N.03
Maggio/Giugno 2017

Emmaus: un cammino di appartenenza

1. Dalla divisione all’appartenenza
Il racconto lucano dei due discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) rappresenta un’icona fondamentale del cammino di appartenenza alla Chiesa. Dal dramma della divisione prodotta dallo scandalo della morte di Cristo si passa alla gioia della testimonianza del Risorto e alla missione ecclesiale del Vangelo. È significativo quanto afferma Papa Francesco nella Evangelii gaudium:
«Proprio in questa epoca, e anche là dove sono un “piccolo gregge” (Lc 12,32), i discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che sia sale della terra e luce del mondo (cf Mt 5,13-16). Sono chiamati a dare testimonianza di una appartenenza evangelizzatrice in maniera sempre nuova. Non lasciamoci rubare la comunità!»1.
È importante la sottolineatura secondo cui i discepoli «sono chiamati a vivere come comunità». La comunità nel senso più autentico del termine è «convocazione da parte di Dio» (eb.: qahal; gr.:ekklēsía) che interpella ogni battezzato, chiamato a vivere l’universale vocazione alla santità. Il racconto di Emmaus porta in sé l’esito di questa “chiamata di Dio” e ricorda che la finalità del cammino di fede consiste nel condividere la sua appartenenza nell’esercizio di una speranza che non tramonta. Ripercorriamo in chiave vocazionale la vicenda umana e spirituale dei due discepoli di Emmaus, attualizzando il messaggio spirituale per il contesto odierno2.

2. Il cammino verso una giornata “senza tramonto”
Il noto episodio di Lc 24,13-35 fa da cerniera a tutta l’opera lucana perché è collocato tra la conclusione del racconto evangelico e l’inizio della vita della Chiesa narrata negli Atti degli Apostoli. Dobbiamo vedervi una vera e propria catechesi della prima comunità cristiana, centrata sulla “riscoperta” della persona/missione di Cristo, nel contesto della celebrazione eucaristica e dell’ascolto delle Scritture. Il brano è attraversato dal motivo centrale del “cammino”.
Infatti la caratteristica dell’architettura teologica lucana è data dalla linearità geografica e dal tema del “camminare”: il cammino di Gesù verso il proprio destino e il compimento pasquale della salvezza in Gerusalemme. Tale linearità riflette l’esigenza di mostrare la gradualità del ministero di Gesù da Israele verso tutte le genti (2,29- 32; 4,16-30), mediante un’apertura e una partecipazione universale alla salvezza rivolta a tutti, che potrà realizzarsi solo dopo la sua risurrezione, a partire dall’ascensione (At 1,6-11)3.
L’idea del cammino comporta in sé una connotazione topografica e temporale: sul piano topografico la tappa iniziale dell’evangelizzazione è la Galilea, quella centrale è Gerusalemme, mentre il punto di arrivo è costituito dagli «estremi confini della terra»; sul piano temporale l’inizio del ministero di Gesù in Galilea (Lc 4,14-15.31) si collega con l’inizio della predicazione apostolica in Gerusalemme (Lc 24,47; At 1,8), il tempo del ministero di Gesù fa da spartiacque tra l’antico tempo di Israele e il nuovo tempo della Chiesa.
L’evangelista presenta la predicazione apostolica come il compimento della promessa fatta dal Padre, annunciata da Gesù e da lui stesso realizzata mediante l’effusione dello Spirito negli “ultimi giorni” (Lc 24,49; At 1,4.6-7). Dal racconto di Emmaus emerge il dinamismo del cammino e della riscoperta dell’appartenenza ecclesiale. Soprattutto emerge il motivo della “familiarità con Gesù”4. Tale familiarità segna il passaggio dalla delusione alla illuminazione, dalla solitudine alla comunione, dallo smarrimento al ritrovamento, dalla chiusura all’apertura missionaria. Questo dinamismo avviene in una “giornata particolare” descritta in Lc 24, definito il capitolo della “giornata senza tramonto”, perché l’incontro con il Risorto costituisce un’esperienza di luce e di vita che “risveglia” quanti sono immersi nelle tenebre della tristezza e del disincanto.

