine che si fa memoria e promessa il cammino della sequela si traduce in una consegna libera e gioiosa, a Dio e ai fratelli, della propria vita. Si tratta di una consegna che, se effettuata “senza paura, senza calcoli e senza misura”, allarga il perimetro della libertà, la cui forma matura è la fedeltà.
Fratelli carissimi, nel Gloria che accompagna la “gioia grande” della nascita del Salvatore risuona l’eco del Magnificat, il cantico di lode con il quale la Vergine Maria ha commentato il suo Amen, che non ha conosciuto l’ipoteca del ma, la riserva del però o il vincolo del se. Ella, nel profondo silenzio del suo abbandono alla fedeltà di Dio, ha sperimentato – ante litteram! – quello che Gesù assicura ai suoi primi discepoli: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo» (Gv 1,51).