N.03
Maggio/ Giugno 2018

Il discepolo amato nella passione di Cristo

La terza tappa del nostro percorso sinodale focalizza la figura del «discepolo amato» nel «racconto della passione» (cf. Gv 18-19). Solo il quarto evangelista colloca la figura del «discepolo amato» in due contesti della passione: il cortile della casa di Caifa (Gv 18,15-18: «l’altro discepolo») e il Golgota presso la croce del Signore (Gv 19,25-37: «il discepolo che Gesù amava»). E’ importante evidenziare il collegamento tra i due episodi che vedono il «discepolo amato» insieme a Simon Pietro nel cortile del sommo sacerdote e successivamente, accanto a Maria, la madre addolorata presso la croce del Figlio. Considerando le due scene dal punto di vista dell’anonimo discepolo, possiamo cogliere il ruolo importante di testimone, presente al rinnegamento del capo degli apostoli e al dolore silenzioso della madre davanti a Gesù crocifisso. La rilettura biblico-teologica di due brani ci aiuta a comprendere come il «discernimento vocazionale» passa attraverso le fragilità e le ferite che contraddistingue la debolezza umana.

 

Il cortile del rinnegamento (Gv 18,15-18)

Al cortile della casa del sommo sacerdote si giunge dopo l’arresto di Gesù avvenuto nel giardino del Getsemani oltre il torrente Cedron (Gv 18,1-12). Gesù è condotto presso la casa del sommo sacerdote Anna (18,13-14). L’episodio che vede la presenza di Simon Pietro insieme all’altro «discepolo» (18,15-18) s’inserisce nella scena riguardante l’interrogatorio di Anna e il rinnegamento di Pietro (18,12-27)[1]. Ormai tutti i discepoli hanno abbandonato il maestro e sono fuggiti. Solo Simon Pietro, dopo aver inutilmente tentato di difendere Gesù (18,10-11), cerca di seguire il gruppo delle guardie per vedere dove verrà condotto. Il testo recita:

 

Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava (Gv 18,15-18).

 

L’evangelista collega la scena concitata del tentativo di Pietro che sfodera la spada per cercare di cambiare il corso degli eventi e fermare l’arresto di Gesù (Gv 18,10-11) con l’identificazione successiva da parte di un parente di Malco, la guardia del tempio che aveva subito l’amputazione dell’orecchio destro (cf. Gv 18,26). Il rimprovero di Gesù rivolto a Pietro ha lo scopo di chiarire la risoluta accettazione della volontà del Padre da parte di Cristo: «Rimetti la spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mio mi ha dato?» (18,11)[2]. Mentre tutti i discepoli fuggono, l’attenzione dell’evangelista si concentra su due figure che seguono il corteo con il prigioniero: Simon Pietro e dell’«altro discepolo» (18,15-18).

Le problematiche segnalate dai commentatori evidenziano la difficoltà di individuare l’identità del discepolo che accompagna Simon Pietro verso la casa di Anna e poi di Caifa[3]. L’intenzione primaria del narratore è di presentare la condizione di Gesù abbandonato dai suoi amici e rinnegato da Simon Pietro (cf. la predizione in 16,32). Il racconto presenta alcune incongruenze e fratture rispetto alla tradizione sinottica[4]. Si dà rilievo solo alla comparizione di Gesù davanti alle autorità giudaiche, connessa con il triplice rinnegamento di Pietro (18,19-27), mentre non vi è traccia del giudizio di «tutto il sinedrio». Si dice che in un primo momento Gesù viene condotto da Anna, presentato come suocero del sommo sacerdote Caifa che aveva predetto «la morte di un uomo solo a favore di tutto il popolo» (18,14). Solo il quarto evangelista rivela il particolare ruolo dell’altro discepolo che accompagna Simon Pietro: egli permette a Simone di entrare nel cortile di Anna «perché era conosciuto dal sommo sacerdote». Una volta entrato, Simon Pietro pronuncia il primo rinnegamento (18,17-18). Segue l’interrogatorio di Gesù da parte del sommo sacerdote (18,19-24) e solo in 18,25-27 l’evangelista descrive gli altri due rinnegamenti, che si concludono con il canto del gallo e il ricordo della predizione di Gesù (cf. 13,38). La scena dell’interrogatorio di Gesù spezza in due la sequenza del rinnegamento di Pietro e contribuisce a mostrare la contrapposizione tra la figura veritiera di Gesù e quella fallace di Simon Pietro. Nel primo rinnegamento Pietro sembra essere in compagnia del «discepolo amato», mentre nei seguenti due rinnegamenti, Pietro è ritratto in un’oscura solitudine. L’enfasi del termine «discepolo» (= mathetes ricorre otto volte in Gv 18) e la ripetizione del nome di Pietro (il nome ricorre nove volte in Gv 18) tematizzano lo smarrimento dell’identità del «primo discepolo», presentato fin dall’inizio del Vangelo con il cambiamento del nome (1,41-42).