3. Le tre tappe di una scoperta
Il nostro testo evoca il motivo comune nella tradizione biblica composto da un’apparizione seguita da una rivelazione che si chiude con la scomparsa dell’angelo (o del personaggio divino). È il caso dell’episodio di Abramo alle querce di Mamre (Gen 18,1-15), dell’annuncio della nascita di Sansone ai suoi genitori (Gdc 13) e dell’avventurosa esperienza di Tobia accompagnato misteriosamente dall’angelo Raffaele (Tb 5,4; 12,6-22). La peculiarità del brano lucano è data dall’incontro con il Cristo risorto e tale esperienza è una graduale scoperta che culmina nell’atto di fede e nel riconoscimento del Risorto al momento del dono eucaristico.
A un diverso livello interpretativo il racconto sembra contenere un’intenzionalità pedagogica rivolta ai credenti della seconda generazione cristiana che non hanno avuto il privilegio della presenza fisica di Gesù. Essi sono chiamati a vivere il cammino pasquale imparando a “riconoscere” la presenza di Cristo nell’ascolto della Parola e nella condivisione dell’Eucaristia5. Questa dinamica è autenticamente vocazionale, testimoniale e missionaria. L’analisi strutturale della pagina lucana evidenzia una costruzione simmetrica che segue un duplice movimento: il primo è rappresentato dalla fuga e dall’allontanamento e il secondo dal ritorno a Gerusalemme.
Il lettore può scorgere facilmente una serie di movimenti descritti nel testo: da Gerusalemme, con la tristezza nel cuore i due discepoli vanno verso Emmaus (vv. 13-24); l’incontro sulla strada del ritorno diventa annuncio-rivelazione (vv. 25-27); l’accoglienza dei due discepoli nella loro dimora e la Cena eucaristica (vv. 28-31) che diventa memoria e scoperta del Risorto (v. 32); il ritorno a Gerusalemme e l’annuncio della risurrezione (vv. 33-35). Si possono individuare tre tappe così tematizzate: delusione / illuminazione / missione.

Delusione
In primo luogo c’è la “delusione”. Dopo la scena della tomba vuota e l’incredulità degli apostoli (vv. 1-12), due discepoli rientrano nella loro casa «con il volto triste» (v. 17), conversando e discutendo di quanto era accaduto. Essi sentono con profonda delusione la lontananza e il ricordo di Gesù e delle sue parole. Ai vv. 15-16 viene presentato il viandante che “cammina” insieme a loro, ma essi non lo riconoscono. Il dialogo tra Gesù e i due discepoli consente al lettore di cogliere la sintesi degli avvenimenti pasquali, a cui manca però l’annuncio della risurrezione. L’ironia narrativa tocca il culmine al v. 21: «Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele…», in quanto il discepolo che parla “a nome di tutti”, non sa di avere davanti proprio colui a cui si riferisce. La cronaca “nera” sembra dominare il crepuscolo dei tre viandanti. È simbolo dell’immagine ambigua che stende la sua ombra sull’odierna condizione del mondo.

Illuminazione
La seconda tappa è rappresentata dalla “illuminazione”. Mentre i due discepoli fanno silenzio, lo sconosciuto pellegrino rivolge loro la “parola”, risvegliando il loro cuore indurito e rattristato. La risposta del Signore nei vv. 25-27 diventa una “catechesi” che muove l’intimo dei due discepoli, definiti «stolti e lenti di cuore nel credere» (v. 25). Gesù apre il loro cuore all’intelligenza della Scrittura e spiega le profezie che si riferivano a Lui. Il v. 26 («Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze?») è fondamentale per capire il nesso tra passione e risurrezione. Il cammino sulla strada di casa diventa così “cammino di fede” e la casa all’orizzonte è simbolo della Chiesa. Lo sconosciuto parla di sé, rendendosi sempre più “amico e familiare” dei due discepoli. Essi lo sentono “vicino”, compagno nel cammino di fede, a tal punto da insistere perché rimanga con loro: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino» (v. 29). Gesù decide di fermarsi dopo aver fatto la strada insieme: egli non è più straniero, ma la sua Parola si è fatta vicina ai due testimoni, che gli aprono le porte della casa e gli offrono da mangiare. Al v. 30 si descrive la cena con gli stessi verbi eucaristici della cena pasquale: «Prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro». Di fronte a questi gesti i discepoli vengono illuminati e finalmente lo riconoscono, ma egli scompare dalla loro vista (v. 31).

Missione
La terza tappa del racconto è costituita dalla “missione”. Nel v. 32 dobbiamo vedere una svolta fondamentale: l’incontro con il Risorto diventa “memoria” e testimonianza. I due discepoli, illuminati dalla Parola e sostenuti dall’Eucaristia, finalmente riconoscono la sua presenza, mentre il Cristo scompare, dopo aver attivato il dinamismo dell’appartenenza.
I discepoli si sentono spinti ad uscire dalla casa. La missione diventa così uno straordinario processo di riedificazione di un’appartenenza nuova, fondata sulla Parola letta in prospettiva cristologica e sul dono del suo corpo e del suo sangue. Essi oramai non cercano più Colui che è morto, ma testimoniano il Crocifisso Risorto. Il senso del ritorno a Gerusalemme indica la riscoperta di un’appartenenza. Al v. 34 l’annuncio agli Undici racchiude la formula del kérygma: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone». Al v. 35 segue la testimonianza che edifica la comunità e la rende solida e unità.

