N.01
Gennaio/Febbraio 2018

L’arte di custodire il cuore

L’itinerario della fede di un giovane verso la maturità, verso il discernimento della propria vocazione umana, implica come primo e fondamentale passo la rivisitazione del proprio inizio: l’evento della nascita rinnovato attraverso la libertà della fede che consente alla Promessa deposta in ogni nascita di un figlio d’uomo. La ricchezza promissoria dell’inizio della vita, riproposta attraverso l’itinerario della libertà che si cerca e si riceve dall’incontro con l’umano di Gesù.Così, raccogliendo la provocazione del Documento preparatorio del Sinodo, possiamo cercare di ripercorrere le tappe della maturazione spirituale di una vocazione cristiana, raccogliendo anche la provocazione che giunge – attraverso i secoli – dal suggestivo percorso delineato da Filosseno di Mabbough nelle sue Omelie, in particolare nella Nona, che – appunto – descrive la rinuncia evangelica come evento spirituale della “terza nascita”. La prima nascita è per Filosseno quella dal grembo materno, la seconda dalle acque del battesimo, la terza è l’esperienza battesimale interiorizzata attraverso quel momento cruciale della libertà che aderisce in modo totale: la rinuncia, il vissuto base nell’arte della custodia del cuore.

L’evento sacramentale innesca un processo che in un’ora cruciale giunge al suo pieno frutto: la pasqua di Gesù si fa stile, forma della vita. La scansione della vita di fede su queste tre tappe, peraltro, ha origine e trova fondamento ben più radicale: nelle parole stesse di Gesù a Nicodemo, sulla nuova nascita (Gv 3,3). È illuminante perciò partire da quel dialogo, per comprendere tutta la pregnanza del discorso di Filosseno citato nel Documento preparatorio del Sinodo, che per sé in alcuni suoi passaggi rimarrebbe un po’ ellittico. Accenniamo sinteticamente passaggi su cui occorre lungamente meditare, perche sia configurato al vivo, per le giovani generazioni, un itinerario di discernimento, per niente scontato: ché anzi è alternativo alla cultura imperante del farsi da sé.

2. – Nascere e  rinascere

Gesù dice a Nicodemo, “maestro in Israele” e perciò dotto nelle cose di Dio,  al cercatore notturno delle tracce del Vivente (Gv 3,7): non si può essere credenti se non attraverso il “rinascere” dall’alto, di nuovo. È il battesimo, la seconda nascita, che dà pienezza alla Promessa racchiusa in ogni umano nascere. Ma il battesimo da evento puntuale – per la sua intima energia generante – si distende in un processo: nascere dall’alto, nascere al Soffio dello Spirito implica un cammino della libertà. Per questo, perché la storia connota intrinsecamente il consenso della libertà alla grazia, la vita di fede va di inizio in inizio: ebbene, la soglia della maturità rappresenta un momento sintetico di questo dinamismo.

E Gesù, con queste parole di avvio al dialogo con Nicodemo, inaugura la rivelazione della nuova umanità e dell’arte della vita nello Spirito. In nuce in questa parola del Signore è racchiuso il mistero della vita di fede: incessante meraviglia di nascita, tensione spirituale che sospinge la vita umana e, a partire dall'”Alto”, cioè dalla potenza dello Spirito che riempie la Parola, inaugura l’arte della scrittura di storie spirituali sempre inedite. E di ogni storia umana, la scelta fondamentale si pone come momento cruciale: “la terza”, nuova, nascita. Che significa?

“Nessuno può compiere i segni che tu compi se non è da Dio”, aveva esordito Nicodemo avvicinandosi a Gesù, con aria di intendersene. Ma Gesù, in risposta, trasforma il livello di quella affermazione altisonante e ne fa un principio della vita spirituale: per vedere il Regno di Dio, dice Gesù, occorre non certo sentenziare, ma nascere di nuovo.

Per intendere la lingua dei segni compiuti dal Signore, è indispensabile una conversione. Quel che deve mutare, sta addirittura alla radice della vita; occorre che, liberamente, dalla fede che incontra il Cristo venga posto un nuovo inizio. Soltanto a tale condizione sarà possibile vedere il regno di Dio, vedere dunque – oltre i segni – verso dove i segni indirizzano.

