N.04
Luglio/agosto 2016

Nel santuario della divina misericordia

Approfondiamo questo tema come persone che sentono propria la chiamata – per dirla con l’Evangelii Gaudium – di mettere a contatto tutti e soprattutto i giovani col kerygma, cioè col cuore  dell’annuncio cristiano del Cristo che ha vinto la morte e ha dato la vita per ognuno di noi, perché ciascuno possa sentire – come dice Papa Francesco – che «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti» (EG 164).
Ricordiamo come questo primo annuncio, che tutti ritroviamo ogni anno nella celebrazione della Pasqua, è primo non semplicemente perché «sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano», ma perché è il «primo in senso qualitativo» (EG 164) e ha il compito di lievitare in senso evangelico e pasquale ogni azione pastorale, quindi anche l’accompagnamento spirituale e vocazionale.

1. Non una figura di riferimento, ma un’intuizione guida
Siamo in un santuario della divina misericordia. La beata Madre Speranza ha avuto un’intuizione significativa: Dio vuole un luogo concreto in cui si possa come toccare con mano la sua volontà di raggiungere tutti, ricatturare tutti, riavvolgere tutti nell’abbraccio della sua misericordia. In effetti un luogo così esiste ed è proprio la Chiesa: la Chiesa è nella storia il luogo della misericordia, il luogo in cui la misericordia gratuita di Dio è messa a disposizione di tutte le generazioni, di ogni uomo e di ogni donna, a ogni latitudine e longitudine, perché «tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (EG 144).
All’interno della Chiesa però – mi sia permesso di tradurre così l’intuizione di Madre Speranza – ci vogliono luoghi in cui questa misericordia si possa sperimentare. È in questa luce che possiamo vedere l’accompagnamento spirituale.
Nella Evangelii Gaudium Papa Francesco non solo presenta l’accompagnamento spirituale come un luogo privilegiato fondamentale di evangelizzazione (cf EG 169- 173), ma lascia intuire che le dinamiche dell’accompagnamento possono essere le chiavi più idonee per leggere e ripensare la stessa evangelizzazione a tutti i livelli.
Possiamo quindi considerare l’accompagnamento spirituale vocazionale come un luogo concreto e privilegiato di cui la grazia di Dio vuole servirsi, perché la sua misericordia raggiunga ogni persona e possa essere sperimentata in pienezza.
E se chi accompagna deve imparare «sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro» (EG 169), allora ogni volta che svolgiamo questo servizio di accompagnamento spirituale entriamo come in un vero santuario, sperimentiamo l’incontro con ciò che c’è di più sacro: il mistero di ogni persona che Dio ama da sempre e che ha bisogno di incontrare il suo amore, e di incontrarlo non nonostante la sua vita, ma esattamente dentro la propria vita.
Il Seminario sulla direzione spirituale di quest’anno non ha una figura di riferimento, ma un’intuizione guida: l’accompagnamento spirituale vocazionale è un “santuario” della divina misericordia.
Tu che accompagni, togliti i sandali davanti al mistero di ogni persona, aiutando a far sì che la sua vita, tutta la sua vita, si incontri con l’amore misericordioso di Dio che l’ha pensata da sempre e che la cerca.
Gli stessi Padri della Chiesa – pensiamo a San Gregorio Nazianzeno – dicevano che il padre spirituale è come un «depositario della filantropia divina»1, un depositario dell’amore di Dio per gli uomini, uno scrigno nel quale ogni persona può veramente sperimentare questo amore di Dio.

2. Serve una Chiesa capace di accompagnare
Possiamo allora comprendere perché Papa Francesco, in particolare nel viaggio fatto in Brasile per la Giornata Mondiale dei Giovani nel 2013, abbia sottolineato con forza l’importanza di una Chiesa che sappia accompagnare e prepari adeguatamente coloro che svolgono questo servizio. Si tratta di formare persone capaci di accordare il passo con quello dei fratelli, persone «capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio e perdersi; di ascoltare l’illusione di tanti, senza lasciarsi sedurre; di accogliere le delusioni, senza disperarsi e precipitare nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità»2.
Si tratta quindi di un compito fondamentale e decisivo, che soprattutto i giovani attendono, per esercitare il quale «serve una solidità umana, culturale, affettiva, spirituale, dottrinale […] il coraggio di una revisione a fondo delle strutture di formazione e di preparazione del clero e del laicato (…) e la saggezza pratica di mettere in piedi strutture durevoli di preparazione in ambito locale, regionale, nazionale (…) senza risparmiare forze, attenzione e accompagnamento»3.
Ci sembra giusto notare come questo Seminario attesti proprio la volontà della Chiesa italiana di impiegare energie e risorse a servizio della formazione di coloro che svolgono il ministero di accompagnamento vocazionale, una volontà di antica data, su cui però non possiamo adagiarci.