Gerusalemme-Emmaus: andata e ritorno
Il cammino dei due discepoli è segnato da due luoghi: il cenacolo di Gerusalemme e la dimora di Emmaus. I Vangeli raccontano delle apparizioni in quella stessa sera nel Cenacolo di Gerusalemme (cf Mc 16,14; Lc 24,36-43; Gv 20,19-23) e contestualmente descrivono l’esperienza del Risorto che entra anche nella casa dei due viandanti. Mentre gli undici sono chiusi all’interno del cenacolo per timore dei Giudei, è Gesù stesso ad entrare nella dimora dei suoi amici, a fermarsi con loro, a prendere posto alla loro mensa. Inoltre è importante osservare i sentimenti e gli atteggiamenti descritti nel racconto.
Si parla del volto, degli occhi e del cuore. Si notano alcune contrapposizioni: il cammino triste / il ritorno gioioso; l’annuncio della cronaca dei fatti / il “riannuncio” del kérygma; l’accoglienza di uno sconosciuto / la sparizione del Cristo rivelato; la stoltezza / la saggezza; l’ignoranza / la conoscenza; mentre cala la notte essi si ritirano ad Emmaus / mentre spunta l’alba essi ritornano pieni di gioia a Gerusalemme.
In Lc 24,13-35 il fermarsi del Risorto si traduce in un’esperienza di fede e di appartenenza. Gesù risorto si rivela come “Emmanuele” che sceglie di rifare con i suoi il cammino verso la casa comune, vincendo le loro tristezze e le loro solitudini. La Parola e il Pane eucaristico diventano forza di questo cammino. Essi non sono più soli.
Vivono il dinamismo di un’appartenenza che nasce dall’amore che unifica e salva (Gv 15,12-17).

4. Dieci tratti pedagogici per l’accompagnamento vocazionale
Osserviamo come la via di andata e ritorno tra Gerusalemme ed Emmaus richiami il dinamismo ecclesiale e vocazionale dell’appartenenza.
Questa icona pasquale diventa “chiave ermeneutica” per educare oggi a questo dinamismo, tra labirinti e incroci fatti di scoraggiamento, stanchezza, delusioni e scoperte. Si possono cogliere dieci tratti della pedagogia del Risorto che illuminano lo stile dell’appartenenza. Preferiamo declinarli nella seconda persona singolare, perché possano parlare al cuore di ciascuno.

Scegli di fare lo stesso cammino con i tuoi fratelli
Sulla via verso Emmaus i due discepoli «conversavano, discorrevano e discutevano insieme». Sulla strada del dubbio, il Risorto sceglie di condividere la stessa via. Occorre cogliere in questo stile di Cristo la scelta di essere accanto ai dubbi e alle difficoltà di chi è in ricerca. Essi non lo riconoscono, ma Gesù non si impone. Egli si associa con rispetto e tenerezza ai due discepoli turbati da quanto è avvenuto a Gerusalemme al loro maestro (vv. 13-16). È il primo fondamentale atteggiamento che caratterizza lo stile dell’educatore.

Sappi porre domande giuste
Percependo i loro discorsi, il Risorto li invita a raccontare la loro esperienza ponendo loro domande giuste. In tal modo essi non si sentono giudicati, ma compresi ed accompagnati. C’è qualcuno che dà loro attenzione e si mostra interessato alla loro storia. Il viandante sconosciuto aiuta i suoi interlocutori ad “aprire il cuore”, a descrivere le loro emozioni e a narrare la loro solitudine.

Poniti in ascolto delle delusioni
Il cammino si fa “racconto”, ricordo, espressione di rammarico e di nostalgia. Essi hanno sperato e creduto in Colui che avrebbe liberato il suo popolo: ma tutto sembra crollato. Mentre il sole tramonta, nel cuore dei due discepoli cala la tristezza di una grande storia con un triste finale. A sancire questa condizione frustrata è il verbo «noi speravano», nel quale è racchiusa tutta l’amarezza di una liberazione mancata. Ma resta sulla strada chi sa ascoltare le delusioni: Gesù (vv. 17-24).

Rivolgi le parole vere, ripartendo dalla Sacra Scrittura
L’ironia con cui si chiude il v. 24 è proporzionale alla franchezza delle parole con cui il Risorto rimprovera i due discepoli: «Stolti e lenti di cuore nel credere alla parola dei profeti!». L’invito ad accogliere l’annuncio messianico racchiuso in un’autentica interpretazione «di Mosè e dei profeti» diventa urgente per riappropriarsi di un “cammino di autenticità”. Le parole lasciano il posto alla Parola e Colui che ha ascoltato ora si rivela come “Maestro e Signore” che riporta la speranza. Anche il dolore assurdo della croce trova senso nel progetto di Dio, nel “sì” del Figlio (vv. 25-27).

