N.05
Settembre/Ottobre 2017

Diakonia della carità, sorgente di vocazioni

1. L’esercizio della carità nella Chiesa
Tutta la storia della salvezza ci dice che «Dio è amore» (1Gv 4,8.16): un Dio che chiama, sceglie, perdona, rimane fedele al suo popolo nonostante i tradimenti. Ma fino a che punto Dio è amore e di quale amore si tratta, lo si scopre solo in Gesù Cristo e nella sua morte di croce per la salvezza degli uomini. L’uomo, creato «a immagine e somiglianza di Dio» (Gen 1,26), è se stesso se ama, poiché è nel dono reciproco di sé, realizzato per l’amore che viene da Dio, che «si riassume tutta l’antropologia cristiana» (Dominum et vivificantem, 59).
Il tema dell’amore si pone dunque sul piano dei principi fondativi di tutta la realtà cristiana e, quindi, ovviamente di tutta la Chiesa. Conseguentemente, proprio l’amore accolto come dono offerto gratuitamente da Dio e sperimentato, diventa il motivo ispiratore di ogni azione pastorale sia intra che extra ecclesiale.
In effetti però, inutile negarlo, non sempre questo si è verificato nel corso dei secoli in quanto il prevalere di una visione ecclesiocentrica, anziché servire ed amare l’uomo, ha portato la Chiesa quasi ad assolutizzare se stessa. È ciò che Papa Francesco nella Evangelii gaudium, al n. 95, chiama mondanità spirituale, come «cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel popolo di Dio».
Già la Gaudium et spes al n. 1 aveva evidenziato come ciò che garantisce alla Chiesa una valida presenza nel mondo sono «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini… dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono».
Questo modo di ripensare, e quindi di rivedere/riconsiderare la missione da parte della Chiesa, ha al centro il concetto di carità-solidarietà come dinamismo, l’idea e l’impegno del servizio al mondo, come termine non tanto la costruzione della Chiesa, quanto il suo irraggiamento di amore in mezzo agli uomini; infatti, come Papa Francesco ci ricorda, la Chiesa non cresce per proselitismo, ma «per attrazione». Pertanto, l’esercizio della carità verso ogni uomo è costitutivo della missione della Chiesa, tanto che Gesù lo indica come ambito sul quale egli esercita il suo giudizio escatologico: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare…» (Mt 25,31-46).
Per cui, se il servizio all’uomo è componente essenziale e primaria della missione della Chiesa, quello della carità è un tema strutturale e non solo un fatto etico dei singoli cristiani. Si tratta quindi di evidenziare sempre e meglio la radice teologica della carità e chiarire cosa significa per la Chiesa essere soggetto di carità; dalla comprensione di questo, ne consegue il suo interpretarsi ed il conseguente corretto collocarsi dentro la storia.

2. Vaticano II: un’ecclesiologia di comunione
Se vogliamo pensare una pastorale e una testimonianza di Chiesa in termini di risposta vocazionale al dono e all’appello del Signore, alla base deve esserci anzitutto la volontà di essere Chiesa che non si rinchiude in un’introversa difesa della propria identità, ma che vuole spendersi dentro la storia. Di una Chiesa che, innamorata completamente del suo Signore, osa pensare in termini progettuali per promuovere percorsi nuovi, al fine di incontrare Cristo nelle persone e ri-diventare ogni giorno sempre più a Sua immagine. Dal Concilio Vaticano II emerge con chiarezza un’ecclesiologia di comunione.
In concreto, la Chiesa deriva dalla carità di Dio e, come hanno affermato i Vescovi italiani(ETC 19), la carità riguarda la Chiesa nel suo essere, prima ancora che nel suo agire ed “essere carità” è più impegnativo che “fare carità”. Allo stesso modo la carità da fatto individuale deve diventare impegno comunitario, espressione dell’amore comunitario del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo da parte dell’intera comunità cristiana. Ciò avviene certamente nell’annuncio della Parola di Dio e nella celebrazione dei Sacramenti, ma altrettanto nel servizio concreto e gratuito che la Chiesa sa offrire, in primo luogo ai più poveri, vivendo con coerenza e radicalità il comandamento dell’Amore.
La carità chiede dunque alla Chiesa di assumere un volto totalmente relazionale. Il Concilio Vaticano II, in altre parole, indica che la carità non tocca solamente il rapporto personale con Dio, ma investe di sé tutta la Chiesa «come popolo radunato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (LG 2), per il bene degli uomini. Dentro questo solco si inserisce tutto il magistero di Papa Francesco.

