N.06
Novembre/Dicembre 2016

San Luca dipinge la Vergine

Roger Van Der Weyden

Tra segni e colori il racconto della misericordia

Testo biblico (Lc 1,1-4)
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

L’artista
Rogier de la Pasture, noto poi con il nome di Rogier Van Der Weyden, nasce tra il 1399 e il 1400 nelle Fiandre, a Dornik, oggi Tournai. Suo padre, Henry de la Pasture, è un fabbricante di coltelli. Non si hanno notizie sui primi venticinque anni di vita di Rogier; sappiamo che sposa Elisabeth Goffaert, figlia di un calzolaio parente di Robert Campin, pittore – detto il maestro di Flémalle – alla cui bottega Rogier si forma e dalla quale esce nel 1432 con il titolo di maestro. Con Elisabeth ha due figli, Jan e Peter. Quest’ultimo diventa pittore. Non abbiamo alcuna prova diretta o documentata di Van Der Weyden molti dipinti usciti dalla scuola di Campin perché non firmati. Il suo stile tuttavia è caratterizzato dall’attenzione ai particolari che viene dalla frequentazione di J. Van Eyck e dei miniaturisti fiamminghi. Di questo periodo è l’assunzione del nome Van Der Weyden, in lingua fiamminga.
Nel 1435 si trasferisce a Bruxelles; grazie al suo successo e alla sua notorietà gli viene conferito il titolo di “Pittore ufficiale di Bruxelles”, gli vengono commissionate molte opere e raggiunge una considerevole agiatezza economica. I suoi dipinti su tavola sono di natura storica o religiosa, i ritratti realistici, eleganti, perfetti nella loro proporzione hanno una grande “fortuna” nella pittura fiamminga. Van Der Weyden mostra uno stile e una poetica personale tanto da essere ripreso e imitato da numerosi artisti del rinascimento nel nord Europa.
Nel suo viaggio in Italia, anno santo 1450, soggiorna a Roma e in altre città. A Firenze è ospite dei Medici. La sua fama e il suo prestigio sono tali che gli vengono commissionate opere quali il Compianto degli Uffizi e La Madonna e i santi della famiglia dei Medici.
Nelle opere di Van Der Weyden è evidente l’influenza dell’arte italiana; a questa nuova fase stilistica contribuiscono la conoscenza della pittura di Gentile da Fabriano, il paesaggio italiano e il rapporto personale con il Beato Angelico. Le sue opere riassumono nei disegni e nei colori la sua ricerca della bellezza dell’anima umana. È il pittore delle emozioni perché nei suoi dipinti mette in evidenza ciò che vivono i personaggi, i loro stati d’animo, i sentimenti.
Muore a Bruxelles il 18 giugno 1464, viene sepolto nella chiesa di Santa Gudula nella cappella davanti all’altare della confraternita dei pittori dove, per qualche tempo, era stata collocata la sua Madonna di San Luca.

L’opera
In questa opera viene raffigurato San Luca, santo patrono dei pittori, che dipinge il ritratto della Vergine Maria mentre allatta il bambino Gesù. Di sicuro il volto di Luca è un autoritratto di Rogier Van Der Weyden, cosa molto frequente a quell’epoca. La tavola è dipinta dall’artista poco dopo il suo arrivo a Bruxelles. Jan Van Eyck e Robert Campin, due dei più grandi maestri della pittura fiamminga del Quattrocento, hanno avuto una notevole importanza nella formazione artistica di Van Der Weyden. La tecnica a olio e la sua attenzione per i dettagli ricordano i dipinti di Van Eyck, mentre di Campin riprende il senso dello spazio, la disposizione dei volumi e la natura drammatica dei personaggi. L’artista reinterpreta i temi dei due maestri, li sviluppa in modo personale in un percorso di ricerca compositivo e di colori che si esplica in un raffinato accostamento di tinte forti, di sfumature e nell’intensità della rappresentazione.
In questa opera nulla è lasciato al caso, ogni particolare è minuziosamente rappresentato: gli oggetti nella loggia del palazzo, i panneggi con gli arabeschi, le stoffe, le vetrate istoriate, i mobili, i tappeti, tutto eseguito con abilità e maestria fino all’inverosimile. Per non parlare del pathos dei personaggi, i gesti, gli sguardi, tutto in equilibrio e in armonia con l’ambiente; alcuni personaggi inseriti nel paesaggio sono talmente piccoli che è quasi impossibile guardarli a occhio nudo.
Un quadro che esprime passione e amore: nella loggia di questo grande palazzo fiammingo in primo piano è raffigurata una scena che rivela intimità, raccoglimento, ma allo tempo è un evento che non può rimanere circoscritto in un luogo e in uno spazio definiti; è qualcosa che si apre al mondo, quasi all’infinito. La genialità dell’artista ha reso possibile questa duplice dinamicità e lo sguardo dei due protagonisti ne è il segno.

