N.05
Settembre/Ottobre 2017

Vittore Carpaccio

“Storie della Vergine” – Visitazione

La missione in un abbraccio

Testo biblico (Lc 1,39-56)
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

L’artista
Vittore Carpaccio nasce a Venezia nel 1465 circa; suo padre, Pietro, è un mercante di pelli. Mancano documenti relativi al luogo di origine, anche il suo cognome è incerto, è Scarpazza o Scarpazo. Carpaccio è l’italianizzazione della firma latina Carpathius che il pittore utilizza sui suoi quadri. Anche sul suo percorso di formazione artistica non abbiamo notizie certe. Dalla scarsa documentazione pervenutaci sappiamo che inizia la sua esperienza pittorica sotto Gentile Bellini, frequenta Lazzaro Bastiani e Giambellino, ha contatti con Antonello da Messina ed è certo abbia avuto diretta visione delle opere del Mantegna e di Piero della Francesca. È uno dei primi, insieme al Mantegna, a realizzare teleri, opere su tela che sostituisce il legno. Nel 1490 inizia un ciclo di teleri che narrano la storia di Sant’Orsola per conto dell’omonima piccola scuola, un’associazione con finalità di devozione e assistenza. Le opere commissionate dalla confraternita per decorare le sale, i luoghi di riunione e gli altari della scuola, illustrano la vita della santa attraverso episodi e vicende significativi. Venezia in questo periodo, i primi anni del Cinquecento, è al culmine della propria ricchezza: successi commerciali e militari portano la città ad essere una potenza culturale e artistica che vede tra i protagonisti anche il Carpaccio, definito “pittore di stato” da alcuni cronisti. Le sue opere sono una testimonianza della vita della Venezia di quel tempo. Il suo stile personale, unico, la fantasia con cui realizza i personaggi, la sua capacità espressiva nel tratteggiare le figure umane, fanno di Carpaccio uno tra i più moderni pittori rinascimentali. L’abilità nella prospettiva si aggiunge alla meticolosa, puntuale descrizione nei dettagli degli arredi e degli abiti, che richiamano la pittura fiamminga, oltre ad una particolare attenzione nella ricerca degli effetti di luce.
Tra le sue opere ricordiamo il ciclo dei teleri per la Scuola Grande di San Giovanni, sotto la direzione del Bellini, il Ciclo di San Giorgio, l’Annunciazione del ciclo della scuola degli Albanesi, le Due dame, il Ritratto di cavaliere, Sant’Agostino nello studio, San Gerolamo e il leone, La caccia in valle. La sua cultura artistica, il modo di narrare sapiente e abile, il comunicare ciò che vede, basato sulla positività dell’esperienza, che caratterizzano le sue vedute prospettiche di edifici e paesaggi, introducono e giungono fino al Canaletto. Carpaccio muore nel giugno del 1526 a Capodistria.

L’opera
Quest’opera fa parte di un ciclo dedicato alle “Storie della Vergine”1 a sua volta parte del ciclo della scuola degli Albanesi. Per posizionare i personaggi intorno a Maria ed Elisabetta, il Carpaccio trae ispirazione da un mosaico che si trova nella cappella dei Mascoli nella basilica di San Marco a Venezia. A sinistra troviamo Giuseppe, accanto un uomo con la barba, al centro Maria ed Elisabetta, a destra Zaccaria. L’opera narra l’incontro tra Maria ed Elisabetta. Dopo aver ricevuto l’annuncio dall’angelo, come riporta l’evangelista Luca, Maria si reca con molta fretta a visitare sua cugina Elisabetta forse per avere conferma di ciò che le ha detto l’angelo; per noi il volto di Maria esprime il desiderio di annunciare il figlio Gesù che porta in grembo e lo manifesta in un abbraccio gioioso. La visitazione è un evento che non riguarda solo la storia di queste due donne. In questa sua opera Carpaccio ha voluto rappresentare un “microcosmo”, arricchendolo di personaggi e dettagli, riportando anche il paesaggio, l’architettura, la vegetazione della terra veneta del suo tempo. Colpisce la meticolosità del Carpaccio. L’opera, dai colori vivaci e brillanti, è ambientata in un’ampia spianata, in uno spazio profondo che, nella prospettiva, ci restituisce la bellezza della natura e l’eleganza degli edifici. Nel dipinto troviamo degli animali i cui significati simbolici si riferiscono alla vita di Maria di Nazaret.

