N.01
Gennaio/Febbraio 2018

Duccio di Boninsegna. Ultima cena

Testo biblico (Gv 13, 21-29)

Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». 22I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri.

Artista

 Duccio di Boninsegna, vissuto tra il 1255 e il 1319 circa, è stato il primo protagonista della stagione artistica di Siena che, nel trecento, fu tra i centri più importanti dell’arte europea, roccaforte del gotico in Italia. Numerose opere documentano l’attività di Duccio. Nel 1285 gli viene commissionata una tavola magna per Santa Maria Novella a Firenze, nota come la “Madonna Rucellai”, ma è con la Maestà per il duomo di Siena che il pittore raggiunge il culmine della sua arte.

Il 9 ottobre 1308 avviene la stipula del contratto fra Duccio e il responsabile del Duomo, Jacopo Marescotti; il 9 giugno 1311 la pala viene posta sull’altare maggiore del duomo di Siena. L’opera, nel tempo, ha subito alterazioni nella dimensione e nella forma; nella parte anteriore è raffigurata la “Madonna in trono col bambino angeli e santi”; nella parte posteriore, su tavole di piccolo formato, in 26 scene, è raffigurata la storia della passione di Cristo, compreso l’episodio dell’ultima cena.

La narrazione, basata sui quattro Evangeli, si svolge in una lettura che va dal basso verso l’alto e da sinistra a destra. Caratteristiche che testimoniano l’eccellente lavoro di Duccio sono la rappresentazione dello spazio, i riferimenti all’architettura del suo tempo, la scelta e la straordinaria tonalità dei colori. Con quest’opera la sua abilità tecnica vince ogni confronto se paragonata alle opere precedenti. Nell’ultima cena, in particolare, oltre all’espressione e all’eleganza dei personaggi, nella disposizione dello spazio riscontriamo un senso di profondità prospettica dovuta all’inclinazione delle travi del soffitto. Questa opera è anche il risultato della collaborazione tra la Chiesa, la politica e i cittadini di Siena.  Il linguaggio pittorico di Duccio trae ispirazione dall’arte del passato e dal nascente gotico, di cui è uno dei massimi interpreti, e influenzerà molti artisti tra i quali Simone Martini e Pietro e Ambrogio Lorenzetti.

Opera

Siamo nel cenacolo, durante l’ultima cena. Duccio ha inscenato l’attimo immediatamente successivo alla frase di Gesù «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Queste parole di Gesù stanno ancora penetrando nei cuori dei discepoli. Tra gli apostoli si crea un clima di tensione e di sospetto e Pietro, che è alla destra di Gesù, fa un cenno a Giovanni, il discepolo amato, affinché si informi su chi sia il traditore. Giovanni è appoggiato sul petto di Gesù, sente i battiti del suo cuore, conosce i suoi pensieri, ne percepisce lo stato d’animo. Gesù non dice chi lo tradirà, ma lo indica, ancora una volta, offrendogli un gesto d’amore: intinge il boccone. Gesù è colto nel momento in cui intinge il boccone nella scodella posta sulla tavola. Tutti i discepoli guardano a lui, in una circolarità di sguardi espressivi, intensi

Gesù

Gesù è al centro della tavola e indossa una tunica rossa e un mantello blu, simboli di regalità e umanità; attraverso i colori si allude al mistero di Gesù, vero Dio e vero uomo. Duccio vede interiormente questo volto, si sente coinvolto e ne raffigura i tratti con delicatezza e passione. Il volto di Gesù è quello di un giovane che appare disarmato, indifeso, ma contemporaneamente è intenso: è consapevole dell’ora che lo attende. Lo sguardo di Gesù sembra posarsi al di fuori della pala, come se non volesse identificare o far riconoscere il traditore, per questo sceglie di guardare un punto indefinito. I suoi occhi esprimono il travaglio, la sofferenza, ma anche la serenità con cui affronta questo momento. Il suo sguardo è mesto, pensieroso, cosciente di ciò che sta avvenendo, per questo dona un’altra possibilità a chi lo tradisce. Gesù in quella sera ha già compiuto gesti molto eloquenti, la lavanda dei piedi, lo spezzare del pane; ora compie un gesto che di solito passa inosservato, ma che qui diventa molto significativo: “intinge il boccone”. Un espediente che non è servito ai commensali per individuare il traditore, ma è un ulteriore gesto di amore verso colui che lo tradirà. È un atto straordinario di Gesù verso Giuda. Per gli ebrei, intingere il boccone e porlo alla persona era un gesto di squisita ospitalità e amicizia, di onore e riguardo verso l’ospite. Ora quel gesto assume un significato profondo, è un ultimo tentativo da parte di Gesù di donare la sua amicizia, il suo amore, nonostante il tradimento: è una provocazione d’amore. Il gesto di Gesù vince sul tradimento di Giuda. L’amore di Gesù per noi assume una dimensione infinita. Questo sguardo non può non interpellare l’osservatore dell’opera, quasi a dire: e tu vuoi fare della tua vita un dono.