La loggia e il porticato
Sembra un trono, ma quello su cui è seduta Maria è un panneggio che si snoda alle sue spalle fino ad arrivare al soffitto della loggia che si apre sul porticato. Questo tessuto prezioso arabescato mette in evidenza lo spazio regale in cui è seduta Maria. È sorprendente la cura dell’artista nel riportare i fregi arabescati, così pure la bellezza della sua veste di seta con le pieghe e i risvolti dorati e lucenti. Con la sua veste Maria forma un grembo che accoglie ancora una volta il suo bambino.

Maria: il volto della madre
Maria esprime tutta sé stessa in questo sguardo amorevole verso il bambino da cui possiamo intravedere tutta la sua dedizione e il suo dono. Di solito una mamma che allatta il suo bambino si ritrae cercando intimità, sfuggendo a sguardi indiscreti; qui Maria sembra crearsi con molta delicatezza uno spazio di profonda riservatezza. Pensate che c’è stato un tempo, nella storia della Chiesa, in cui le immagini di Maria che allattava Gesù non potevano essere rappresentate, erano considerate irriverenti. Invece non esiste immagine più bella di una madre che dona sé stessa come nutrimento; viene in mente il momento in cui Gesù istituisce l’Eucaristia, offre il suo corpo da mangiare; ogni madre lo esprime – da sempre – come dono della propria vita.
Lo sguardo di dedizione e di amore di Maria fa nascere nel bimbo un sorriso, è la risposta alle sue amorevoli cure, alla sua dedizione, all’affetto di una madre.

Il bambino
Il bimbo Gesù sorride ma sorprendentemente è tutto il suo essere a sorridere: gli occhi, la boccuccia, il nasino. Il bambino è nudo, forse per mettere in evidenza ancor di più la sua umanità, figlio di Dio che si è fatto uomo, nasce come ogni bambino sulla terra ed è affidato alle cure di una madre. Le sue manine allargate non trattengono nulla, sono aperte al dono che sta ricevendo e sappiamo come continueranno a essere aperte senza trattenere nulla per sé.

Luca
Luca è in contemplazione di questa apparizione sublime. È ritratto quasi genuflesso di fronte alla vergine che allatta Gesù come se volesse riverire una immagine così intima, così materna e straordinaria: Maria che tiene tra le sue braccia il figlio di Dio, il bambino di Nazaret. Egli non osa avvicinarsi più di tanto, ha questa consapevolezza e desidera fermare quella visione, riportare sul taccuino l’incanto del momento.
Luca è vestito di rosso, quasi per accentuare ancora di più la sua passione e il suo amore. Dante Alighieri definisce l’evangelista “Scriba mansuetudinis Christi” – scrittore dell’amore di Cristo – per la sua mitezza e benevolenza. Il suo volto di un uomo buono guarda Maria, non stacca il suo sguardo da lei. La contempla, quasi non avesse bisogno di riportare, di fissare il suo sguardo sul taccuino, tanto è ineffabile e stupenda la sua visione. L’artista si è voluto immedesimare in Luca e non ha voluto anteporre nessuna barriera che gli impedisse lo sguardo. Notate con quanta delicatezza tiene tra le mani pennino e taccuino, con garbo e soprattutto grazia.
Dietro a Luca possiamo intravedere il resto della stanza: lo scrittoio dell’evangelista e, sotto la finestra tutta istoriata, un Vangelo posto sul leggio; ci piace immaginarlo aperto sulle pagine che narrano le tre parabole1 della misericordia, il cuore di tutto il suo Vangelo. Luca può narrare la misericordia perché ha contemplato questa visione.
Ancora a destra, sotto il leggio, possiamo intravedere la testa di un bue che al collo ha un cartiglio con una scritta. Da sempre San Luca è rappresentato dal bue alato, simbolo di tenerezza, dolcezza e mansuetudine, segni che contraddistinguono il suo Vangelo.

L’architrave della misericordia
Un particolare da porre in evidenza è l’architrave situata in alto, al centro del soffitto. Questo particolare è ancor più messo in risalto grazie alla luminosità che traspare dall’oblò riccamente istoriato che ne esalta tutta la consistenza e solidità. Ci fa venire in mente il riferimento che Papa Francesco fa nell’esortazione Evangelii gaudium quando afferma che la misericordia è l’architrave che sorregge la vita della Chiesa. E perché non immaginare questa loggia come una piccola chiesa domestica?