3. Accompagnamento vocazionale e misericordia: solo una provocazione?
Collegare l’accompagnamento vocazionale con la tematica della misericordia non è scontato e potrebbe apparirci solo una provocazione, perché tradizionalmente si ritiene che le persone incamminate a compiere scelte radicali abbiano già raggiunto un significativo livello di solidità e armonia di vita cristiana, per cui le tematiche forti della misericordia non dovrebbero più riguardarle.
In realtà, un minimo di esperienza di accompagnamento ci fa toccare con mano quanto i vissuti giovanili di oggi siano segnati da esperienze molteplici e talvolta umanamente e moralmente anche molto pesanti, per cui potremmo pensare che la misericordia sia almeno necessaria per accompagnare vocazionalmente i giovani di oggi, per il fatto che arrivano a maturare le scelte di vita dopo aver fatto ogni genere di esperienze.
Se ci limitassimo a giustificare così l’accostamento del tema dell’accompagnamento alla misericordia, non coglieremmo la verità profonda di questa provocazione.
Infatti, accogliere e integrare positivamente la propria umanità sotto lo sguardo di Dio, così da lasciare che le ferite e anche il negativo della propria storia si possano incontrare con il suo amore misericordioso, riguarda tutti e costituisce uno dei segreti della fedeltà vocazionale e della fecondità testimoniale.
Se nel passato si poteva pensare che l’obiettivo formativo consistesse sostanzialmente nel preservare da comportamenti incoerenti e peccaminosi ed eventualmente rimuoverli, così da proiettarsi definitivamente verso mete di grandi ideali evangelici, oggi ci accorgiamo che le scelte vocazionali più radicali sono realmente possibili,  umanamente praticabili ed evangelicamente irraggianti solo a condizione che sia avvenuto questo incontro con la misericordia di Dio nel concreto della propria esistenza.
E questo corrisponde al paradigma di Emmaus (Lc 24,1-35). È bello constatare che Gesù, quando incrocia i due discepoli sulla via verso Emmaus, percorre la strada con loro anche se stanno andando nella direzione sbagliata, li lascia parlare e li ascolta fino in fondo, finché dalle pieghe del racconto possa emergere anche la loro ferita, l’intima loro delusione: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele…».

4. Sotto lo sguardo di Dio, misericordia e verità si incontrano
Il cammino del nostro Seminario è articolato in quattro moduli che abbiamo chiamato “sguardi”: lo sguardo biblico, per entrare e fare nostra la compassione misericordiosa di Dio; lo sguardo metodologico, con l’attenzione alla guida spirituale che accompagna “nelle” e “dalle” periferie dell’umano, riconoscendosi lui stesso guaritore ferito; lo sguardo pedagogico, con una riflessione sul passaggio dal  senso di colpa al senso del pentimento evangelico e una testimonianza sulle gioie e fatiche dell’accompagnatore; lo sguardo sintetico, nel confronto con gli esperti.
La scelta della parola “sguardo” non è casuale. In realtà è proprio qui il segreto: che la nostra vita si incontri con lo sguardo misericordioso di Cristo e solo dentro a quello sguardo riusciremo a guardare davvero in profondità e in verità – una verità non giudicante, ma liberante – anche noi stessi.
Indubbiamente la prima impressione – soprattutto per chi partecipa al nostro incontro per la prima volta – è che questo Seminario proceda un po’ alla rovescia, in quanto la proposta concreta e sintetica è collocata alla fine. In effetti siamo convinti che prima è necessario dissodare il terreno personale, perché le linee di sintesi successive si costruiscano non in astratto, ma dentro di noi, poco alla volta, facendo interagire la nostra esperienza con i laboratori, le relazioni, le testimonianze e la preghiera. E tutto ciò riflette la natura del Seminario che vuole essere, per gli accompagnatori spirituali vocazionali, un servizio umile, senza pretese di dare ricette, patenti e titoli – ci sono eventualmente a disposizione altri cammini più organici e strutturati – ma con l’ambizione di far scoprire e vivere l’esperienza di accompagnatori come un vero luogo di grazia. È bello aiutare gli accompagnatori a rendersene conto, a mettersi in gioco, a sentirsi provocati e sospinti verso una rilettura più profonda, a una sintesi più alta nel proprio servizio, a maturare una passione educativa ancora più grande.
Il Signore ci fa un regalo incredibile: possiamo fare tante cose belle, ma accompagnare le persone a sentire che Dio c’è nella pro-pria vita, che bussa perché la vita è davvero preziosa, e a riscoprirlo passando attraverso tutte le proprie periferie, i propri travagli e le proprie lotte, siamo convinti che sia uno dei servizi più preziosi e generativi che si possono rendere agli altri. L’accompagnamento spirituale – dentro la grande maternità della Chiesa – è realmente un luogo privilegiato di esperienza della misericordia.
Se dovessi riassumere con una parola l’auspicio di questo Seminario è che ci possiamo rendere conto – come dice il Salmo – che nel cuore di Dio e sotto il suo sguardo misericordia e verità si incontrano (cf Sal 84,11). La misericordia ci apre a una maggiore trasparenza, ci permette di fare verità in noi e attorno a noi senza più paura, perché la misericordia divina non è semplice condono, ma il dono di entrare dentro lo sguardo e il cuore di Dio.  Attraverso questo servizio di accompagnamento alle scelte di vita, operando innanzitutto su noi stessi, lasciando che la sua grazia ci lavori, Dio desidera che abbiamo viscere di misericordia, che potremmo tradurre con un’altra parola biblica: la magnanimità. San Paolo ne parla come di uno dei tratti inconfondibili dell’uomo spirituale (cf Gal 5,22) e specialmente dell’apostolo (cf 2Tm 3,10; 4,2).
La magnanimità è frutto dell’agape e germoglia sull’umiltà, come un dilatarsi del cuore a misura del cuore accogliente di Dio, come un grembo che accoglie perché germogli la vita.

NOTE
1 Questa espressione di Gregorio di Nazianzo è riportata da L. HAUSHERR, Direction spirituelle en Orient autrefois, Edizioni Orientalia Christiana, Roma 1955, p.76.
2  Papa Francesco, Discorso ai Vescovi, ai religiosi, ai seminaristi, 27 luglio 2013.
Ibidem.