N.03
Maggio/ Giugno 2018

Il dono della vocazione presbiterale

Il senso e la forma di una tappa singolare

Proseguendo nell’illustrazione dell’unico cammino di formazione al ministero ordinato, alla «fase propedeutica» segue la tappa degli «studi filosofici o discepolare». Nel precisare questo ulteriore percorso, che di fatto coincide con l’ingresso vero e proprio nel Seminario, la nuova Ratio si concentra sul «concetto di discepolato», esprimendone il senso e la forma.

Quanto al senso complessivo, si tratta del primo vitale stare presso il Signore, quale risposta alla sua chiamata, al desiderio di conoscere il luogo dove egli abita. «Il discepolo -si legge- è colui che è chiamato dal Signore a stare con Lui (cf Mc 3,14), a seguirlo e a diventare missionario del Vangelo. Egli impara quotidianamente a entrare nei segreti del Regno di Dio, vivendo una relazione profonda con Gesù. Lo stare con Cristo diviene un cammino pedagogico-spirituale, che trasforma l’esistenza e rende testimone del Suo amore nel mondo»[1].

Non è così scontato ribadire oggi che la vocazione del discepolo si precisa come un «dimorare» e uno «stare» con Gesù, un abitare nel suo amore. V’è, infatti, un rimanere nel deserto, «soli con Dio solo», come amava dire Charles De Foucauld che non va da sé, tanto meno può essere letto come un disertare il mondo con le sue importanti sfide attuali. Piuttosto esso è la continua possibilità di un vero inizio, che rischia di essere sopraffatto nel tempo, ma, talora, fin da subito nel cammino formativo, dall’ansia del fare, di cimentarsi, di diventare protagonisti, che alla fine svuota.

Tale rimanere si manifesta e si esprime attraverso molteplici linguaggi. In primo luogo, nella consapevolezza della presenza serena e gloriosa di Cristo nella comunità e nel cuore dei discepoli. L’amore che Gesù ha per i suoi (cf. Gv 13,34), diventa il contesto fecondo nel quale occorre educare a rimanere. Per sé ogni cammino di fede nasce da qui e qui ritorna: è l’invito a dimorare nel suo mistero. E il mistero non è ciò che ci è più lontano e inconoscibile, quanto ciò che ci è sorprendentemente vicino, in grado di riconoscerci e chiamarci per nome, farci sperimentare l’amore con il quale siamo stati amati e coinvolgerci nella sua stessa missione. È questo il modo singolare attraverso il quale Gesù ha educato i suoi discepoli, aiutandoli, di volta in volta, a compiere i salti di qualità decisivi del cammino di sequela. Come diceva con grande acutezza D. Bonhoeffer, «il mistero ci crea disagio, perché noi non siamo a casa in sua presenza, perché esso parla di un “essere a casa” che è diverso da quello che intendiamo noi». Tuttavia, «vivere senza mistero significa non saper niente del mistero della nostra stessa vita, del mistero dell’uomo, del mistero del mondo, …significa restare in superficie»[2].

D’altro lato, tale linguaggio si precisa anche come un rimanere fedele da parte del discepolo all’amore preveniente di Gesù. Si tratta del desiderio di consegnare la vita nella fedeltà alla comunione con il Signore, per il bene dei fratelli. E, in questa scelta radicale, un criterio essenziale di verifica è il fatto che deve fiorire in chi si sente chiamato, una sincera e duratura esperienza di gioia, una certa pace interiore, che non conosce continue nostalgie per altre prospettive di vita, che inevitabilmente vengono lasciate.  È in questa breve descrizione che è tracciato il cammino di questa tappa, unica e significativa. Di fatto si tratta di un tempo fondamentale, non di una semplice transizione verso l’operatività che conta. Nel percorso di questi primi due anni, infatti, si pongono delle basi per la vita spirituale e si raccolgono delle intuizioni che accompagnano per sempre e permettono di attraversare anche motivi di fatica nella stagione viva del ministero.