Giovanni: il discepolo amato

A fianco di Gesù, alla sua sinistra, ecco l’apostolo Giovanni – il discepolo che Gesù amava – facilmente riconoscibile perché è chinato sul petto di Gesù. È figlio di Zebedeo, fratello di Giacomo, il suo nome significa “Dio ha fatto grazia”. Ed è proprio ciò che sta vivendo in questo momento. Guardate l’infinita tenerezza di Giovanni col capo posato sul petto dell’amico, le braccia che sostengono il volto, è in ascolto di Gesù.  La sua persona pare fondersi con quella del maestro anche nel colore delle vesti. Tutti gli apostoli guardano Gesù, Giovanni invece ha gli occhi chiusi, il discepolo amato contempla con gli occhi del cuore; gli innamorati, nell’intimità, chiudono gli occhi, non c’è bisogno di vedere… è il linguaggio dell’amore. Giovanni è il più giovane del gruppo, il suo volto esprime dolcezza, tenerezza e la libertà di lasciarsi amare, propria di chi è giovane. Quante emozioni palpitano nel suo cuore in questo momento! Duccio non ha dato identità chiara a tutti gli apostoli nell’ultima cena. Cerchiamo pertanto di dare noi un nome ad alcuni personaggi e a ripercorrere il loro vissuto, le loro storie. Quella sera, intorno a quella tavola, un gruppo di amici vive un momento drammatico tra ricordi, esperienze e tradimenti. Credo che sia importante conoscerli perché è da loro che è giunto a noi l’annuncio della fede.

Pietro

Simone, è il nome che aveva prima di incontrare Gesù, riceve il nome aramaico di Kepa: “roccia “, da cui Pietro. Pietro e suo fratello sono originari di Betsaida. Pietro è raffigurato alla destra di Gesù e lo guarda attentamente. Sta cercando di capire ciò che sta succedendo, anche se fa molta fatica. Appare preoccupato, ha da poco fatto cenno a Giovanni di chiedere a Gesù chi è il traditore. Ci sono troppe cose che gli sfuggono e invece vorrebbe rendersi conto di tutto e, in particolare, di ciò che sta facendo Gesù. La mano destra di Pietro dice però una resa, lui sempre molto reattivo e istintivo, questa volta sembra essere più tranquillo, si lascia andare, lui che è capace di slanci di generosità, di accesi contrasti, di fughe e tradimenti.

Giacomo il minore

Giacomo figlio di Cleofa, fratello di Joses e di Giuda è detto minore per distinguerlo da Giacomo il maggiore, fratello di Giovanni. È originario di Nazaret e viene definito come il “fratello del Signore”, “il cugino” secondo l’interpretazione del termine ebraico. Non sappiamo se era nell’intenzione di Duccio rappresentare apostolo molto rassomigliante a Gesù. Ha usato lo stesso modello di volto che emerge in tutta la sua dolcezza e delicatezza, ma nasconde un velo di preoccupazione, come se già presagisse tutto il dramma che accadrà a Gesù. Ha infatti ha in mano il calice, simbolo della passione.  Allora la rassomiglianza tra Giacomo e Gesù non è solo un’affinità fisica, Giacomo si immedesima in Gesù, partecipa alla sua angoscia, al dolore di quel momento.    

Giuda l’iscariota

Giuda è detto l’Iscariota,  questo soprannome si riferisce alla sua vicinanza al gruppo degli zeloti, all’ala più intollerante e violenta. Giuda è l’apostolo che tradisce Gesù. Se fate caso, Giuda ha davanti a sé il discepolo amato; l’atteggiamento del discepolo amato che ascolta la parola di Gesù si contrappone al traditore che non si ravvede dal suo proposito di tradire Gesù e non ascolta  la sua parola.

Questa contrapposizione mette in evidenza come il discepolo amato sia una persona libera, mentre il traditore è schiavo del male. Per questo lo raffigura vestito di scuro con la barba e i capelli incolti. Gesù, malgrado tutto, si appresta a donare a Giuda un ulteriore gesto d’amore.

La tavola

I resti di cibo, pronti per essere condivisi e consumati, sono la testimonianza di una cena improvvisamente interrotta proprio a motivo dell’annuncio, da parte di Gesù, del tradimento di Giuda. Sulla tavola spunta un cibo insolito per una cena ebraica, un maialino da latte, piatto diffuso nel periodo medievale, in cui fu realizzato il dipinto, ma non certo nella Palestina dei tempi di Cristo, dove non era concesso mangiarlo.    Duccio dà un’interpretazione tutta particolare del menù dell’ultima cena.

