N.05
Settembre/Ottobre 2017

Il diaconato nella sua dimensione vocazionale

Mi è stato chiesto di riflettere sul diaconato permanente “nella sua dimensione vocazionale”. Non intendo questa espressione nel senso di campagna vocazionale, cioè in vista del “reclutamento” di “vocazioni”. Uso invece di essa in riferimento con la comunità ecclesiale, con la Chiesa in quanto soggetto storico di azione, cioè con l’ecclesia nel senso forte della parola e nella diversità di essa – dalla Chiesa particolare alla Chiesa universale, passando per la parrocchia e l’ampio ventaglio di comunità cristiane, associazioni, istituti di vita consacrata, movimenti ecclesiali, ecc.

1. Vocazione della Chiesa, missione di tutti i battezzati
Quale è la vocazione della Chiesa e quindi la sua missione? Esse vengono comprese nel concetto stesso di “chiesa” che significa proprio “convocazione”, e di conseguenza raduno o assemblea che nasce da una convocazione (gr. εκκλέσια, dal verbo εκκαλέω: chiamo,convoco), quale dispiegarsi nella storia del mistero di alleanza di Dio con l’umanità.
La missione della Chiesa come di ogni comunità ecclesiale e nel contempo di tutti i battezzati è la comunicazione di questo mistero in quanto “buona notizia”. Il Vangelo della salvezza richiede di essere annunziato, celebrato e testimoniato dai discepoli di Cristo, loro Maestro. Essi sono perciò discepoli- missionari (EG 24, cf 53, 119-120, 173 e 266). Mandati dal Risorto e «nutriti della luce e della forza dello Spirito Santo» (cf EG 53), tocca loro manifestare il Regno già presente nella nostra storia. Esso implica nel contempo l’umanizzazione del mondo nell’attesa del suo pieno compimento.
L’umanità è stata in effetti visitata da Dio per (ri)stabilire gli esseri umani nella loro dignità e per renderli partecipi della sua divinità. Il Regno già presente inaugura e anticipa il mistero di alleanza e quindi la riconciliazione dell’umanità (cf LG 2). La prospettiva è chiaramente escatologica, ma l’opera di salvezza è già iniziata. Detto in altre parole, la missione consiste nell’edificare l’umanità come Corpo di Cristo abitata dallo Spirito Santo e per questo situarla nella sua qualità di popolo di Dio (cf LG 13).
Ecco quindi il “servizio” o “ministero” che viene reso dalla Chiesa all’umanità: portare a suo compimento la storia come storia di alleanza. La sua vocazione è “diaconale” per passione per l’umanità. Niente di meno! La Chiesa è per forza “in uscita”; non ha il suo scopo in se stessa. La sua natura è di per sé extraversa verso l’intera umanità, per aiutarla a compiersi secondo il progetto di Dio.

2. Corresponsabilità battesimale di tutti e collaborazione ministeriale di alcuni
Nella Chiesa particolare, e quindi in ogni comunità ecclesiale, tutti insieme in virtù del battesimo ed ognuno secondo i suoi carismi partecipano alla comunione di grazia. Tutti prendono così parte alla missione di tutto il Corpo ecclesiale di cui Cristo è il capo (cf c. 204 § 1). Tutti beneficiano dell’assistenza dello Spirito Santo. Tutti sono “partners”. Formano la Chiesa “in uscita”, cioè «la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (EG 24; cf 31, 120, 224).
I ministeri s’iscrivono nella comune responsabilità di tutti, vale a dire nella comunione della Chiesa (in lat. cum-munus). Si situano come servizi di quanto la comunità è chiamata ad essere e a fare.
Sono da capire e da attuare nella Chiesa, per essa e da essa1. In que-sto senso, il legame fra ecclesia e ministerium – tra corresponsabilità battesimale di tutti e collaborazione ministeriale di alcuni – è costitutivo del dispiegarsi del mistero della Chiesa. Il legame è propriamente “simbolico”(in greco: συμβάλλειν, tenere insieme). L’unità viene però assicurata dal Cristo, capo del suo corpo ecclesiale di cui i fedeli sono membra, con i loro pastori, nonché i diaconi. Questo legame – tutti e alcuni – è paradigmatico perché offre il modello normativo che struttura ogni comunità ecclesiale.
Alcuni tra i fedeli sono chiamati per assumere una funzione particolare al servizio dell’ecclesia e della sua missione. Servono a disporre la Chiesa – tutti i fedeli – ad assumere la sua missione: «Affinché la Chiesa viva e compia la sua missione di servire il Vangelo in questo mondo, bisogna che in essa alcuni accettino di servire per disporla alla sua missione – detto in altre parole: bisogna che al suo interno siano assicurati dei ministeri»2.
Fra coloro che assumono dei ministeri ci sono in un modo eminente i ministri ordinati, episcopi, presbiteri e diaconi. Ma il ministero ordinato non confisca tutta la realtà ministeriale della Chiesa. I laici impegnati a titolo volontario nella vita ecclesiale e gli operatori pastorali, spesso stipendiati, partecipano “più da vicino” alla responsabilità pastorale (cf AA 24f; ChL 24, 26d, 27.b).