Lascia la libertà di decidere
Arrivati sulla porta di casa, il pellegrino sconosciuto «fece come se dovesse andare più lontano» (v. 28). Gesù lascia i due discepoli in un cammino di libertà, che conferma l’indole attrattiva non costrittiva della Parola. Colpisce lo stile di Gesù, che lascia ai suoi discepoli la libertà di decidere di fronte alla Parola annunciata. È questo il momento prezioso del discernimento, che si attiva nel cuore dei discepoli, i quali non esitano a rivolgergli l’invito: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino» (v. 29).

Accogli l’invito dei tuoi fratelli
Il Risorto accoglie l’invito. Il camminare culmina nell’esperienza dell’ospitalità. Sappiamo quanto sia importante per la tradizione giudaica la prassi dell’accoglienza: ma i due discepoli non hanno ancora piena coscienza di chi sia realmente il pellegrino che ha loro parlato al cuore. Aprendo la loro casa allo sconosciuto viandante, essi aprono il cuore alla dinamica della fraternità.

Entra nella loro casa
Gesù accetta di entrare nella loro dimora. Nella semplicità del gesto è contenuto il mistero di un incontro che rinnova il dono dell’appartenenza. Confermando l’attenzione al motivo della casa e alle relazioni familiari, l’evangelista Luca ripropone in questo racconto lo stesso dinamismo che ha contrassegnato la missione di Gesù. Dio visita l’uomo, condividendo la sua condizione di bisogno e di pace.

Rimani con loro
L’evangelista sottolinea che il Risorto entrò «per rimanere con loro» (v. 29). L’indicazione evidenzia la qualità relazionale della presenza di Gesù. La solitudine e la tristezza dei due discepoli viene radicalmente trasformata attraverso un processo di appartenenza. Il Risorto è accanto a loro con semplicità e fa sentire la sua amorevolezza.

Condividi l’Eucaristia nella gioia di stare insieme
Il “rimanere” assume un senso eucaristico e pasquale. Gesù è a tavola con i due discepoli. La Parola ascoltata e accolta si collega con l’azione eucaristica. Prendere il pane, benedirlo, spezzarlo e donarlo (v. 30) non sono gesti meccanici, ma esprimono la realtà ecclesiale dell’appartenenza nella fede. La rivelazione del Risorto culmina con il dono dell’Eucaristia, fonte e sorgente di tutta la vita cristiana.

Sappi uscire di scena, permettendo agli altri di vivere la loro missione
Alla frazione del pane finalmente gli occhi dei due discepoli si aprono e “riconoscono” la presenza del Risorto. Ma Lui scompare. Uscendo dalla loro presenza, il Cristo affida ai suoi discepoli la testimonianza e la missione. Essi riconoscono, raccontano, ricominciano! Con la forza di questo incontro i due discepoli riprendono il cammino per tornare a Gerusalemme e annunciare che Cristo è vivo. La forza di questo incontro apre il cuore alla testimonianza e alla missione.

Conclusione
La casa di Emmaus è immagine sempre attuale dell’appartenenza alla Chiesa. Gesù ha camminato con i due discepoli ed ha accettato di condividere l’ospitalità. Il Risorto è entrato nel cammino, nella mente, nel cuore, nella casa, nelle attese, nelle speranze dei due discepoli. Egli ha portato il fuoco dell’Amore e la luce della speranza, trasformando i suoi discepoli in “testimoni” gioiosi di un’appartenenza senza confini di spazio e di tempo (At 1,8).

NOTE
1 Papa Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica post-sinodale (24.11.2013), n. 92.
2 La letteratura su Lc 24,13-35 è ampia. Ci limitiamo a segnalare: J.-N. Aletti, L’arte di raccontare Gesù Cristo. La struttura narrativa del vangelo di Luca, Queriniana, Brescia 1991, pp. 155-168; J.-N. Aletti, «Luc 24,13-33. Signes, accomplissement et temps, «Recherche de Science Religieuse» 75 (1987), pp. 305-320; S.A. Panimolle, Gesù “esegeta” della Parola, «Parola Spirito e Vita» 2 (1991), pp. 129-143; G. Rossé, Il Vangelo di Luca. Commento esegetico e teologico, Città Nuova, Roma 1995, pp. 1015-1025.
3 Cf G. Giurisato, Come Luca struttura il viaggio e le altre parti del suo vangelo, «Rivista Biblica Italiana» 46 (1998), pp. 419-484; M. Crimella, Verso Gerusalemme. Il «grande viaggio» di Luca e la cristologia: un’indagine narrativa, «Liber Annuus» 64 (2014), pp. 237-254. Per l’approccio retorico: cf R. Meynet, Il Vangelo secondo Luca. Analisi retorica, Dehoniane, Roma 1994, pp. 692-694.
4 Cf G. Rossé, Il Vangelo di Luca, cit., p. 1022.
5 Cf ivi, pp. 1015-1016.