Venuto meno Simon Pietro, «l’altro discepolo» rimane l’unico personaggio fedele alla passione di Cristo. Come nel corso della cena di addio il «discepolo amato» assume una funzione di mediazione nei riguardi di Simon Pietro (13,24-26), così nel racconto del rinnegamento la presenza del «discepolo» consente a Simone in qualche modo di essere partecipe della profezia anticipata da Gesù. Simone vive tutta la sua debolezza e incapacità di testimoniare con coraggio la sua amicizia per Cristo. Il «discepolo» anonimo menzionato dall’evangelista è osservatore silenzioso della drammatica fragilità e insieme della straordinaria fortezza, della negazione della verità e, allo stesso tempo, dell’affermazione di essa. In lui occorre vedere il testimone della passione di Cristo (19,35) e allo stesso tempo della sua «compassione» per il capo della Chiesa[5]. Sembra quasi che tale presenza voglia preparare il lettore allo sviluppo degli avvenimenti della crocifissione e morte del Signore. La domanda implicita che caratterizza gli episodi della passione è la seguente: «Da che parte si vuole stare? Dalla parte degli accusatori e del potere violento o da quella di Cristo?». La funzione del «discepolo anonimo» sembra evocare nel cortile del sommo sacerdote l’urgenza della scelta da parte del credente, ricordando che il «giudizio» del mondo implica una «venire alla luce» operando la verità (3,19-21) [6]. Nella solitudine di Gesù, abbandonato da suoi, maltrattato dalle guardie e giudicato con violenza e disprezzo (18,19-24), si staglia la figura silenziosa del discepolo che sta accanto al suo Signore e condivide la sua notte.

Uniti nella prova della croce (Gv 19,25-37)

 

La presenza del «discepolo amato» presso la croce di Gesù, insieme alla madre, è peculiare nel racconto giovanneo[7]. Dopo essere stato testimone del rinnegamento di Simon Pietro, solo nel Quarto Vangelo il «discepolo» è presentato ai piedi della croce, insieme alla madre. Manca Simon Pietro e mancano gli altri discepoli, a cui Gesù aveva offerto un esempio supremo nel segno della lavanda dei piedi (Gv 13,12). Non è più il Cenacolo né il giardino del Getsemani, ma la dura roccia del Golgota a segnare il contesto del dramma finale di Cristo. Considerando lo sviluppo della pericope di Gv 19,25-37 si possono individuare tre tappe così tematizzate: a) il dono della madre (vv. 25-27); b) Morire per un nuovo inizio (vv. 28-30); c) Dal cuore trafitto alla testimonianza (vv. 31-37).

 

  1. a) Il dono della madre (vv. 25-27)

 

Dopo aver presentato la crocifissione di Gesù, contrassegnata dalla polemica sull’iscrizione di Pilato (19,17-22), l’evangelista descrive la divisione delle vesti da parte dei soldati, ponendo l’accento sulla tunica inconsutile tirata a sorte (19,22-24; cf. Sal 22,19). Il valore simbolico della «tunica senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo» allude al motivo dell’unità della comunità ecclesiale, unitamente alla dimensione sacerdotale della morte di Cristo (cf. Es 28,4; Lv 16,4)[8]. Tale unità inizia con la figura della madre circondata dalle tre donne e dalla presenza intima del «discepolo amato». Gv 19,25-27 recita:

 

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

 