3. Quale carità
Generalmente si è soliti considerare la carità come l’opera che la Chiesa compie verso il mondo, una testimonianza che si rende efficace dispositivo per la comunicazione della fede. Siamo però meno abituati a considerare la carità come ministero per l’edificazione della Chiesa stessa, forma autentica della fede, non tanto e solo come mezzo per annunciare il Signore, quanto Egli stesso che si rivela.
La carità, dunque, non si riduce a semplice «sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane», ma diviene «la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti» (SRS 38).
In questo senso, l’amore non può essere delegato ad alcuni, neanche – e forse tanto meno! – ai “migliori” tra i membri di una comunità. Tutta la Chiesa e ciascun cristiano ne hanno semplicemente e drammaticamente bisogno per “essere” se stessi, come hanno sottolineato i vescovi italiani in Evangelizzazione e testimonianza della carità: «Se la comunità ecclesiale è stata realmente raggiunta e convertita dalla parola del vangelo della carità di Cristo non può non continuare nelle tante opere della carità testimoniata con la vita e con il servizio» (ETC 28).
E ancora:
«L’evangelizzazione e la testimonianza della carità esigono oggi, come primo passo da compiere, la crescita di una comunità cristiana che manifesti in se stessa, con la vita e con le opere, il vangelo della carità» (ETC 26).
È urgente, pertanto, promuovere percorsi per i quali la carità diventi sempre più parte costitutiva, ordinaria della comunità cristiana, rendendola non solo visibile, ma anche riconoscibile nella Chiesa, generata e integrata nella sua stessa vita.
«La storia della Chiesa è anche storia di carità», ha detto Papa Francesco al congresso organizzato da Cor Unum a dieci anni della Deus caritas est di Benedetto XVI. Carità e misericordia sono l’essere e l’agire di Dio, ha spiegato soffermandosi sul legame tra verità e misericordia, e sul “filo rosso” che unisce il pontificato del suo predecessore e il Giubileo della Misericordia.
Papa Francesco, proprio nel solco di questo insegnamento – non senza collegarsi evidentemente con il magistero di San Giovanni Paolo II, che proprio della misericordia aveva trattato in un’apposita Enciclica Dives in misericordia, e di Paolo VI che diede vita all’organismo pastorale Caritas – ci ricorda che la carità, in quanto caratteristica/essenza di Dio, non viene mai ad esaurirsi (Deus Caritas est), non tanto in quanto tale per definizione statica/astratta, quanto piuttosto come realtà strutturale insita nel proprio essere e quindi manifesta nel suo agire. Perciò egli afferma nella Bolla di indizione dell’Anno Santo Misericordiae Vultus: «Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono». Il perdono di Dio si concretizza storicamente nel mistero di Cristo: egli è «il volto della misericordia del Padre»; per cui noi, per poter usufruire di questo dono «abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia…». Pertanto Misericordia «è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato».
Attraverso la misericordia, cioè, si rende vero/operativo, diremo che viene seminato, germoglia, cresce e produce frutto in noi l’amore di Dio. Questo abbraccio vitale è fondamentale, infatti senza saremmo votati alla morte; morte che entra nella vita della persona proprio a seguito del distaccamento (= autentica lacerazione) da Lui, tramite il peccato. Potremmo dire che, attraverso la misericordia, Dio rimette apposto quanto era stato prodotto mediante il peccato e quanto in ogni sua conseguenza. La misericordia, infatti, secondo quanto insegna la scienza teologica, è l’amore nei confronti di qualcuno che di per sé non ha nessun diritto di essere amato. Essa supera anche la giustizia (21): «Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono». Per tale motivo questo specifico amore è tipico di Dio. Perciò dice il Papa al n. 9: «La misericordia nella Sacra Scrittura è la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi». E nel prosieguo del discorso possiamo senz’altro vedere il cuore di tutto il nostro ragionamento. Scrive il Papa: «Egli non si limita ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile… Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri». Poi al n. 10 sottolinea: «L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole». Perciò possiamo dire che quanto Papa Francesco ci ha chiesto nella Misericordiae Vultus, quanto ci ha chiesto nell’Anno Santo e ha rilanciato nella Misericordia et Misera attraverso le opere di Misericordia, non sia tanto una nuova strategia pastorale e neanche una sorta di nuova scoperta in ordine al messaggio cristiano in generale, dal Vangelo alla tradizione apostolica, fino al Vaticano II, al piano pastorale della Chiesa italiana Evangelizzazione e testimonianza della carità, alla Carta pastorale della C.I., a Paolo VI, Giovanni Paolo II, all’intero magistero di Benedetto XVI. È piuttosto l’invito a tornare al centro del nostro essere Chiesa; Chiesa che ha come suo architrave, appunto, la misericordia.

