N.01
Gennaio/Febbraio 2018

Siate custodi dei doni di Dio!

Custodia. Subito vengono alla mente la borsa per la chitarra, la cover dello smartphone, la bustina dove mettere gli occhiali perché non si rovinino. Così custodire il cuore può introdurci l’idea della protezione e di vigilanza, perché non si rovini, non si macchi, non si sporchi come accade agli abiti o ai preziosi di alcune persone, che rischiano di passare tutta la vita dentro i loro armadi.

Il cuore dell’uomo, la sua identità più vera, non è una realtà statica perché ciò che è immobile poco ha a che fare con il Regno di Dio che ha l’energia del fermento, del germoglio (Is 43,19) della vita che cresce e della quale è necessario prendersi cura.

Prendersi cura del cuore è custodire la propria identità, ricevere la Parola che rende figli e acconsentire al movimento dello Spirito, imparare a danzare con lui, imparare a vedere il compiersi dell’opera del Padre nella propria vita personale e nella storia di tutti. Il discepolo amato ci conduce alla fonte: appoggiare l’orecchio sul petto di Gesù, entrare in intimità con il suo cuore, bagnarsi nel fiume del Battesimo e dei Sacramenti che attraverso il petto squarciato effondono la sua vita, perché anche la nostra ne sia piena (Gv 10,10).

Prendersi cura del cuore secondo l’arte del Giardiniere (Gv 20,15) è prestare ascolto alla terra, appassionarsi al terreno perché lo si possa preparare ad accogliere il seme (Mc 1,3) credere che «in certi ammassi dove l’odio, la cupidigia segnano il peccato, conosciamo un silenzio di deserto e [che] il nostro cuore possa raccogliersi perché Dio vi faccia squillare il suo nome: vox clamans in deserto» (M. Delbrêl, Noi delle strade). Il deserto è l’aridità della nostra vita e della nostra storia, il deserto che ci abita ed abita le nostre città, odi, solitudini, rancori, divisioni, invidie, rabbie, bramosie, aridità di ogni genere che non fatichiamo a riconoscere, nascono dal di dentro (Mc 7,21) di questa creazione che geme e soffre le doglie del parto. Noi tutti attendiamo, anche qui non certo alla maniera passiva del mondo, di ‘nascere per la terza volta’ (cf. Sinodo dei Vescovi, Documento preparatorio) custodiamo il frutto ricevuto nel Battesimo, tendiamo a prendercene cura perché nelle nostre persone possa crescere e svilupparsi la vita divina, fino alla sua pienezza (Ef 4,13).

«Abbiamo ascoltato nel Vangelo che Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé Maria, sua sposa. In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode […]. In lui, cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! […] È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore […] è l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia […] è il vivere con sincerità le amicizie […]. In fondo tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!» (Papa Francesco, Omelia per l’inizio del pontificato, 19 marzo 2013).