Unanimemente i commentatori collegano di 19,25-27 con l’episodio delle nozze di Cana (2,1-12) per via della ripetizione dei due termini-chiave che sono uniti solo in questi due contesti: la madre è chiamata da Gesù «donna» e il riferimento al tema dell’«ora» (cf. Gv 2,4; 19,26-27)[9]. L’evangelista riferisce in modo essenziale e commovente il dialogo di Gesù, che vede la madre e accanto a lì accanto «il discepolo che amava». La madre è nell’ora del Figlio, dopo aver implorato a Cana a favore di una coppia di sposi. La scena assume una valenza simbolica e rivelativa (cf. l’espressione: «ecco…») senza precedenti e va considerata come il compimento della promessa dell’amore di Dio per l’umanità. Siamo nel cuore del processi di discernimento spirituale, contrassegnato dal dolore profondo e silenzioso di Maria e di quanti la circondano. E’ il crocifisso a pronunciare le sue ultime volontà, che rivelano l’infinita tenerezza del Figlio verso la sua madre. Il momento della separazione diventa unione di sguardi e di vita. Il reciproco «ecco» rivolto prima alla madre e poi al discepolo amato è costituisce l’ultima chiamata a guardare e accettare una nuova missione: essere madre e figlio in profonda comunione di vita. Secondo l’interpretazione tradizionale, morendo sulla croce Gesù dichiara la maternità spirituale di Maria verso il «discepolo amato» e nella sua figura occorre intendere ogni credente. Nella tenerezza di questa relazione materna-filiale si realizza è la consegna finale di Gesù[10].

E’ il giovane amato da Cristo ad essere destinatario di questa consegna. Nella sua giovinezza egli diventa segno di un presente rinnovato e di un futuro da costruire. La solitudine del Figlio ora si trasforma in comunione di amore: il giovane è chiamato a prendere la madre con sé e a prendersi cura della nuova famiglia, che la tradizione ha individuato nella comunità ecclesiale. La separazione si traduce in un processo di unione, la morte diventa un passaggio a una nuova vita. Il «discepolo amato» sperimenta l’amore che supera il vuoto di ogni solitudine. L’amore si traduce in un abbraccio di speranza. «Da quell’ora egli la prese con sè» (19,27)[11]: l’espressione indica un nuovo inizio, una nuova chiamata che si origina dal dono di Gesù e si traduce in un impegno per tutta la vita[12]. Ogni credente si può identificare nel ruolo del «discepolo amato», prendendo coscienza di essere con Maria «nella Chiesa» e di vivere con gli altri credenti «come fratelli» (Gv 20,17).

 

  1. b) Morire per un nuovo inizio (vv. 28-30)

 

La seconda unità riguarda l’episodio della morte del crocifisso (vv. 28-30). Nel desiderio di bere per l’ultima volta (v. 28) si allude alla sofferenza del giusto evocata nel Sal 69,22 («Mi hanno messo veleno nel cibo e quando avevo sete mi hanno dato aceto»; cf. Sal 22,16). Gesù riceve l’aceto per condividere fino alla fine la sofferenza umana. La scena si chiude con la parola: «E’ compiuto» e con la descrizione dell’evangelista che afferma: «E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (19,30)[13]. L’inizio (Gv 1,1: archê) della sua missione che pone il Figlio rivolto verso il seno del Padre (Gv 1,18) ora vede la «fine» (Gv 13,1; télos; 19,30; tetélesthai), rivelando il «nuovo inizio» con il dono dello Spirito (cf. 16,28). Nell’atto di morire Gesù mostra il potere di dare la vita per i suoi (10,17-18). Il «discepolo amato» è davanti alla croce, insieme con la madre, ad accogliere il dono dello Spirito per ricominciare. Solo in tale accoglienza è possibile comprendere il senso della missione e il cammino della comunità nell’ora della prova.

 

  1. c) Dal cuore trafitto alla testimonianza (vv. 31-37)

 

L’ultima scena (vv. 31-37) assente negli altri racconti evangelici riguarda la richiesta dei Giudei di far rispettare il giorno di Sabato, togliendo dalla croce i condannati (19,31). Pilato acconsente e i soldati eseguono l’ordine spezzando le gambe ai due ladroni. Venuti da Gesù e vedendo che ormai era morto non gli spezzarono le gambe «ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua» (19,34). Il discepolo amato diventa il testimone di questo ulteriore estremo segno di amore. La tradizione ecclesiale ha interpretato questo particolare giovanneo non solo come garanzia della morte, ma nel simbolismo sacramentale consegnato alla Chiesa nascente (cf. 1Gv 5,7). Al sangue si collega il dono dell’Eucaristia e all’acqua quello del battesimo: entrambi sgorgano dal costato trafitto, cioè dal cuore stesso di Cristo che «ha amato fino alla fine». E’ inevitabile il collegamento con l’esperienza della cena di addio, dove il «discepolo amato» pone il suo capo sul petto di Gesù (13,25).