La coppia
Osserviamo la coppia raffigurata di spalle sullo sfondo del quadro, forse due fidanzati affacciati sui merli del palazzo, giovani pieni di speranza e di sogni. L’osservatore del quadro li segue, si immedesima nei loro sguardi pronti ad aprirsi al mondo, a portare misericordia, la stessa misericordia che ha scaldato il cuore all’evangelista quando ha narrato nel suo Vangelo ciò che ha detto e fatto Gesù di Nazaret.
La loggia di questo palazzo allora non è chiusa: da qui possiamo contemplare un paesaggio olandese del 1400 che ci fa respirare ordine, equilibrio, bellezza. La misericordia parte da qui, dalla contemplazione di una mamma e del suo bambino – il figlio di Dio – e da qui si apre al mondo raggiungendo ogni luogo e ogni tempo.

Approccio vocazionale

Teofilo: chiamato dalla misericordia
Il Vangelo di Luca, in molti tratti del suo racconto, è una rappresentazione pittorica in cui la figura di Maria ha una particolare e rilevante collocazione. L’evangelista narra la misericordia: l’ha contemplata guardando Maria di Nazaret che allatta il suo bambino, un’immagine piena di tenerezza e amore; l’ha descritta nel racconto dell’infanzia di Gesù bambino, in tutto ciò che ha sperimentato con Dio.
Ci è sembrato importante riportare l’inizio del Vangelo di Luca, pochi versetti che narrano il senso e la bellezza di un incontro: «Così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un racconto ordinato per te, illustre Teofilo».
Viene spontanea la domanda: chi è Teofilo? Non sappiamo chi sia questo personaggio, forse una figura simbolica o qualcuno che ha dato notizie, informazioni a Luca per il suo Vangelo. Teofilo significa “amico di Dio”: in lui si possono riconoscere tutti coloro che, animati da una profonda amicizia per Dio (Theofilia), desiderano conoscerlo più da vicino. È l’occasione per noi di approfondire il tema dell’amicizia di Gesù con il chiamato e per scoprire come la misericordia diventi un requisito essenziale per chi desidera seguire il Signore. Ognuno di noi vuole essere amico di Dio e allora questo nome – Teofilo – indica proprio noi, tutte le persone che accettano un legame, un rapporto privilegiato con Lui. Nel Vangelo di Luca vi sono episodi in cui Gesù offre la propria amicizia: la chiamata dei primi discepoli, quella di Matteo, di Zaccheo. La sua amicizia li ha trasformati, consapevoli che un rapporto personale e reale con Dio si realizza nell’ascolto della “Parola”, nel testimoniare e annunciare agli altri l’amore ricevuto. Anche noi possiamo partecipare a questo incontro con Dio: sentirsi amati da Lui è una gioia immensa che cambia il modo di vedere se stessi e gli altri. Ritrovare la propria identità nel Signore, questa è la via!
Le pagine del Vangelo di Luca ci introducono in una dimensione in cui la descrizione dei sentimenti, l’intimità, la tenerezza, la gioia, la misericordia ci svelano la profondità della sua anima. Che cos’è la misericordia²? Per capire bene il significato della parola è utile, oltre che interessante, andare alla radice, fare la scomposizione del termine misericordia: miser-cor-dare = portare nel cuore il misero, colui che non ce la fa, il povero.
«Noi siamo oggetto di misericordia da parte di Dio; ma a noi Dio chiede non buonismo ma atti di buon senso, chiede da parte nostra una misericordia consapevole ed intelligente» (Papa Francesco).
Il Papa ci richiama al fatto che noi siamo sì oggetto della misericordia di Dio, ma siamo pure chiamati a rispondere con atti concreti: la misericordia di Dio è concretezza e disponibilità all’azione.
Il Vangelo di Luca parla al cuore, la sua narrazione semplice e diretta comunica gioia; i suoi racconti, che potremmo definire ritratti, ci mostrano e ci svelano il volto della misericordia.

Preghiera
Sì, dice proprio a me,
quell’illustre Teofilo
sono proprio io
per me Luca ha scritto
queste parole di vita
le ha scritte per farmi rendere
conto della solidità
degli insegnamenti
che ho ricevuto.

Grazie Signore Gesù,
per la gioia
che questo Vangelo mi offre.
Grazie per le tue parole,
parole vere su cui poter
costruire la mia vita
e così rispondere
con gesti concreti
alla tua misericordia.

 

NOTE
1 La pecorella smarrita, la moneta perduta, il figlio prodigo.
2 Misericordia, “Elos” nella versione greca del Vangelo, significa sensibilità d’animo e riguarda solo il piano emotivo. Nella Bibbia la parola viene tradotta col termine ebraico “Rahamim”, che significa tenerezza, affetto, commozione tra le persone, e tra l’uomo e Dio, andare oltre le emozioni, partecipare con le azioni.

Rogier Van Der Weyden
San Luca dipinge la Vergine
Olio e tempera su tavola 137,5 x 110,8 cm, 1435-40, Museum of Fine Arts – Boston