Approccio vocazionale

  Come il discepolo amato “con i fatti e nella verità”

Giovanni, l’autore del quarto Evangelo, è vero personaggio della storia, senza dubbio una figura affascinante. In lui vediamo e riconosciamo l’immagine del credente che nell’incontro con il Signore, trova la propria identità, che lo rende unico e diverso dagli altri. Chi ama ritrova il proprio volto, la personalità, perché si sente amato, perché nella scoperta dell’amore di Dio in Gesù, giunge alla conoscenza di un amore prima sconosciuto. L’amore che Gesù ha manifestato in tutta la sua vita si mostra, si avvera apertamente e raggiunge l’espressione più alta, il vertice nell’ultima cena, dove compie un gesto d’amore profondo verso il discepolo che lo ha tradito e dove, insieme alla figura del discepolo amato, nasce la nostra fede. Nel Vangelo Giovanni non viene nominato direttamente ma descritto come “il discepolo che Gesù amava”; viene rivelato e descritto attraverso un legame, un rapporto: l’essere amato da Gesù. Quando mettiamo al centro dell’esistenza l’amore verso Dio e il prossimo, non possiamo non tener conto di essere amati da Gesù, del suo modo di amare, della sua intimità, della fiducia.

I nostri amori, spesso effimeri e finiti, non sono nulla dinanzi alla pienezza dell’amore di Dio, un amore che va oltre, che è dedizione totale e dono supremo di sé. L’amore di Dio è infinito, nessun amore è più grande del suo, Dio non guarda alle nostre qualità, alla capacità, alle nostre debolezze, per lui ognuno di noi è “unico e irripetibile”, ognuno di noi è “il discepolo amato”. Dio ama tutti noi da sempre, prima ancora della nostra esistenza terrena. Accogliere questa libertà di lasciarsi amare è fare l’esperienza del discepolo amato

Riportiamo il significativo Messaggio della prima Giornata mondiale dei Poveri, in cui Papa Francesco richiama alla “serietà” di Giovanni, il discepolo amato:

«Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3,18). Queste parole dell’apostolo Giovanni esprimono un imperativo da cui nessun cristiano può prescindere. La serietà con cui il “discepolo amato” trasmette fino ai nostri giorni il comando di Gesù è resa ancora più accentuata per l’opposizione che rileva tra le parole vuote che spesso sono sulla nostra bocca e i fatti concreti con i quali siamo invece chiamati a misurarci. L’amore non ammette alibi: chi intende amare come Gesù ha amato, deve fare proprio il suo esempio; soprattutto quando si è chiamati ad amare i poveri. Il modo di amare del Figlio di Dio, d’altronde, è ben conosciuto, e Giovanni lo ricorda a chiare lettere. Esso si fonda su due colonne portanti: Dio ha amato per primo (cfr 1 Gv 4,10.19); e ha amato dando tutto sé stesso, anche la propria vita (cfr 1 Gv 3,16). Un tale amore non può rimanere senza risposta. Pur essendo donato in maniera unilaterale, senza richiedere cioè nulla in cambio, esso tuttavia accende talmente il cuore che chiunque si sente portato a ricambiarlo nonostante i propri limiti e peccati. E questo è possibile se la grazia di Dio, la sua carità misericordiosa viene accolta, per quanto possibile, nel nostro cuore, così da muovere la nostra volontà e anche i nostri affetti all’amore per Dio stesso e per il prossimo.

Nell’ultima cena è svelata l’identità più profonda del discepolo amato,  soprattutto il suo cuore. Per rimanere nel Signore, nel suo amore, è necessario passare attraverso la Parola e il pane dell’Eucaristia, e accogliere il povero, il prossimo. È la parola che fa sperimentare l’intimità, l’amore di Dio che ha conosciuto e vissuto il discepolo amato; la Parola è Dio che dichiara il suo amore e il pane dell’Eucaristia è il cibo che dà la forza di sperimentarlo, di renderlo concreto nella  vita, nei fatti e nell’amore per il povero, l’unico che permette e misura la prossimità con Lui. La Parola, il Pane, e l’amore per i poveri permettono, oggi, a noi di entrare nell’atteggiamento del discepolo amato, per partecipare di quell’intimità che Gesù ha con il Padre. Chinati anche noi sul petto di Gesù sapremo cogliere i segreti del suo cuore.

 Preghiera

Signore

Giovanni il più giovane

del gruppo dei tuoi apostoli

ha saputo comprendere

la bellezza del tuo amore

dal battito del tuo cuore

ecco perché è

il “discepolo amato”.

Signore

ora sono io il discepolo amato

che riposa sul tuo cuore

fa che io possa sentire i battiti

per vivere in sintonia con te

perché alle mie parole

possano seguire gesti concreti di amore

così da sentirmi amato da te

che ami sempre per primo

che doni tutto te stesso.

Duccio di Boninsegna – Ultima cena  Pala della Maestà

Siena Museo del duomo

1308-1311