Il giovane discepolo fa l’esperienza del cuore ed è l’unico che può dare testimonianza dell’amore di Cristo, dal segno dell’acqua nella lavanda dei piedi a quello del costato trafitto. Quel cuore rattristato dal tradimento di Giuda, ora è trafitto dalla violenza e dall’ingiustizia del potere umano. Morendo come l’agnello immolato «a cui non viene spezzato alcun osso» (19,36; cf. Es 12,10.46; Nm 9,12), Gesù attira a sé ogni creatura (Gv 12,32) per il suo amore disarmante e in questa tensione contemplativa si realizza la profezia di Zac 12,10: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». Dal cuore trafitto nasce la forza testimoniale del discepolo amato che ha visto e ha tramandato con verità questa testimonianza.

 

Conclusione

 

Riassumiamo la ricchezza del messaggio giovanneo segnalando tre aspetti.

 

–           Il primo aspetto consiste nella perseveranza del discepolo, anche di fronte alla triste esperienza del rinnegamento di Simon Pietro. Il discepolo non fugge per paura, ma rimane per amore e compassione. Egli è esempio di un giovane capace di superare le crisi, di accettare le difficoltà e di stare accanto a chi vive la sofferenza e il distacco. Nella sua presenza occorre vedere tutti i credenti che vivono le prove e le persecuzioni.

 

–           Il secondo aspetto concerne la dimensione familiare del «discepolo amato» e la sua presenza nel dolore della Madre. Egli è colui che è rimasto accanto al Maria e alla altre donne e che rappresenta in modo esemplare la realtà della figliolanza. La Madre non rimane sola, ma è accolta dal «nuovo figlio» che Gesù le affida, perché possa esercitare la sua maternità verso tutti i credenti[14].

 

–           Un terzo aspetto è dato dalla testimonianza del cuore trafitto. Il discepolo amato è l’unico che tra i discepoli ha posto il suo capo sul petto di Gesù e ha visto quel petto squarciarsi per mano di un soldato. Egli ha sperimentato insieme la tenerezza della confidenza e il dramma della separazione fino in fondo al cuore. Dall’abisso di questa profondità il discepolo amato è il solo in grado di testimoniare il vero, perché tutti credano.

Dal giardino del Getsemani alla roccia del Golgota la presenza del discepolo amato indica il sentiero per ogni giovane in ricerca vocazionale. Alla scuola dell’amore trinitario, tutti sono chiamati a vivere la propria vocazione fissando lo sguardo nel cuore di Cristo e rimanendo con la madre davanti alla sua croce. E’ qui che si rivela la pienezza dell’amore trinitario che permette di «conoscere» Dio-Amore, perché «chi non ama non ha conosciuto Dio» (1Gv 4, 8.16).

 

[1] Cf. R. Schnackengurg, Il vangelo secondo Giovanni, III, Paideia, Brescia 1981, 359-368 (il dibattito sulle problematiche letterarie). F. J. Moloney, Il Vangelo di Giovanni (Sacra Pagina 4), Elledici, Torino 2007, 425-428.

[2] Diversi commentatori evidenziano il parallelismo tra Simon Pietro e Giuda, in quanto entrambi cercano di ostacolare il compiersi del «disegno di Dio» nel progetto della salvezza. Annota Moloney: «Pietro non riesce a capire la portata di ciò che sta per accadere e sfodera una spada in un violento tentativo di cambiare il corso degli eventi (18,10), ma viene subito rimproverato da Gesù perché adesso deve cominciare la passione, Pietro cerca di intralciare il disegno di Dio così come Giuda intralcia il disegno di Dio» (Moloney, Il Vangelo di Giovanni, 422-423).