4. Per quale Chiesa?
Tale prospettiva è maturata nella Chiesa italiana attraverso le grandi linee e gli orientamenti che ci hanno guidati nei decenni scorsi fino ad oggi. In questi cammini c’è una precisa consapevolezza dell’urgenza dell’evangelizzazione, un asse di sintesi attorno al quale le nostre comunità si sono protese per rinnovare educativamente il loro volto alla scuola del Concilio. Al Convegno ecclesiale di Palermo, nel 1995, si chiese un salto di qualità congiungendo una più intensa spiritualità e una più coraggiosa presenza di Chiesa nelle vicende della storia: contemplazione e missione, appunto. Da questo volto di Chiesa intenzionalmente più contemplativo e missionario scaturiscono alcune scelte che possono delineare per oggi e domani il profilo della Chiesa in Italia: cresce la sete di ascolto, di incontro e di relazione; cresce l’esigenza di frequentare gli spazi di vita della gente per provocarli, per “iniziarli” al Vangelo; emerge l’esigenza di una Chiesa più aperta al confronto e alla presenza culturale; si sente il bisogno di dare un respiro nuovo al rapporto con il Paese nel sociale e nel servizio proprio della politica; cresce l’esigenza di preservare e rilanciare la natura popolare della Chiesa, soprattutto attraverso un’attenzione più missionaria alla parrocchia.
L’intero apostolato di Papa Francesco, inoltre, ci ha dato anche l’opportunità di verificare la genuinità delle opere di misericordia da noi compiute, ossia se siamo misericordia viva del Padre. Misericordia è l’habitus imprescindibile della Chiesa, che investe e riguarda tutti, presbiteri e fedeli laici; e proprio perché tale va anche oltre il volontarismo individuale dei cristiani: essa è un atto di verità ecclesiale; perciò dovunque vi siano i cristiani – scrive il Papa al n. 12 della MV – si deve anche sperimentare una squisita oasi di misericordia. E questo al fine di far crescere comunità capaci di farsi interpreti e protagoniste delle opere di carità e di diventare “ponte” tra quanto celebrano e ascoltano e quanta carità/amore vivono quotidianamente in un mondo che, forse, sta conoscendo la sua più bassa soglia di solidarietà e la sua più alta soglia di conflittualità e diffidenza, sia a livello nazionale, sia europeo, sia internazionale. Senza le opere dell’amore la fede è morta (Gc 2,17), ma è anche vero che ogni opera non è attendibile se non ridice la Parola di Cristo, se non celebra il suo Mistero d’amore, se non costruisce una comunità di comunione che impegna ad essere poveri con i poveri.

5. L’opzione preferenziale per i poveri
I poveri, insieme all’Eucaristia, sono la carne viva di Cristo, come ci ricorda ancora il Papa nel Messaggio per la Giornata Mondiale dei Poveri, che quest’anno sarà il 19 novembre. In quest’ottica i poveri e la povertà ci permettono di vivere l’essenza del Vangelo, ripensando i nostri stili di vita, rimettendo al centro le relazioni fondate sul riconoscimento della dignità umana come codice assoluto. Al punto n. 4 del Messaggio il Santo Padre sottolinea che «per i discepoli di Cristo la povertà è anzitutto una vocazione a seguire Gesù povero… che conduce alle Beatitudini». Quasi un manifesto per la buona riuscita della vita cristiana.
La carità evangelica, poiché si apre alla persona intera, allo sviluppo integrale dell’uomo, e non soltanto ai suoi bisogni, coinvolge la nostra stessa persona ed esige la conversione del cuore. Potrebbe essere facile aiutare qualcuno senza accoglierlo pienamente. Quindi nei poveri e negli ultimi abbiamo l’opportunità di vedere il volto di Cristo; amando e aiutando i poveri amiamo e serviamo Cristo, questo perché, come già scritto nella Evangelii gaudium (198), «per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica». Significa perciò attenzione, accoglienza, condivisione a partire dai poveri; scegliere di camminare con loro e da lì partire per facilitare la condivisione e la edificazione della comunità.