Si tratta di una nascita alternativa alla prima, all’inizio nativo, o non piuttosto della sua piena verità: di una nascita che riprende la prima nel suo nucleo più vitale e la porta a compimento? La tensione polare tra la nascita prima e il rinascere dall’alto – alla luce di Gv 3 – rivela una profonda, sostanziale continuità dell’esistenza umana, però sottoposta a passaggi critici, a paradossi innescati dal Vangelo. È proprio l’arte della vita spirituale: comporre il filo di fedeltà della Promessa originaria racchiusa in ogni nascita umana, la paradossale continuità: di nascita in nascita.

Nascere da acqua e Spirito è convertire il cuore di pietra in cuore di carne. Portare alla luce la verità nascosta della grazia della originaria plasmazione di un corpo “mio” (Sal 40,7-9), attraverso un cammino di libertà liberata dall’incontro con Gesù: “ho detto: ecco io vengo”.

Nascere dall’alto è dare valore all’essere creature nuove plasmate da Cristo, dalla sua umanità; è andare verso la luce per trasfigurare la propria vita in modo nuovo, per accogliere e consentire all’invito divino: “ecco faccio una cosa nuova” (Is 43,19).

La prima nascita della creatura umana, grumo di Promessa, è evento divino; è gravida di una verità spirituale, e dunque di una verità che può realizzarsi soltanto a condizione che essa sia conosciuta attraverso e oltre la carne, e ad essa quindi anche si consenta. Più intimamente, la verità spirituale della prima nascita ha la forma della promessa, e insieme porta in nuce il comandamento: “Vivi!” (Ez 16,6). Per riconoscere la promessa iscritta nella prima nascita, e dunque per conoscere la speranza da essa dischiusa; e per riconoscere, insieme, il cammino che intimato da tale nascita, e realizzare quel cammino, è indispensabile che intervenga una determinazione della libertà. Occorre ri-nascere.

In tal senso, occorre riconoscere che, mentre la prima nascita semplicemente accade, la seconda invece deve essere voluta con atto di suprema, sofferta libertà. Tutti noi nasciamo senza scegliere; non possiamo davvero vivere, però, se non a questa condizione: che ci apriamo alla gratuita Promessa deposta nell’inizio della nostra vita, attraverso l’atto della volontà che aderisce all’umano di Gesù, il Figlio.

Ebbene, per divenire capaci di questo volere è necessario un processo: che intervenga una decisione, una sorta di immersione nell’umano di Gesù; e una decisione che ha in ogni caso la forma della fede.

L’alto da cui nascere, a cui Gesù qui fa riferimento nella risposta a Nicodemo, è quell’alto costituito dalla parola di Dio, dal suo Verbo; una tale parola viene appunto dall’alto; viene più precisamente nella forma di una promessa di Dio. La promessa che nella prima nascita è solo iscritta, con tratto sottile, in nuce: solo la promessa infatti, colta e interiorizzata, può autorizzare il consenso libero, e quindi anche la corrispondenza pratica ad essa attraverso le forme dell’agire, che – appunto – obbediscono, si configurano alla promessa.

La nascita si rivela così non soltanto l’inizio della vita: è tratto costitutivo e permanente della esistenza umana; è il documento dell’origine, di quell’origine nei cui confronti il soggetto rimane da sempre in debito. La nascita è il momento nel quale con più evidenza, con più originaria evidenza, si mostra il debito del soggetto nei confronti della grazia dell’origine. È rivelativo in tal senso, è un simbolo, il bimbo appena nato che, ancora senza parola, pure subito cerca – volgendosi al seno materno – l’Alto, la sorgente della vita dalla quale la nascita lo ha traumaticamente staccato.

“Nascere”. È l’evento più sorprendente della storia singolare del vivente umano, tale da suscitare incondizionato stupore, che perfora ogni già saputo. Rivela la grazia che previene.

Il primo tratto della vita umana, per altro, la nascita corporea, per la persona umana – a differenza dell’animale – non conduce ancora alla meta; solo istituisce le condizioni perché diventi possibile un secondo cammino. Non solo possibile, ma addirittura necessario: il secondo cammino invece è quel che si deve fare; assume la forma di un compito, e di un compito che può essere assunto unicamente da un soggetto libero. Come rivela Gesù a Nicodemo: “Bisogna nascere di nuovo”.