Opportunamente, pertanto, quanto alla forma, la nuova Ratio riconosce nell’esigenza indicata non un processo generico, ma una «tappa specifica, nella quale vanno impiegate tutte le energie possibili per radicare il seminarista nella sequela Christi, ascoltando la sua Parola, custodendola nel cuore e mettendola in pratica»[3]. In particolare, lo snodo educativo-spirituale sostanziale riguarda la formazione del discepolo che sarà pastore, «con una speciale attenzione verso la dimensione umana, in armonia con la crescita spirituale, aiutando il seminarista a maturare la decisione definitiva di seguire il Signore nel sacerdozio ministeriale, nell’accoglienza dei consigli evangelici»[4].

«Prepararono la Pasqua»: la proposta del Biennio di spiritualità del Seminario di Milano

Probabilmente, in ragione delle conformazioni numeriche dei seminari, diventa molto difficile poter strutturare nei termini indicati una proposta concreta. Nell’intento di questa rubrica, però, di presentare delle esperienze vissute, vale la pena accennare al percorso del Bienno di spiritualità proposto nel Seminario di Milano. La logica di fondo che lo accompagna, infatti, rappresenta una possibile e significativa concretizzazione di quanto indicato dalla Ratio.

Un forte accento sulla vita spirituale e comunitaria

L’intuizione che si è cristallizzata nel tempo riguarda la proposta di un Biennio di spiritualità, con un itinerario caratteristico, separato – fino a qualche anno fa, anche come sede- e una comunità educante propria, benché in tutto comunicante con il successivo percorso del Quadriennio teologico. L’idea sostanziale è quella di proporre ai seminaristi una sorta di noviziato, caratterizzato da un forte accento sulla vita spirituale e comunitaria, avendo come tappa sintetica l’Ammissione ai candidati al diaconato e al presbiterato. Se nel corso del tempo le modalità concrete si sono trasformate, l’intuizione di fondo continua ad essere assai promettente, in modo particolare in riferimento al riconoscimento degli aspetti più originari e fondativi di un’esistenza credente. Lo è, in particolare, in riferimento alla varietà degli accessi ai cammini vocazionali degli ultimi anni. Sempre di più, infatti, si è manifestata la necessità di introdurre alla vita spirituale con maggiore profondità e ampiezza di linguaggi: dalle forme non scontate della preghiera cristiana, alla radicalità evangelica, ai temi del discernimento, a un primo inquadramento di una spiritualità del ministero presbiterale e della vocazione al celibato.

Le intuizioni di fondo

Tale esito è frutto di un lungo cammino, vissuto con grande vivacità negli anni Ottanta, ma ampiamente preparato da un decennio di riflessioni, che avevano trovato in don Giovanni Moioli e don Luigi Serenthà impulsi decisivi. L’invito, poi fatto  dal card. Martini nel 1988 ad ogni comunità diocesana ad elaborare un proprio progetto educativo ha condotto all’ultima discussione e stesura del nuovo progetto educativo del Seminario[5]. Di esso, per quanto ci è possibile in questo spazio, è importante segnalarne il nucleo essenziale e alcuni suoi snodi pedagogici e spirituali.

L’intuizione essenziale è quella che si legge nella prima parte del progetto dal titolo «educare al ministero». In essa vengono illustrati i presupposti indispensabili per tutti i cammini educativi descritti in seguito. Da un lato, la prospettiva fondamentale risiede nel riconoscimento della doppia polarità, in gioco per sé in ogni proposta educativa, tra il soggetto concreto, con le sue peculiarità, e l’oggettività della forma cristiana. Dall’altro la condizione indispensabile perché l’educazione avvenga è la libertà dello Spirito. «Nello Spirito e nella Verità, la libertà è l’esperienza più significativa, in cui si esprimono la fede e, conseguentemente, la vocazione»[6]. Nell’indicare, poi, il presbiterato come un ministero della fede, si precisa che «educare a essere presbiteri significa preparare a condurre un’esistenza che esprima la fede in una particolare ministerialità. La fede nasce dalla rivelazione, come risposta al suo appello. La proposta educativa, che intende suscitare la fede di uno che sarà presbitero, cerca di far emergere, in tutti i modi possibili, per vie e con strumenti convergenti, una pedagogia che presenti l’annuncio del Vangelo, che susciti l’assenso completo della libertà nella fede, e che introduca al difficile esercizio della testimonianza. E ciò non nella forma generica del cristiano maturo, ma specificatamente nella forma del cristiano maturo che è prete»[7].