3. I ministeri ordinati, un dono di Dio
L’ordinazione è una investitura sacramentale, mediante l’imposizione delle mani e l’epiclesi accompagnata dalla preghiera consacratoria. Questa è specifica per ogni grado del sacramento dell’ordine. Ma tutti i tre gradi istituiscono nel ministero “apostolico” nel senso che s’iscrivono nella scia della missione affidata da Gesù Cristo ai dodici apostoli e, di conseguenza, garantiscono l’apostolicità della fede. Il sacramento dell’ordine conferisce la grazia per il ministero corrispondente ai rispettivi gradi, episcopato, presbiterato e diaconato. Ma, nei tre casi, coloro che la Chiesa chiama sono presi in tutta e per tutta la loro vita, in maniera irreversibile, essendo il dono di Dio senza pentimento.
Il vescovo riceve il «ministero della comunità» che esercita con l’aiuto del presbiterio e dei diaconi (cf LG 20b). È importante sottolineare l’articolazione del presbiterato e del diaconato con il ministero episcopale, tutti e tre al servizio della Chiesa locale, sotto la guida del suo pastore, il vescovo, il cui ministero è di mettere in legame, anzi in comunione, la Chiesa particolare a lui affidata con tutta la Chiesa. L’episcopato e il presbiterato sono ministeri pastorali di presidenza del corpo ecclesiale e della sua Eucaristia.
Come il vescovo, i preti significano e realizzano, quanto a loro, la sola e unica mediazione sacerdotale di Cristo, capo del Corpo ecclesiale edificato dallo Spirito Santo. Mediante il loro ministero sacerdotale, il vescovo e i presbiteri sono al servizio del sacerdozio di Cristo che porta i battezzati a diventare un popolo sacerdotale. La loro presidenza è di conseguenza eucaristica. Ma il corpo ecclesiale loro affidato è anche chiamato ad essere profetico e regale, tutti i fedeli essendo stati segnati dallo Spirito santo come discepoli missionari per portare la storia al suo compimento nella riconciliazione di tutta l’umanità.

4. Il diaconato esercitato in modo permanente
Dopo questo breve accenno all’episcopato e al presbiterato, vediamo più da vicino il diaconato che può ormai essere esercitato in modo permanente3. Di fronte alla novità del suo ristabilimento, il Vaticano II non ha potuto presentare una dottrina sufficientemente elaborata; si è accontentato di alcuni elementi sommari per descrivere teologicamente il diaconato. Esso è orientato “per il ministero non per il sacerdozio” con la grazia sacramentale propria in vista di una triplice diaconia, esplicitata da numerosi compiti e specificata più in particolare dai doveri della carità e dell’amministrazione (cf LG 29b; AG 16f). «In comunione col Vescovo e il suo presbiterio»(LG 29b; cf CDC 1983, c. 757), i diaconi compiono così il loro ministero in qualità di ausiliari del ministero sacerdotale di presidenza del vescovo e dei sacerdoti (CEC 1997, n. 1554) e nel contempo al servizio del sacerdozio comune a tutto il Corpo ecclesiale4.
Dall’ultimo concilio, la teologia del diaconato si è però poco a poco precisata fra l’altro grazie alla sua ricezione nella vita delle diocesi dove questo ministero è stato ripristinato nel suo esercizio permanente. Ma nel contempo l’approfondimento è venuto dal magistero pontificale sul diaconato e grazie alla riflessione dottrinale suscitata tanto da esso quanto dalla vita ecclesiale. Si sono ormai chiariti temi come il carattere (Sacrum diaconatus ordinem nel 1967 e Ad pascendum nel 1972), la configurazione al Cristo o il ministero nel nome di Cristo (CEC del 1997; Ratio fundamentalis nel 1998), per cui i diaconi ricevono la forza per servire il popolo di Dio (CEC e nuovo canone 1009 § 3) in modo che non ci sono più motivi gravi per contestare la sacramentalità del diaconato (cf Commissione teologica internazionale nel 2003). Da essa si traggono diverse conseguenze. Ne spunto due.