La fede come nuova nascita, include nell’evento la libertà della fede che riconosce la grazia dell’inizio e liberamente vi consente. In tale consenso addirittura rinasce, novità assoluta, il mondo. Come dice il poeta: “è sempre pieno di promesse il nascere / sebbene sia straziante”.

Quante storie di nascita interrotte, nei personaggi che Gesù incontra e chiama alla vita. Dal giovane ricco, ai nove lebbrosi graziati, fino a Gerusaleme che Gesù, come una chioccia madre, ha desiderato radunare…

Lo stesso Nicodemo chiamato a nascere dall’alto, dovrà attendere fino all’ora della croce per comprendere nell’Innalzato, nel ricevere la consegna del suo corpo, che cosa sia nascere di nuovo.

3. – la nascita battesimale

Dall’infante alla nascita battesimale, al sacramento della morte e risurrezione – chiesto con libertà che si riceve – il passaggio non è mutuabile dalla sfera delle umane possibilità: “come il vento” (Gv 3,8) è evento indeducibile, irriducibile nuovo; che corrisponde al vedere il regno di Dio, la sua signoria generatrice.

Il sacramento è nuova nascita in quanto vissuto come incontro con l’incondizionata e generativa grazia, con l’amorosa auto rivelazione di Dio in Gesù innalzato sulla croce – donde nasce l’uomo come “cuore”. Passaggio decisivo, che la terza nascita non supera ma interiorizza e trasforma in forma corporea. Dalla vita che semplicemente accade, alla vita che assume liberamente forma. Interviene, anche qui, una sorta di  funzione generativa di chi accompagna (Gal 4,19). Al fine che Cristo – il monoghenès, l’unico generato – prenda forma nel mondo.

Possiamo qui solo accennare, rapidamente accennando al cuore della esperienza cristiana, ciò che Filosseno esplicita dettagliatamente nelle sue prime otto omelie. Seconda nascita, il sacramento del battesimo plasma la vita, pazientemente: dalla rappresentazione al vivo, nel simbolo, della morte e risurrezione di Gesù, fino a maturare la forma di Cristo nella singola persona.

Il rito evoca l’evento, l’esperienza (se siamo sensibili) attesta. Evento di libertà che viene plasmata, di una passività, evento di un’emersione libera. La fede è appunto questo: guardare Gesù, e conseguentemente guardare con lo sguardo di Gesù, come spiega la Lumen Fidei 18.

La seconda nascita, rispetto alla prima e in sostanziale continuità con essa, trae fuori la Promessa nascosta nella carne e nel sangue. La verità in attesa di consenso. Un filo di continuità, nello strazio di qualcosa che deve morire. Unità superiore dell’umano, attraverso quelle che Dietrich Bonhoeffer chiama “le stazioni della libertà”.

È necessario nascere di nuovo. Nella società complessa, invece, questa sorta di necessità, una tale coerenza, è sempre meno evidente, e ai giovani raramente viene insegnata. Ne deriva la conseguente difficoltà per il singolo di tenere insieme i diversi sistemi parziali di rapporto, nei quali si svolge quotidianamente  l’esistenza; che incoraggiano a rassegnarsi al vivere su scenari plurimi e irrelati; e anzi a passare dalla rassegnazione all’accomodamento. Invece di cimentarsi con il compito complesso di ricondurre il molteplice all’uno, il soggetto si arrende alla molteplicità; egli recita molte parti. Di recita si tratta, nel senso che lo schema soggettivo sotteso al suo agire appare ormai come una maschera, una rappresentazione, piuttosto che l’identità stessa della persona. Anche a questo riguardo il comportamento precoce dei minori appare illuminante. Essi oggi spesso recitano; troppo stimolati, e in direzioni troppo disparate, si difendono dalla dissociazione appunto soltanto recitando i loro comportamenti, mimando i testimonial del costume imperante, abdicando dunque al compito troppo impegnativo di maturare una forma alla vita, uno stile, la bellezza che sorge dallo stupore di un unico amore.

Questo comportamento giovanile soltanto mimico rispetto al costume imperante, che risparmia l’investimento della propria identità profonda e il cammino di libertà, è ulteriormente incoraggiato da un’altra circostanza: la sostituzione cioè del rapporto tra pari al rapporto tra le generazioni quale mezzo di apprendimento culturale. I codici del comportamento secondario, quelli cioè propri della socializzazione extrafamiliare, sono appresi oggi ormai soprattutto attraverso le relazioni tra coetanei; non passano più attraverso la persona dei genitori e degli adulti in genere: mancano accanto a loro testimoni credibili di umanità, della Promessa che li precede. Non esiste generalmente tra i giovani la figura del maestro spirituale.

