N.05
Settembre/Ottobre 2017

Marco Mengoni

Parole in circolo

Siamo di fronte ad un artista che ha saputo raccogliere al tempo stesso il successo del pubblico e il plauso della critica; cosa che non accade facilmente davanti a un giovane proveniente da un talent show. Marco Mengoni, di fatti, con il trionfo a X-Factor ha saputo conquistarsi, nel corso degli anni, un grande successo. Dopo la vittoria al Festival di Sanremo 2013 e dopo altre prestigiose partecipazioni internazionali, il giovane cantante di Ronciglione il 4 dicembre 2015 ha fatto uscire per Sony Music Le cose che non ho, un album con undici brani inediti che completano la “playlist in divenire” nata con l’album multiplatino.
Realizzato tra Milano e Los Angeles e prodotto da Michele Canova, l’album prosegue il percorso artistico inaugurato con il successo di Guerriero e contiene Parole in circolo, un singolo pubblicato il 29 gennaio 2016.
L’autore ha curato l’album nel dettaglio: «Avrei tanto voluto fare architettura, industrial design. Ma invece il mio destino me l’ha impedito.
Oddio, mica mi lamento, ma siccome vengo da un istituto d’arte, penso che la contaminazione tra l’arte, la musica, il design e la grafica sia molto importante. Ecco perché anche in questo album ho pensato con attenzione a tutto: la grafica, le foto… Ogni cosa ha in sé un messaggio».
Il brano Parole in circolo ha dato il titolo a tutta la raccolta e rappresenta il vero e proprio manifesto di tutto il progetto e di questo momento artistico del cantautore.
E sono proprio le parole e la loro “messa in circolo” a caratterizzare questo nuovo e più maturo lavoro di Mengoni. Grazie anche a importanti collaborazioni, come quella con Fortunato Zampaglione, il cantante diventa un forte comunicatore. Le canzoni di questo nuovo album sembra vogliano entrare in contatto diretto con il pubblico, con l’ascoltatore, in un rapporto più intimo, umile. La presa di coscienza dei paradossi della vita e dell’amore non toglie la prontezza e la voglia di narrarli ancora, o meglio, di cantarli.
Il testo racconta l’attuale periodo storico italiano, attraverso gli occhi e le parole dell’autore. Una fotografia del nostro Paese e delle sue vicende.
Dal punto di vista sonoro, il ritmo è ascendente, quasi come se le parole cantate acquistassero maggior forza man mano che il brano avanza.
Dice Mengoni: «Parole in circolo è una canzone che parla di libertà e gesti che cambiano in meglio il mondo… Mandare dei messaggi è fondamentale per me. Sono vicino a chiunque abbia lottato per migliorare la nostra civiltà, persone inarrivabili come Martin Luther King o Gandhi. Questo disco è uscito in un momento storico delicato.
Sono contento di aver alzato gli occhi, di essere cresciuto e di aver parlato di amore».

Le parole
Se le parole sono come una materia nelle nostre mani, occorre stare molto attenti a ciò che diciamo e ai discorsi che ascoltiamo, perché ci possono trasformare profondamente anche senza che ce ne rendiamo conto. Una parola buona o una parola cattiva hanno effetti diversi nella nostra vita: come una può ferire, l’altra può risanare.
Ci sono parole che ci portiamo dietro fin da quando eravamo bambini, parole dolci oppure terribili, che quando sono state pronunciate, forse, non abbiamo neppure compreso pienamente, ma che ci hanno determinato nei giorni della vita.
Ci sono le parole della maturità, delle speranze e dei successi, ma anche quelle delle frustrazioni e delle aspettative deluse che negli anni ci hanno fatto ritrarre ed incupire.
Ci sono le parole pronunciate a voce alta e quelle appena sussurrate, ci sono i pensieri quasi senza parole e le parole vuote e quasi senza pensieri.
Ai nostri giorni siamo invasi dalle parole, dal rumore, dalle chiacchiere, al punto che l’inquinamento sonoro può ormai essere annoverato tra i problemi ecologici.
Nella società cacofonica in cui viviamo, la parola è diventata uno strumento obbligato per l’affermazione e la celebrazione di se stessi. Le nostre parole sono cioè spesso strumento di conquista e di seduzione, mezzi per permetterci di acquistare potere, successo, dominio sugli altri: parole aggressive e interessate, piegate a scopi inconfessati e inconfessabili, strumenti di manipolazione…
E quando la comunicazione si corrompe o si interrompe, l’alter diventa alienus, ed io a mia volta divento estraneo a me stesso, alienato.
Allora come riscoprire il valore della parola in un tempo stanco di parole? Come restituire ad essa il suo peso e la sua trasparenza, il suo vero “dire”, il suo senso?
Forse in queste domande sta una delle più grandi sfide dell’educazione di ogni tempo.