5. Il diaconato, un ministero “apostolico”
Prima di tutto vorrei sottolineare l’apostolicità del ministero diaconale proprio in virtù dell’ordinazione sacramentale. Dal momento che il diaconato è «sacramento del ministero apostolico» (CEC 1536), esso fa parte integrante del ministero della successione apostolica: i diaconi partecipano a modo loro (lat. suo modo) alla missione che gli apostoli e i loro successori hanno ricevuto da Cristo mediante il suo Spirito, attraverso la mediazione ecclesiale5. Per mezzo della loro ordinazione, i diaconi partecipano infatti del ministero di testimonianza della fede apostolica, anche se per certi autori il diaconato è apostolico quanto al suo fondamento e non quanto alla sua natura teologica6. Il cuore della fede ereditata dagli apostoli è proprio l’amore di Dio nella sua passione per l’umanità!
È così che i diaconi contribuiscono, per la loro parte, alla salvaguardia e alla promozione dell’identità apostolica e, per questo, evangelica della Chiesa locale. È così che, partecipando al ministero apostolico, contribuiscono alla comunione ecclesiale in quel luogo e al legame fra le Chiese poiché attestano l’apostolicità della fede vissuta. In comunione con i pastori della Chiesa, i diaconi sono garanti dell’apostolicità mediante la “triplice diaconia della Parola, della liturgia e della carità” di cui non conviene staccare o separare i diversi aspetti.
Ovviamente non si può ridurre la triplice diaconia al servizio liturgico anche se in esso principalmente, ma non esclusivamente, il ministero trova la sua visibilità come servizio del sacerdozio comune dell’assemblea – stimolando la partecipazione di tutti e animando la preghiera dei fedeli – e servizio del ministero sacerdotale del vescovo e dei presbiteri – essendo i loro ausiliari nel servizio dell’altare affinché l’Eucaristia sia celebrata in verità sboccando nella diaconia di tutti nell’attesa del compimento del Regno.
La diaconia della liturgia è intimamente collegata tanto alla diaconia della Parola quanto a quella della carità. Questa trova la sua sorgente nella carità di Dio manifestata nel mistero di Cristo che si è fatto servo fino al dono della sua vita e della sua morte (cf Mc 10,45; Mt 20,28; Gv 15,13-15). La diaconia della Parola comporta un ampio arco di realizzazioni: dalla testimonianza, spesso discreta, delle volte silenziosa, nella vita quotidiana, in particolare nell’ambito del lavoro, negli impegni associativi, nella vita di famiglia alla proclamazione in forma di catechesi, predicazione, omelia, insegnamento, ecc.
Il servizio liturgico dei diaconi è spesso minimalista; merita quindi approfondimento e nel contempo creatività. A questo riguardo, il servizio del calice – presentato, offerto e elevato – è emblematico di quanto la comunione dei fedeli al sangue di Cristo manifesta e nel contempo suscita il loro impegno a unire la propria esistenza al dono di Cristo per la nostra salvezza. Un modo fra altri di ricordare che non c’è Eucaristia senza lavanda dei piedi! I diaconi invitano così a prendere sul serio la vocazione diaconale di tutta la Chiesa come passione per l’umanità.