La crescita mediante la trasmissione di generazione in generazione (cfr gal 4,19) è evento sempre più raro: evento facilmente rimosso nel suo significato originario dalla cultura imperante: quasi fosse irrilevante per l’identità della persona libera.

In realtà, ogni volta di nuovo il nascere umano è pieno di promessa. La prima identificazione avviene appunto – nella nascita umana, a differenza degli altri viventi – attraverso un accudimento, nelle relazioni fondamentali (testimoni dell’Origine attraverso il duplice registro: degli affetti e quello dei significati), che consente di “addomesticare” il mondo. Grazie a queste relazioni primarie il neo nato viene alla parola. Insieme alla cura le relazioni che portano avanti la “nascita” nella identificazione della persona, aiutano alla separazione, a quella differenziazione che consente il compimento della nascita nella libertà. Ebbene, proprio di questo si tratta nella seconda nascita.

La seconda nascita tuttavia, drammatica ma solo come avvio, inaugura la storia della libertà ma non conclude: se non nella terza nascita, – simbolo delle innumerevoli svolte della vita di fede –  in cui il discepolo testimonia corporalmente, con un suo inconfondibile stile di vita e una scelta fondamentale, nella storia in cui è immerso, la sua adesione a Gesù Cristo.

È una nascita integralmente drammatica, la terza: attraverso la rinuncia, la prova. Come scrive Filosseno: “Il mistero della nascita nel battesimo si è operato solo attraverso l’audizione della fede; si tratta nella terza nascita della volontà che abbandona effettivamente l’uomo vecchio morto nel battesimo e di sentire interiormente che lo lasciamo attraverso un lavoro spirituale, la fatica, l’esperienza concreta, la sofferenza delle lacrime, attraverso preghiere pure e invocazioni continue; attraverso l’ammirazione e la contemplazione della bellezza di Dio; per una rapida corsa dell’uomo nascosto nel cuore verso il Signore … cosicché la nascita battesimale non resti realtà estranea al nostro sentire” (IX, 267).

L’esigenza di armonizzare l’esperienza spirituale, il singolare percorso della libertà personale, alla novità gratuitamente operata dal battesimo, è strutturante un vero e proprio cammino di discernimento. Si riconduce al compito di maturare un proprio stile spirituale  e una scelta di vita che sintetizzi la propria somiglianza all’umano di Gesù. Filosseno (è un orientale, un persiano fattosi siriano!) insiste lungamente nell’argomentare la radicale incompatibilità tra questa nuova forma di vita e lo stile della mondanità. Non per nulla la madre di tutte le virtù per Filosseno è la semplicità – l’unificazione del cuore nella contemplazione dell’umano di Gesù.

Manca forse – nella testimonianza di questo padre dell’antichità – la considerazione della potenza plasmatrice della relazione con l’altro, nella configurazione del sentire nuovo conforme alla regola evangelica: la mediazione orizzontale non era considerata se non indirettamente, nella pedagogia antica. Oggi, siamo più acutamente consapevoli del passaggio di pedagogia: dall’altro inteso come distrazione, all’altro compreso come rivelazione.

Ignazio di Antiochia, padre molto anteriore che pure si muove nell’area del cristianesimo siriaco  vive il suo percorso verso Roma come attesa di questa nuova nascita: “allora nascerò uomo”, dice a proposito dell’atteso martirio Ai Romani, 7.2.

Al di là dei condizionamenti di una cultura oggi desueta (e Filosseno, in più, apparteneva a un’area del cristianesimo un poco defilata dal punto di vista dell’ortodossia nicena), i padri del monachesimo siriaco hanno ben individuato questa successione di nascite, di “venute al mondo”, che caratterizza il cammino della fede. Passaggio dalle evidenze sensibili all’evidenza della fede mediata dalla libertà. Già Efrem ha mirabilmente cantato la storia della libertà cristiana  negl’Inni. Come quando dice di sé, nell’esperienza di essere mosso dallo Spirito: “Poiché tu sei un’arpa, dotata di vita e di linguaggio, le tue corde e le tue parole possiedono la liberta” (Inni sulla fede, 25,1).