Parole dal silenzio
Una parola ha un tempo, un’attesa. Non disdegna una certa complicità con un silenzio che le dà forza e peso.
Il destino delle parole vere, dette o scritte che siano, è quello di mettere in viaggio chi le ascolta o le legge. Occorre ben disporsi verso di esse, lasciarsi tentare: accoglierle.
Ma perché fare silenzio, perché imparare il silenzio? Innanzitutto perché nel silenzio possono emergere energie che si traducono in un’attività intellettuale più feconda, capace di stimolare la nostra memoria e di aguzzare le nostre facoltà di ragionamento e d’immaginazione. Sì, nel silenzio diventiamo più ricettivi alle impressioni che ci arrivano dai nostri sensi, sappiamo meglio ascoltare, vedere, odorare, toccare, anche gustare.
C’è un’esperienza comune: quando si vuole fare o ricevere una carezza, diventa naturale restare in silenzio.
Lunghe ore di silenzio, ore in cui non si parla e non si ascoltano parole o suoni, ci rendono diversi, ci aiutano a guardare dentro di noi, a dimorare con noi stessi e, soprattutto, ad ascoltare ciò che ci abita in profondità.
Impariamo in questo modo quali sono le ragioni per cui parliamo, sappiamo cioè dire il perché delle nostre parole.
Grazie al silenzio impariamo a parlare, decidiamo quando e se vale la pena rompere il silenzio, dominiamo il modo e lo stile con cui ci rivolgiamo agli altri. Mediante il silenzio praticato come spazio di incontro di noi con noi stessi, possiamo vigilare affinché le nostre parole siano sempre fonte di dialogo e di conoscenza, di consolazione e di pace. Sono silenzi positivi, irrinunciabili, rispettosi della parola dell’altro; silenzi scelti nella consapevolezza che “c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”.
Diceva Fedor Dostoevskij: «Io sono un maestro nel parlare tacendo, per tutta la mia vita ho parlato in silenzio».
Ma accanto a questo silenzio vitale, vi sono silenzi negativi o addirittura mortiferi: silenzi che pesano, che rendono inquieti e spaventano, silenzi opprimenti, abissi di silenzio! Ancor peggio, esistono silenzi complici e pieni di viltà, silenzi che dovrebbero essere spezzati con forza, silenzi di ostilità che paralizzano la comunicazione, silenzi amari di solitudine sofferta.

 

Le parole: un’arma, un farmaco
Nessuna medicina è più potente di una parola di fiducia e di incoraggiamento per ridare speranza a una persona che l’ha persa. Ma ci sono tante parole inutili che suscitano pensieri inutili e preoccupazioni senza motivo, che però vengono continuamente ripetute finché sembrano imporsi all’attenzione. Si muore perché non ci sono le parole che aiutano ad andare avanti. O che aiutano anche solo a sopravvivere.
Così si smette di vivere. Così restiamo in balia delle frasi fatte, ci lasciamo trascinare dal sentito dire e ci lasciamo assalire dalle paure, smarrendo la capacità di giudicare.
Siamo noi a formare il nostro pensiero, lo facciamo libero o schiavo con le parole e i contenuti con cui lo nutriamo.
Normalmente non badiamo al peso delle nostre parole e dei nostri gesti e soprattutto non consideriamo l’effetto che possono avere anche quando non sono più nel circuito del nostro controllo.
Tutti abbiamo fatto l’esperienza di una parola che ci ha profondamente turbati, magari lasciandoci tristi per lunghi periodi, oppure di un gesto che, esprimendo una finezza di amore, ha dato luce nuova alla nostra giornata e qualche volta è riuscito a cambiare l’andamento della nostra vita.
Ma cosa dà efficacia ai gesti e alle parole? Soprattutto a quei gesti e a quelle parole che vanno a toccare le corde profonde della vita? Gesti delicati e attenti, parole dirette e semplici che sono capaci di far sorgere reali trasformazioni, che arrivano al cuore.
È capace di parole di questo genere chi ha vissuto e accolto le ferite della sua storia come passaggi che lo hanno portato ad essere quello che è; diventa perciò una persona autorevole: le sue parole e le sue azioni dicono un di più non discutibile, saldo, solito, che aiuta l’altro a stabilirsi, ritrovando l’orientamento.
Papa Francesco è un esempio semplice di quanto detto: riesce a sganciarsi dalla formalità e dal ruolo, consegnando sensi e significati profondi ai gesti e alle parole della quotidianità. È la sua coerenza che si esprime in una comunicazione comprensibile e coinvolgente.
Le sue parole sono credibili, offrono fiducia, simpatia, accorciano le distanze, proprio perché non ricercano approvazione e consenso, ma provengono dalla spontaneità, nutrita dall’interiorità. Le sue parole non solo si ascoltano: si vedono!
Parole così possono salvare. Possono ridare vita a una vita!

 

Mantieni i tuoi pensieri positivi,
perché i tuoi pensieri
diventano le tue parole.
Mantieni le tue parole positive,
perché le tue parole
diventano i tuoi comportamenti.
Mantieni i tuoi comportamenti
positivi,
perché i tuoi comportamenti
diventano le tue abitudini.
Mantieni le tue abitudini positive,
perché le tue abitudini
diventano i tuoi valori.
Mantieni i tuoi valori positivi,
perché i tuoi valori
diventano il tuo destino.
(Mahatma Gandhi)