È veramente grande quanto Dio ci renda compartecipi nella costruzione della Salvezza, tramite la misericordia ed il suo esercizio. Sotto questo punto di vista prende concretezza e si capisce meglio l’espressione di San Paolo: «Completo nella mia carne quanto manca ai patimenti di Cristo» (Col 1,24). Il dono immenso e incommensurabile della salvezza, ricevuto attraverso la misericordia, una volta ricevuto e riconosciuto come tale, nella gratitudine viene restituito passando per le categorie pratiche-umane-sociali e che si esprimono attraverso l’esercizio della solidarietà. A questo proposito non mi sembra inopportuna la citazione e riflessione sull’intero n. 188 della Evangeli gaudium: «La Chiesa ha riconosciuto che l’esigenza di ascoltare questo grido deriva dalla stessa opera liberatrice della grazia in ciascuno di noi, per cui non si tratta di una missione riservata solo ad alcuni: “La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall’amore all’essere umano, ascolta il grido per la giustizia e desidera rispondervi con tutte le sue forze”. In questo quadro si comprende la richiesta di Gesù ai suoi discepoli: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37) e ciò implica sia la collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo in-tegrale dei poveri, sia i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo. La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni» (EG 188).
Perciò scrive che dobbiamo «porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (EG 25).
Da quanto detto finora appare chiaro che la carità è anche il metodo per l’evangelizzazione, ossia permette, fa sì che le persone incontrino il Cristo Salvatore. «Chi si è lasciato attrarre dalla voce di Dio – sottolinea Papa Francesco nel Messaggio per la 54a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni – e si è messo alla sequela di Gesù scopre ben presto, dentro di sé, l’insopprimibile desiderio di portare la Buona Notizia ai fratelli, attraverso l’evangelizzazione e il servizio nella carità». È l’invito a “uscire da sé stessi” per mettersi in ascolto, guidati dallo Spirito Santo, della voce del Signore, vivendo l’esperienza della comunità ecclesiale come luogo privilegiato in cui la chiamata di Dio nasce, si alimenta e si esprime. È questa la Chiesa che «sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi» (EG 24).
È sempre più necessaria questa diakonia della carità che si traduce in incontro concreto di persone, volti, storie, bisogni concreti incarnati e scolpiti nelle vite di milioni di uomini e donne che abitano le nostre periferie, i paesi e le città. È un fiume umano tuttora dimenticato da una programmazione politica e sociale che non ha l’uomo al centro. Sono i “grandi assenti” non solo dalla storia dell’uomo, ma anche da una pastorale che, con il coraggio di ripartire dagli ultimi, sia anche nuova linfa per una rinnovata pastorale vocazionale.
E mi piace chiudere proprio con l’esortazione che il Papa ha fatto agli operatori Caritas nell’udienza del 21 aprile 2016 per i 45 anni di Caritas Italiana, chiedendoci di «andare avanti senza paura e scoprire prospettive sempre nuove nel vostro impegno pastorale, rafforzare stili e motivazioni, e così rispondere sempre meglio al Signore che ci viene incontro nei volti e nelle storie delle sorelle e dei fratelli più bisognosi. Egli sta alla porta del nostro cuore, delle nostre comunità, e attende che qualcuno risponda al suo “bussare” discreto e insistente: aspetta la carità, cioè la “carezza” misericordiosa del Signore, attraverso la “mano” della sua Chiesa. Una carezza che esprime la tenerezza e la vicinanza del Padre. Nel mondo di oggi, complesso e interconnesso, la vostra misericordia sia attenta e informata; concreta e competente, capace di analisi, ricerche, studi e riflessioni; personale, ma anche comunitaria; credibile in forza di una coerenza che è testimonianza evangelica, e, allo stesso tempo, organizzata e formata, per fornire servizi sempre più precisi e mirati; responsabile, coordinata, capace di alleanze e di innovazione; delicata e accogliente, piena di relazioni significative; aperta a tutti, premurosa nell’invitare i piccoli e i poveri del mondo a prendere parte attiva nella comunità, che ha il suo momento culminante nell’Eucaristia domenicale. Perché i poveri sono la proposta forte che Dio fa alla nostra Chiesa affinché essa cresca nell’amore e nella fedeltà. E perché la comunione con Cristo nella Messa trovi espressione coerente nell’incontro con lo stesso Gesù presente nel più piccolo dei fratelli. Così sia la vostra, la nostra carezza».