6. Il diaconato, una abilitazione a servire la Chiesa e la sua missione
Nell’ampio ventaglio della triplice diaconia, i diaconi collaborano al ministero apostolico assumendo degli incarichi o una missione, cioè esercitando un ministero per il quale l’ordinazione li ha formalmente – anzi sacramentalmente – “abilitati”. Ecco una seconda conseguenza dell’affermazione della sacramentalità.
L’ordinazione di per sé è una abilitazione – una potestas – a servire il popolo di Dio, una abilitazione. Occorre qui riportare il nuovo canone 1009 § 3: «Con il sacramento dell’ordine per divina istituzione alcuni tra i fedeli, mediante il carattere indelebile con il quale vengono segnati, sono costituiti ministri sacri; coloro cioè che sono consacrati e destinati a servire, ciascuno nel suo grado, con nuovo e peculiare titolo, il popolo di Dio».
Come i vescovi e i presbiteri, i diaconi sono abilitati per il servizio con il sacramento dell’ordine che procura loro la grazia per compiere il loro ministero, il carattere che li configura al Cristo in quanto servo, per la diaconia di tutto il popolo di Dio. Ciò che specifica il loro ministero in rapporto ai servizi o ministeri assunti dai laici è proprio la loro qualità di garanti dell’apostolicità della fede vissuta. È per questo che essi sono prescelti e destinati in virtù del carattere inerente al sacramento dell’ordine.
La configurazione al Cristo servo fa sì che, attraverso il loro ministero, i diaconi rappresentano sacramentalmente la diaconia di Cristo alla quale è chiamata tutta la Chiesa7. Secondo la bella formula del rituale d’ordinazione, i diaconi sono chiamati a compiere la loro funzione «con carità e semplicità di cuore, per aiutare i vescovi e i suoi sacerdoti e fare progredire il popolo cristiano»8. Lo fanno progredire nella scia di Cristo sulla strada del Regno essendo come i catalizzatori della diaconia di tutti, nel senso che non la creano, ma contribuiscono alla sua “accelerazione”! Essi conducono i battezzati a diventare un popolo di servitori ed essi ridanno a questo mondo il gusto del servizio. Svolgono un ruolo d’interfaccia, essendo “sulla soglia”, all’incrocio fra Chiesa e storia – fra la comunità e il suo ambiente.

7. Nella pastorale ordinaria o negli avamposti della missione
I diaconi esercitano il loro ministero in funzione delle necessità locali della missione a giudizio del vescovo diocesano. Operano nella pastorale ordinaria o negli avamposti della missione, «laddove lo richiede la sollecitudine pastorale»9. Il diaconato permanente è una realtà a più facce. Esso dimostra la ricchezza e le potenzialità di questo ministero “permanente” esercitato in diversi e molteplici luoghi d’inserimento. Molti s’impegnano, oltre il loro lavoro professionale, in servizi caritativi o umanitari che vanno dal sociale al medico passando per l’educazione e l’istruzione, in istituzioni pluralistiche o confessionali. Per gli uni l’impegno diaconale non è necessariamente determinato da un fine apostolico; la loro presenza si svolge dentro la vita di tutti i giorni, analogamente a quella dei preti-operai. Ma, a differenza di questi, i diaconi permanenti sono in tale ambiente o in tale istituzione fin dall’inizio. Per gli altri c’è, a seconda dei bisogni della Chiesa locale, un invio più formale in questi ambienti associativi, socio-culturali, caritativi o umanitari, magari nel loro ambiente professionale. La loro presenza non è di “puro nascondimento” né di “semplice immersione”. Spesso viene percepita positivamente dalle persone che li circondano. Vengono addirittura percepiti come dei ministri della Chiesa che, in forza dell’ordinazione, dicono in modo singolare la sollecitudine di Cristo nei loro ambienti rispettivi.
C’è infine l’impegno dei diaconi al servizio delle parrocchie, per esercitare incarichi ecclesiali. Questi non sono legati soltanto alla liturgia, ma anche all’annuncio della fede, all’azione catechetica e alla direzione pastorale delle comunità. Da questo punto di vista i diaconi esercitano oggi funzioni ecclesiali a seguito della diminuzione del numero dei sacerdoti, e in definitiva la loro visibilità si realizza soprattutto sul piano liturgico.
Oltre la diversità di inserimenti c’è anche una varietà di figure diaconali, che possono essere riassunte in tre figure tipiche. Ci sarebbero fra i diaconi dei “samaritani” più sensibili alle necessità del prossimo, “profeti” più sensibili alle sfide collettive o anche “pastori” che esercitano un ruolo d’animazione al servizio delle comunità10.
Secondo l’incarico (lat. munus) o la funzione (lat. officium) che è loro affidata o semplicemente nella loro inserzione professionale, i diaconi sono al servizio del raduno ecclesiale nel mentre si fa, dal momento che essi schiudono la Chiesa all’opera del Regno nella storia. La loro collaborazione comporta in questo senso una dimensione dinamica nell’accompagnamento del popolo di Dio, strada facendo.