Maria ed Elisabetta
Maria ed Elisabetta, in primo piano al centro del quadro, sono strette in un tenero abbraccio che le unisce. Non ci sono più la giovane Maria e l’anziana Elisabetta, le vesti si congiungono, le braccia s’intrecciano, gli sguardi si cercano con infinita tenerezza, i loro desideri e i cuori si fondono. Emoziona l’intensità e la straordinaria dolcezza dello sguardo delle due donne. Elisabetta comprende ciò che sta accadendo a Maria, sanno di essere protagoniste di una storia più grande di loro.
Maria ed Elisabetta si incontrano e si riconoscono; i loro bambini nel grembo sussultano di gioia, si salutano “danzando” e questo, per le madri, è un segno che anticipa il loro incontro. Come può questa gioia non trasmettersi? Maria sembra danzare con sua cugina; anche loro, come Giovanni e Gesù, si incontrano per la prima volta.
L’abbraccio e la danza raccontano un incontro, un momento unico per tutta l’umanità, che culmina in un bacio. Bacio che da sempre esprime intimità, affetto, amore.

Giuseppe e l’uomo accanto a lui
Nella sua opera Carpaccio ha voluto privilegiare le figure di Giuseppe e Zaccaria, per renderli testimoni delle meraviglie che Dio compie nella vita e nella storia delle rispettive mogli: Maria ed Elisabetta.
Nell’iconografia tradizionale si usa rappresentare un Giuseppe dubbioso, assillato dalla sfiducia verso Maria, lo si ritrae anziano. A noi non piace pensarlo così perché l’irruzione dello Spirito Santo nella loro vita di coppia è avvenuta dopo il fidanzamento ed è innaturale mettere a fianco di una fanciulla un vecchio; forse la tradizione ci ha trasmesso un Giuseppe anziano per salvaguardare la verginità di Maria.
Ci piace, invece, individuare Giuseppe nel giovane in piedi a fianco del vecchio, dubbioso e assorto, seduto su un tronco che allude al virgulto di Jesse. Il giovane è vestito con una tunica rossa, segno del suo amore e della carità verso Maria. La sua mano sinistra, alzata in senso di resa, sta a significare che ha accolto la volontà di Dio su Maria, accetta il progetto di vita scelto per loro e cerca di rasserenare il vecchio seduto che non comprende quell’abbraccio, quel tripudio di gioia.

Zaccaria e l’uomo alla destra
Zaccaria, il marito di Elisabetta, era avanti negli anni, come la moglie. Qui viene raffigurato con un bastone in mano2, segno di longevità. Zaccaria dialoga con un uomo rappresentato di spalle, osserva la scena con lo sguardo sereno di chi sa di poter solo accettare, senza capire. La sua incredulità, il suo voler comprendere, lo avevano portato all’impossibilità di parlare. Ora qui si sente quasi fuori posto, le due donne davanti a lui sono protagoniste di qualcosa di più grande di loro. Zaccaria osserva e, pur tenendosi in disparte, comprende di assistere a qualcosa di indicibile e di incredibile: ciò che sta accadendo, l’incontro a cui sta assistendo, fa parte di un disegno di Dio che riguarda anche suo figlio.

La gente
È tipico del Carpaccio mettere in scena, nelle sue opere, molti personaggi. In questa tela alcuni sono attenti a ciò che accade, altri sono indifferenti: sono sotto il loggiato o nell’edificio sullo sfondo, affacciati ai balconi, con i tappeti riccamente variopinti sulle balaustre; oppure vanno per la via con i cavalli, abbigliati all’orientale con i turbanti tipici. Di solito, nelle raffigurazioni artistiche della visitazione, il numero dei personaggi è limitato, da due a tre. Qui invece il Carpaccio ha voluto privilegiare un “microcosmo” come per dire che quell’evento non è limitato a Maria e a sua cugina Elisabetta, ma è per tutti e riguarda tutti: il canto del Magnificat di Maria è il canto di un intero popolo, dell’intera umanità.

Il paesaggio e l’architettura
Il paesaggio circostante riproduce la campagna veneta con le sue dolci colline, ma è presente anche un carattere esotico, rappresentato dai palmizi. Il Carpaccio ha saputo unire con genialità due ambientazioni, quella del suo tempo e quella del tempo di Gesù. La visitazione avviene all’interno di uno spiazzo verde di una città fortificata con i bastioni, le mura, la torre, come ancora possiamo riconoscere nelle cittadine del Veneto, con gli edifici arricchiti di dettagli.

