N.05
Settembre/Ottobre 2016

… Più in là!

«Sotto l’azzurro fitto del cielo / qualche uccello di mare se ne va; / né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:/ “più in là”»
(E. Montale, Maestrale, in Ossi di seppia, 1925).

Il viaggio ha sempre affascinato l’uomo, è una metafora semplice e incisiva che vede la persona umana come essere dinamico, alla ricerca di orizzonti avvincenti e nuovi, anche se ciò comporta rischi e pericoli di frontiere nuove da varcare.
Perché questa premessa? Nella lettura di Evangelii gaudium, Papa Francesco condivide il suo sogno di Chiesa e tutto il percorso proposto può essere riletto con la metafora esistenziale di un cammino che costantemente invita ad andare oltre… più in là!
Il testo biblico che narra questa esperienza è la vicenda del viaggio di Tobia. Essa è profondamente esistenziale e vocazionale; nel racconto ci sono entusiasmo e trepidazione, il rischio e la costanza di ogni cammino alla ricerca del proprio tesoro, del senso della vita.
«Avevo tanta voglia di viaggiare; tu mi dicesti “Vai” ed io partii.
La strada è tanto lunga e tanto dura, però con te nel cuor non ho paura».
È una canzone vocazionale composta da Giosy Cento. La rima baciata è un po’ datata, ma il senso delle parole è vero allora come adesso.
Quando si viaggia si apprezza molto di più cosa significhi non essere soli; cosa può dare come aiuto, incoraggiamento e sicurezza la compagnia di qualcuno più esperto di noi, che ci offre le indicazioni puntuali e precise per giungere alla meta.
«La vita cristiana è sempre un itinerario, un muoversi; è un partire da un punto per arrivare ad un altro, lungo tappe intermedie; non è mai possedere!» (Card. C.M. Martini).
Sembrano riecheggiare le parole di Gabriel Marcel in Homo viator:
«Solo esseri totalmente liberi dalle pastoie del possesso, in tutte le sue forme, sono in grado di conoscere la divina levità della vita nella speranza».
Sentirsi pellegrini, come Tobia, significa entrare nell’ottica del pellegrinaggio del cuore, dove si imparano a relativizzare tanti aspetti della vita e a far emergere alcune priorità essenziali e irrinunciabili; nella consapevolezza che c’è una meta da raggiungere, ma che la nostra road map si svelerà cammin facendo.
È la riscoperta della prospettiva del mistero. Il mistero non è una realtà totalmente sconosciuta, che spinge l’uomo a brancolare nel buio per tutti i giorni della sua vita, quasi fosse immerso in un eterno black-out.
Esso propone la dimensione cara alla teologia conciliare del già e del non ancora; una verità che in parte è posseduta e in parte è tutta da scoprire.
Mahatma Ghandi affermava che la verità è come un diamante: una realtà unica, ma con tante facce dalla luminescenza e dai riflessi colorati totalmente diversi. Occorre guardare il diamante da molteplici punti di vista per valorizzarne la preziosa bellezza.
Il mistero può essere paragonato ad un orizzonte: lo guardi, te ne innamori, lo vuoi raggiungere, ma quando sei arrivato al punto focalizzato, l’orizzonte si è ulteriormente spostato in avanti e c’è ancora tanta strada da percorrere.
L’orizzonte non si raggiunge mai in maniera definitiva ed ultimativa: richiede sempre un cuore in divenire.