Filosseno di Mabbough (metropolita della chiesa monofisita di Ierapoli), autore siriaco del VI secolo, Filosseno, vescovo di Mabbug morto nel 523, è una delle figure più importanti e affascinanti della letteratura siriaca. Di origine persiana, si formò nella scuola teologica di Edessa, ebbe molti rapporti con i centri monastici siriaci e scrisse, tra l’altro, un piccolo trattato Sull’inabitazione dello Spirito santo nel cuore dei battezzati. Con audacia espressiva di linguaggio, giustificata dalla sua esprienza della fede, Filosseno chiama lo Spirito Santo “anima della nostra anima”.

Nella sua opera “Insegnamento sulle regole”, che è composta per i monaci ma riguarda la vita cristiana come tale nel suo processo di maturazione, ha una Omelia nella quale medita sulla esperienza della fede intesa in termini radicali: come nascita, anzi come processo di successive nascite tra loro correlate, in una dinamica di progressiva interiorizzazione del dono della vita divina. L’esperienza della fede è da Filosseno considerata nella triplice scansione: della venuta al mondo; della rinascita – nel battesimo -; della terza nascita – nella rinuncia evangelica.

Ebbene, nella fase ultima, che corrisponde alla maturità della fede, ciò che subisce significativo incremento è l’aspetto promissorio del nascere: a questa terza stazione di libertà, l’orizzonte si ridefinisce a contatto con l’umano di Gesù: ciò che della fede  è conosciuto – per il battesimo e la professione del simbolo – a livello puramente mentale, per il dinamismo spirituale innescato dal sacramento, scende al cuore:

“Nel battesimo è la grazia che ha operato le due cose: abbandonare l’uomo vecchio e rivestire il nuovo; ma noi non abbiamo percepito nulla. Il mistero si è operato in noi in quel momento solo attraverso l’ascolto della fede. Si tratta invece nella terza nascita di sperimentare, attraverso il travaglio della libertà, che lasciamo l’uomo vecchio, attraverso il dolore delle lacrime, attraverso la preghiera istante a Dio, attraverso l’ammirazione e la contemplazione della signoria di Dio sulla nostra vita; in un rapido correre dell’uomo nascosto nel cuore verso il Signore” (Om. IX,266-67).

Nella terza nascita il travaglio delle generazione incide nella carne della persona traccia decisiva, esperienziale: attraverso un taglio delle passioni, la rinuncia evangelica, nasce l’uomo nuovo, a immagine del “mite e umile di cuore” – l’umano rivelato in Gesù. Traccia che non definisce però un “esperimento”, una messa alla prova della forma di vita che si va scegliendo, bensì l’esperienza della relazione con la santità di Dio. La passività della prima nascita, la grazia della seconda, sono preludio e premessa per il coinvolgimento della libertà adulta, nella terza.

Ci introduciamo così, sulla scorta di questo padre siriaco citato nel Documento del Sinodo, alla considerazione di questa terza nascita, così decisiva nella maturazione di un giovane alla vita adulta e così significativa per tutte le scelte decisive della vita.

Della terza nascita, come risposta alla chiamata originaria, da Filosseno è sottolineata in modo molto forte l’esperienza della nudità. È il vissuto proprio di chi realmente, esperienzialmente, incontra e liberamente risponde alla grazia e, mosso dallo Spirito, si priva di tutto per raggiungere la radicalità della fede: riconoscersi totalmente nudo significa acconsentire a riceversi da Altri. La nascita è in questa terza fase il più puro esempio di evento: da fede a fede (Rm 1,17). Semplicemente, gratuitamente il nascere, libero consenso alla Donazione di Dio, si dà. Ha delle premesse – che però non lo spiegano. È irriducibile, è gratuito evento. In ordine al quale è solo richiesto di rimuovere gli ostacoli: la rinuncia, comunque essa si configuri in ordine alla decisione fondamentale. Rinuncia alla molteplicità delle voci e dei poteri, che impediscono di abbandonarsi alla promessa dell’Origine – fattasi visibile in Gesù.

A tutto questo processo bisogna introdurre il giovane che si dispone alla maturità della fede.