Gli animali
Nelle tele del Carpaccio vi è la presenza di una varietà di animali dal significato simbolico. In questo dipinto troviamo: il coniglio bianco che simboleggia la verginità di Maria e la sua maternità; il pappagallo rosso che rimanda al mistero dell’incarnazione di Gesù, elemento centrale dell’episodio della Visitazione (quando l’arcangelo Gabriele annuncia a Maria l’incarnazione di Cristo e la Redenzione, la saluta pronunciando Kairè, in latino Ave, il contrario di Eva); il cervo è simbolo di Cristo, nell’iconografia cristiana indica la sete del credente, come recita il Salmo 42: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua così l’anima mia anela a te, Dio».

Approccio vocazionale

Il magnificat del chiamato
Maria di Nazaret ed Elisabetta, due donne che portano nel cuore un segreto difficile da comunicare, il segreto più intimo e profondo che una donna possa sperimentare: l’attesa di un figlio. Elisabetta fatica a dirlo a causa dell’età e per la sua sterilità, Maria perché non può dire a nessuno ciò che le ha rivelato l’angelo. Se Elisabetta ha vissuto nascosta per mesi nella solitudine, ancor più grande è la solitudine di Maria.
Forse per questo parte in “fretta”; ha bisogno di trovarsi con qualcuno che capisca e sa che solo nella cugina può trovare rispondenza e aiuto. La “fretta” non si riferisce al tempo, ma al suo stato d’animo Maria si mette in cammino, forse per verificare il segno indicato dall’angelo, o ancor più, perché ha compreso che l’amore che si riceve si trasforma in servizio e nel servizio si rende presente.
«Il vero viaggio che ci salva non è intorno a noi stessi, ma verso l’alterità perché il rapporto con l’altro è sempre la possibilità di una relazione che ci apre il cuore»3. Maria ha bisogno di esternare a qualcuno ciò che vive nel suo cuore e nell’incontro con Elisabetta si sente accolta, compresa, amata… è un viaggio interiore che la rende capace di cantare e lodare Dio.
È la bellezza dell’incontro che permette a Maria di cantare “il Magnificat”4, che fa pensare a Maria come alla donna del canto della speranza, perché il suo cuore è pieno di gioia e di futuro, la storia esulta per bocca di Maria. Da dove nasce questo canto? Ha la sua sorgente nella meraviglia, nello stupore, è come se dicesse: «Ha fatto di me cose meravigliose, ha fatto dei miei giorni un tempo di stupore, della mia vita un luogo di prodigi». Il canto di Maria nasce da un’esperienza felice: ha compreso chi è Dio. Ed ecco che dallo stupore nascono la gratitudine, la meraviglia, la lode, il canto. Maria ripete per ben dieci volte: è Lui che ha guardato, è Lui che solleva, è Lui che colma di beni, è Lui che innalza, è Lui che ricorda.
Il Magnificat pone al centro della fede quello che Dio fa per noi, non quello che facciamo noi per Dio. Al cuore del rapporto con Dio non c’è la nostra azione, ma l’azione di Dio. Il canto del Magnificat non si fonda sul dovere ma sul dono, e nella vita tutto è dono. Non dobbiamo avere la presunzione di nulla perché tutto quello che siamo e abbiamo non è nostro, viene da Dio. Tutto ci può essere tolto da un momento all’altro e questa consapevolezza dovrebbe farci crescere nell’amore, nella gratuità.
«Grandi cose ha fatto in me l’onnipotente» (Lc 1,49). Non sono solo parole di Maria, ma è il canto di ogni chiamato che si scopre nell’esperienza di sentirsi amato. Il Magnificat è l’esperienza di un popolo, è un’esperienza comunitaria. Il Carpaccio ha colto bene tutto questo. La visitazione non riguarda solo i protagonisti del quadro, è tutta la creazione che gioisce, partecipa all’incontro e al canto, persino gli animali, la natura con i suoi colori.
L’incontro e l’esperienza con Dio riescono a liberare il cuore, a ricordare tutto ciò che ha compiuto, è il far memoria delle sue opere nella nostra storia. Come possiamo cantare il nostro Magnificat? Con quali parole, fatti, possiamo esprimerlo? Quali sono, nella nostra vita, le grandi opere di Dio che ci fanno “magnificare” il Signore?
Ripercorrere la propria storia, pensare a ciò che si è ricevuto, all’amore di Dio, all’altro, agli incontri che ci hanno riempito di gioia: è l’incontro, la chiamata, è il bisogno che noi abbiamo che Dio ci visiti e ci dia la gioia di sentire danzare dentro di noi la vita.
«Quando Dio tocca il cuore di un giovane, di una giovane, questi diventano capaci di azioni veramente grandiose. Le “grandi cose” che l’Onnipotente ha fatto nell’esistenza di Maria ci parlano anche del nostro viaggio nella vita, che non è un vagabondare senza senso, ma un pellegrinaggio che, pur con tutte le sue incertezze e sofferenze, può trovare in Dio la sua pienezza (…). Quando il Signore ci chiama, non si ferma a ciò che siamo o a ciò che abbiamo fatto. Al contrario, nel momento in cui ci chiama, Egli sta guardando tutto quello che potremmo fare, tutto l’amore che siamo capaci di sprigionare. Come la giovane Maria, potete far sì che la vostra vita diventi strumento per migliorare il mondo. Gesù vi chiama a lasciare la vostra impronta nella vita, un’impronta che segni la storia, la vostra storia e la storia di tanti»5.
È illuminante, per un giovane in ricerca, ciò che afferma Papa Francesco. Nel momento in cui Dio chiama scommette, investite sulla persona, perché Dio ha sempre uno sguardo positivo su ognuno di noi, riesce a vedere tutto il bene e l’amore che può espandere e diffondere. È questo sguardo di Dio che ci dà la capacità di amare. Dio non tiene conto di ciò che hai fatto, del tuo presente, ma di ciò che farai insieme con Lui. Questo è il segreto di una vita felice, quando ti senti incoraggiato a dare il massimo di te e strumento per rendere il mondo migliore, per trasformare la tua esistenza e quella delle persone che incontrerai sul cammino della vita. La consapevolezza di ciò che si può essere ci fa sentire in tutta la nostra unicità e irripetibilità per sviluppare le grandi cose: rispondere alla chiamata di Dio è poter narrare agli altri ciò che Dio ha operato nella nostra storia personale e la chiamata è la missione a portare Gesù, proprio come Maria.