[3] Cf. U. Wilckens, Il Vangelo secondo Giovanni, Paideia, Brescia 2002, 344-348; R. Fabris, Giovanni, Borla, Roma 2003, 682-687.

[4] Cf. Mt 26,58.69-75; Mc 14,54.66-72; Lc 22,54-62.

[5] Cf. R. E. Brown, Giovanni, Cittadella, Assisi 1979, 1033-1035.

[6] Commenta Brown: «Giovanni usa la scena del rinnegamento di Pietro in modo squisitamente teologico. Rendendo i rinnegamenti di Pietro contemporanei alla difesa di Gesù davanti ad Anna, Giovanni ha prodotto un contrasto drammatico in cui Gesù affronta coraggiosamente i suoi inquisitori e non nega niente, mentre Pietro trema davanti ai suoi e nega tutto» (Ibidem, 1035).

[7]  Cf. U. Wilckens, Il Vangelo secondo Giovanni, 370-378; R.E. Brown, Giovanni, 1147-1160; R. Vignolo, La morte di Gesù nel vangelo di Giovanni, in «Parola, Spirito e Vita» 32 (1995), 121-142.

[8] Cf. R.E. Brown, Giovanni, 1145-1147. Annota Moloney: «C’è qualcosa di prezioso che appartiene a Gesù e la cui unità deve essere assicurata? In 17,20-26 ha chiesto al Padre di conservare l’unità dei suoi discepoli e di tutti quelli che hanno creduto in lui mediante la loro parola. Questa unità non è fine a era stessa , ma annunciava al mondo che Dio aveva mandato il proprio Figlio e che Dio amava il mondo così come amava il proprio Figlio» (Moloney, Il Vangelo di Giovanni, 439).

[9]  Cf. U. Wilckens, Il Vangelo secondo Giovanni, 371-372.

[10]  Cf. I. De la Potterie, Studi di cristologia giovannea, Marietti, Genova 1986, 167-190; Idem, Maria nel mistero dell’alleanza, Marietti, Genova 1986, 229-251.

[11] I commentatori indicano non solo il senso temporale dell’espressione «da quell’ora» (=da quel preciso momento), ma anche il senso causativo (= a causa di quell’ora) che conferma il compimento della promessa inizia a a Cana di Galilea (2,4) e annunciata in 16,21; cf. Moloney, Il Vangelo di Giovanni, 439.

[12]  Commenta U. Wilckens: «Questo discepolo diventa suo figlio, non perché tra tutti i discepoli avesse il privilegio di essere stimato e amato da Gesù più degli altri, ricevendo quindi in quanto “discepolo prediletto” (come affatto impropriamente viene chiamato di solito), la cura di sua madre, ma perché Gesù lo ama così perfettamente e interamente come ha amato tutti i suoi, avendo affrontato la morte per loro, sicché in lui si fa visibile in forma esemplare la perfezione di essere discepolo» (U. Wilckens, Il Vangelo secondo Giovanni, 372).

[13] «Se la tunica senza cuciture era il simbolo della comunità dei discepoli e il dono della madre al figlio  e del figlio alla madre adombrava l’unità della fede, quella fede che è l’ekklēsía di Dio, allora è alla  nascente comunità che lo Spirito viene dato (Moloney, Il Vangelo di Giovanni, 441).

[14] « Facendo memoria delle “grandi cose” che l’Onnipotente ha compiuto in Lei (cf. Lc 1,49), la Vergine non si sente sola, ma pienamente amata e sostenuta dal Non temere dell’angelo (cf. Lc 1,30). Nella consapevolezza che Dio è con Lei, Maria schiude il suo cuore all’Eccomi e inaugura così la strada del Vangelo (cf. Lc 1,38). Donna dell’intercessione (cf. Gv 2,3), di fronte alla croce del Figlio, unita al «discepolo amato», accoglie nuovamente la chiamata ad essere feconda e a generare vita nella storia degli uomini. Nei suoi occhi ogni giovane può riscoprire la bellezza del discernimento, nel suo cuore può sperimentare la tenerezza dell’intimità e il coraggio della testimonianza e della missione» (Sinodo dei Vescovi, XV Assemblea generale ordinaria, I giovani la fede e il discernimento vocazionale, Documento preparatorio (17.01.2017), III.5).