4. – Il lavoro del cuore

La terza nascita ha dunque un solo significato: far diventare esperienza personale ciò che il sacramento ha operato nella creatura umana. La nuova nascita. Due omelie vi sono dedicate nella raccolta di Filosseno. Dopo le due sulla fede, le due sulla semplicità, le due sul timore di Dio, una coppia di omelie (la nona e l’ottava) sono dedicate alla rinuncia. Una prima descrive semplicemente la necessità della rinuncia per servire Dio. Tutti i preamboli all’esperienza spirituale. Ma la nona omelia si addentra nel tema della rinuncia come nuova nascita. Gettato nel mondo, inizialmente l’uomo vive come vive il feto nel grembo materno: non vede, non respira, non si sviluppa – pur essendo vivo. Uscendo dal grembo del mondo attraverso la “vulva” costituita dalla rinuncia, finalmente si manifesta, si apre a vedere, a formarsi, a crescere fino alla misura umana piena, quella di Cristo. Ciò che nel battesimo era accaduto passivamente, si elabora in una soggettività libera, che prende e interiorizza il sentire di Cristo. Il sentimento spirituale viene plasmato. Una forma spirituale, delle proporzioni e armonie della vita si dispongono in relazione al rivelarsi di Dio nella propria vita.

L’immagine del mondo come “viscere” materne è pieno di risonanza simbolica. Esclude ogni idea gnostica, ogni spiritualismo di questa terza nascita e, stabilendo un progredire del processo vitale, ne delinea i contorni coerenti con un evento di nascita. Ciò che del cristiano avviene grazie al battesimo, la terza nascita lo compie a livello di stile spirituale: sentire nuovo, maturazione di un sapere spirituale, acquisizione di una misura, di uno stile, di una forma di vita.

Solo una volta che così l’uomo è nato i suoi organi possono percepire la realtà: gli occhi vedono, le orecchie odono il naso percepisce profumi, ecc.: egli nasce come uomo spirituale. Grazie allo Spirito santo passa dal buio del grembo all’esistenza. E attraverso il lavoro spirituale nasce l’uomo del cuore (1 Pt 3,4) che ha preso la misura di Cristo.

Ed è, questa terza nascita, paragonata da Filosseno all’uscita di Gesù nel deserto – dopo il battesimo – attraverso la quale lotta con lo spirito del male e si spoglia di tutto ciò che potrebbe essere una ricchezza, nella nudità di mezzi e poteri mondani e matura la propria “regola spirituale” che darà uno stile inconfondibile alla sua missione di annunciatore del Regno. È quella fase della maturazione dell’uomo spirituale che corrisponde alla espressione di una propria peculiare elaborazione della Parola dell’Origine: “Sappi che quando Gesù uscì nel deserto, uscì solo senza compagnia e senza aiuto, senza amici che si prendessero cura di lui, senza cose preziose né ricchezze, senza beni, senza vesti, senza ornamenti: niente – sta scritto – uscì con lui”

Stile di conformità all’umano di Gesù che è ben sintetizzato, secondo Filosseno, dalle parole evangeliche: “Venite a voi tutti che siete affaticati e portate fardelli pesanti, prendete il mio giogo e io vi darò sollievo” (cf Mt 11,28-30). Il giogo è la rinuncia, quella nudità generativa il cui simbolo eloquente è rappresentato dalla croce.

Prima di ogni cosa custodire il cuore perché da lì scaturisce la vita. Lotta, ascolto, lettura, sensi spirituali, risentimento. Le tribolazioni della soggettività: la meditatio come murmuratio. Dividi la tua anima. Vittoriosa è la lotta con armi impari, “in nomine Domini”. Attraversata la lotta, al sorgere – attraverso la discesa agli inferi -dello sguardo fanciullo (nascita come generazione a opera della libertà liberata), discernimento della via, configurazione di una forma, per una volontà che è generativa là dove realizza alla risposta della libertà liberata: il pieno abbandono.  Rinasciamo non solo in quanto rigenerati, ma anche in quanto rigeneranti, consentendo al dolore della gestazione e del parto, porta d’accesso ineliminabile alla gioia della nuova nascita. Volere la grazia dell’Origine. Il discepolo amato: lui, semplicemente rimane. Il martire: “allora veramente nascerò uomo” (Ignazio di Antiochia). Natale come Pasqua. Pasqua come Natale.