Preghiera
Maria, insegnaci a uscire
di tutta fretta per portare Gesù
a chiunque ci incontra
come hai fatto tu
con tua cugina Elisabetta.
Maria, aiuta ogni giovane
a gioire della vita
e a saper narrare
le grandi opere di Dio
e così cantare
il proprio “Magnificat”.
Maria, aiutaci a esprimere
tutto l’amore di cui siamo capaci
per essere strumenti dell’amore di Dio
nel mondo e così rispondere
alla chiamata del Signore.

NOTE
1 Si è molto dibattuto sulla qualità delle sei tele con le “storie della Vergine”, tre delle quali – Annunciazione, Visitazione e Morte della Vergine – conservate presso la Galleria Franchetti alla Ca’ D’Oro, mentre la Pinacoteca di Brera accoglie la Presentazione al tempio e il Miracolo della Verga fiorita e l’Accademia Carrara di Bergamo la restante Natività.
2 Luca presenta Zaccaria come sacerdote di Abia appartenente ad una famiglia sacerdotale. Essere Levita costituiva un grande privilegio, significava essere discendenti di Aronne, l’uomo il cui bastone Dio aveva fatto fiorire a differenza di quelli delle altre Tribù (Nm 17,16-23).
3 T. Mendonça, L’amicizia un cammino per la pace, Credere, 21 maggio 2017.
4 La Chiesa ripete questo canto ogni sera per far memoria di tutto ciò che ha compiuto in Maria e in ognuno di noi.
5 Messaggio del Santo Padre Francesco alla Giornata mondiale della gioventù 2017: «Grandi cose ha fatto in me l’onnipotente» (Lc 1,49). È un invito a leggere e meditare questo messaggio.

Vittore Carpaccio
Storie della Vergine (Ciclo della Scuola degli Albanesi) – Visitazione
1505 – 1507 circa, olio su tela, 128 x 137 cm, Venezia, Museo Correr