Conclusione
I diaconi non sostituiscono i laici e neppure fanno loro concorrenza, ma pongono il loro impegno in Cristo e nel contempo li iscrivono nella sua diaconia per portare la storia al suo compimento. Non cessano d’essere dei battezzati, fratelli in mezzo ai loro fratelli e sorelle, ma, in virtù della loro ordinazione, sono stati stabiliti al servizio della fraternità ecclesiale e della sua missione, in nome di Cristo, con la sua autorità e nella potenza dello Spirito.
Il diaconato s’iscrive per questo fatto nell’apostolicità del ministero in comunione con il ministero di presidenza del vescovo e dei sacerdoti. Esso si articola con il ministero dei pastori essendo al loro servizio e al servizio delle comunità chiamate a entrare nella diaconia di Cristo e ad aprirsi all’azione del suo Spirito.
La figura cristica del servo si integra così in quella del pastore, contribuendo in questo modo a manifestare, nell’unità del ministero ordinato, l’indissociabile identità di Cristo, pastore e servo. Il diaconato s’iscrive nella ministerialità della Chiesa, nella sua diversità e nella sua complementarietà. Esso si articola con gli altri ministeri affidati a dei laici ed agli operatori pastorali per dare alla comunità ecclesiale il gusto del servizio.

 

NOTE
1 Y.M.-J. Congar, Ministeri e comunione ecclesiale, Dehoniane, Bologna 1973.
2 J. Doré – M. Vidal, Introduction générale. De nouvelles manières de faire vivre l’Église, in Des ministères pour l’Église, a cura di J. Doré & M. Vidal, Éd. du Cerf, Parigi 2001, p. 14.
3 Rimando al mio recente studio: A. Borras, Il diaconato permanente: questioni e prospettive, in «Rivista del Clero italiano» 98, 2017, pp. 86-103.
4 Si veda O. Cagny de, Le diacre dans la liturgie romaine: serviteur de l’évêque, serviteur du peuple chrétien, in «Communio», 26/2, 2001, pp. 53-63.
5 Cf CTI, Il diaconato. Evoluzione e prospettive, EV 21/940-1139, ad loc.; cap. IV, IV, 2.
6 Ivi, cap. VII, III, 4.
7 Cristo continua per mezzo della Chiesa la sua diaconia che non è altro che la sua kenosi per la salvezza del mondo (Fil 2,7-8; cf Mt 12,18; 20,28; Mc 10,45; Gn 10,17; 15,13-15; Atti 4,30; 1P 4,10).
8 È la seconda questione del dialogo d’impegno; cf Pontificale romano, L’Ordinazione del vescovo, dei presbiteri, dei diaconi; riti per un solo diacono n. 228; riti per parecchi diaconi, n. 200.
9 Secondo l’espressione della CTI, ad loc., cap. VI in fine.
10 Cf K. Depoortere, Typologie van het permanent diaconaat: een kleurenpalet, in Van der Vloet & R. Vandebroeck (ed.), Het permanent diaconaat op zoek naar zichzelf. 35 jaar diakens in Vlaanderen, Antwerpen, Halewijn 2006. Questo autore fiammingo riprende questa distinzione, ritoccandola leggermente, dal teologo austriaco P.M. Zulehner, Dienende Männer, anstifter zur Soldarität. Diakone in Westeuropa, Ostfildern, Schwabenverlag 2003.