«Prepararono la Pasqua» e le sue implicazioni

Si comprende, allora, come nella proposta educativa del Biennio, che sempre di più negli ultimi anni ha rivestito il volto di un’importante e irrinunciabile comunità d’avvio, la prospettiva essenziale evidenziata, dentro la quale recuperare il senso di ogni mediazione pedagogico-spirituale, si ritrovi nel nucleo fondante della Pasqua di Gesù. Non a caso questo è il suo titolo, alludendo alla celebre pagina di Luca e al dettato autorevole della Pastores dabo vobis[8].

«La Pasqua di Gesù, vi si legge, è l’evento fondante, il punto prospettico e la certezza fondamentale a cui si riferisce ogni apporto della proposta educativa. Questo spiega perché la definizione di ogni frammento di esperienza e di ogni tratto della vita non ha caratteristica più determinante e più originaria se non quella dell’essere un’esperienza spirituale. Soltanto in essa si è in grado di leggere sinteticamente la verità della propria fede e di rispondere alla propria vocazione. La Pasqua del Signore illumina tutto il ministero presbiterale, nella sua natura e nella sua missione»[9].

È in questa luce che nella proposta pratica vengono poi declinati gli elementi irrinunciabili di un’esistenza credente chiamata a diventare pastore: l’assiduo ascolto della Parola, quale «criterio di interpretazione e contenuto della loro quotidiana esistenza»;  la celebrazione dei Sacramenti, con al centro l’Eucaristia, nella quale «l’autentica preghiera cristiana trova la sua sorgente e si incammina verso le sue più alte e diversificate espressioni», imparando a custodire il Mistero di Cristo; la frequentazione della  «feconda tradizione della spiritualità cristiana», grazie alla quale ogni credente è aiutato a «comprendere il vissuto quotidiano e a raggiungere la sapienza del cuore»; «la questione della fede, che altro non è se non la questione della nostra vita», dentro la quale opportunamente comprendere  lo studio teologico non come qualcosa di estrinseco rispetto a tutte le altre esperienze, ma come un momento intrinseco e ineludibile; la comunione ecclesiale e la relazione educativa che si esprimono «come dono dello Spirito attraverso i carismi e le istituzioni, gli incarichi e le responsabilità»[10] e aiuta a credere la Chiesa; infine, la carità senza finzioni del vivere comune attraverso l’obbedienza alle norme pratiche della vita comune. Dentro questi sentieri non facili, ma affascinanti si svolgono le biografie, narrando singolarmente la propria ricerca e la propria unificazione del vissuto attorno alla Pasqua di Gesù.

[1] Congregazione per il clero, Il dono della vocazione presbiterale, Paoline, Milano 2016, 61.

[2] D. Bonhoeffer, Gli Scritti (1928-1944), Queriniana, Brescia 1979, 400.

[3] Il dono della vocazione presbiterale, 62.

[4] Il dono della vocazione presbiterale, 62.

[5] La formazione del presbitero diocesano. Linee educative del Seminario di Milano, Centro Ambrosiano, Milano 1995.

[6] La formazione del presbitero diocesano, 22.

[7] La formazione del presbitero diocesano, 26.

[8] «L’identità profonda del seminario è di essere, a suo modo, una continuazione nella chiesa della comunità apostolica stretta intorno a Gesù, in ascolto della sua Parola, in cammino verso l’esperienza della Pasqua, in attesa del dono dello Spirito per la missione». Pastores dabo vobis, 60.

[9] La formazione del presbitero diocesano, 67.

[10] La formazione del presbitero diocesano, 68-69 passim.