N.04
Luglio/Agosto 2018

Il corpo che prega riceve molta luce

Colgo la discretio di Dio che incoraggia le scienze umane a proseguire il loro cammino di collaborazione con le Scienze della Grazia e di rispetto per il proprio ruolo di diaconesse a servizio del bene/Bene dell’altro/Altro. Solo un corpo che prega nella discretio riceve molta luce. Solo un corpo che prega è un corpo che discerne. L’humus di ogni discernimento rimane la preghiera cristiana.

Assisi è un  luogo nel quale si può incontrare e riflettere sulla sfida del discernimento vocazionale nell’accompagnamento dei giovani, cosi come il titolo del seminario  e ad  Assisi si parla di Francesco con un corpo orante attraversato dalla luce e di Chiara, un corpo orante chiaro per nome, più chiaro per vita, chiarissimo per virtù (Dalle Biografie di S. Francesco, Fonti Francescane 351).   Avete scelto di sostare al Protomonastero dove è custodito il corpo di Chiara per mettervi in ascolto della trasparenza della sua esperienza. In tal caso dovremo verificarci con quale qualità interiore affrontiamo “le banalità” della vita, l’ordinarietà delle banalità – delle piccole cose, ben sapendo che con l’ordinarietà delle banalità, ci giochiamo l’essenzialità della straordinarietà della vita/Vita, preziosissimo corpo al quale è affidato la sfida del discernimento. Chiara, scegliendo di “abitare rinchiusa in quanto al corpo”, ha profeticamente esaltato le piccole cose, apparentemente insignificanti, non appariscenti, fragili, come luoghi pedagogici nei quali il processo educativo si compie. Per Chiara le piccole cose sono spazi di grazia, di discretio, nei quali lo sviluppo del discernimento prende forma.

La preghiera, arte della coltivazione del corpo

Leggendo il programma del Seminario ho letto questa espressione: Coltiva la preghiera. E’ interessantissima. Mi limito a riflettere su qualche suggestione ricevuta, lasciando alla sapienza creatrice della vostra preghiera di inoltrarsi nel mistero di questo meraviglioso tema e di approfondire, eventualmente, le pennellate essenziali sui luoghi interiori ed esteriori del discernimento che vi propongo. Spontaneamente mi sono trovata come dinnanzi a un grande terreno che per dare i suoi frutti deve essere coltivato. L’immagine, semplicissima, è eloquentissima. Il soggetto della coltivazione sono “io”, il mio corpo nella sua unità di mente e di cuore, l’oggetto-terreno della coltivazione è la preghiera, la vita nella preghiera. L’accento è posto sull’abilità-respons-abilità della propria volontà come facoltà dell’agire. Che grande dono arare, zappare, dissodare, vangare, seminare! Altrettanto grande è il dono di sperimentare la fatica, il sudore della semina e la speranza della gioia del raccolto! Coltivare è un processo che rispetta una gerarchia di interventi. Tutti i coltivatori, in linea di massima, conoscono la successione dei metodi della coltivazione di un terreno, non tutti i coltivatori, però, ne possiedono l’arte. L’arte è propria di chi ama il terreno che coltiva ed è appassionato nell’ascolto di tutti i suoi movimenti, quelli visibili e quelli invisibili. L’amore sa ascoltarne le parole, i silenzi, i segreti, le paure, le gioie, i desideri, i limiti e, dopo essersi fatto spazio di ascolto, sa farsi spazio di attenta operatività perché il terreno fruttifichi la gioia del dono. Il terreno è la tenerezza di un corpo/Corpo che custodisce e genera la vita. Come non fare memoria qui dell’Eucaristia di Gesù il cui Corpo custodisce le membra della nostra umanità? Rimanendo nell’intimità esigente con il suo Corpo, apprendiamo l’arte della preghiera, quella che sa fare spazio a Dio, l’Artista, perché l’opera della vita risplenda. Se coltivare la preghiera interpella la propria volontà come soggetto umano attivo, la preghiera come arte della coltivazione del corpo/Corpo offre la volontà di Dio come soggetto divino attivo. Nella sfida del discernimento entrambi i soggetti interagiscono, ma la preghiera rimane la radice dalla quale la linfa della luce che distingue riceve il suo potere.

LA DISCRETIO, CUORE DELLA PREGHIERA

Uno degli strumenti privilegiati con il quale Dio plasma il cuore della nostra preghiera è la discrezione. La discretio è una parola chiave nella Regola di S. Chiara. Che cos’è e perché è tanto importante nella vita di chi prega e nella vita di un formatore? Discretus o discretio etimologicamente significano separazione, differenza, distinzione […]. Riccardo di S. Vittore e Aelredo di Rielvaulx parlano della discrezione come di una delle caratteristiche del vero amore. Riccardo di S. Vittore nel suo De Trinitate (VII, PL 196, 919) scrive «L’amore che sa discernere  – discretur vero amor – non è laddove si ama sommamente ciò che non è da amare sommamente» e Aelredo nel suo Speculum charitatis (III, XXI, PL 195, 595) dice che «è importante che ciascuno in questo amore sia affettuoso, discreto, forte (affectuosus, discretus, fortis). Affettuoso per amare con dolcezza, discreto per amare con prudenza, forte per amare con perseveranza. Affettuoso, per gustare nel desiderio quello che si è scelto; discreto, perché nell’azione non oltrepassi la misura; forte, perché una qualche tentazione  non lo distolga dalla scelta». La discrezione è la capacità di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, ciò che viene dalla carne da ciò che viene dallo Spirito, per cogliere in ogni circostanza ciò che è meglio per vivere secondo il Vangelo. Discretus o discretio  è un sostantivo o un aggettivo unito sempre ad altre grandi virtù come la sobrietà, la prudenza, la semplicità, la rettitudine, la mitezza, la soavità, la dolcezza, la benignità, la sapienza, l’umiltà, la moderazione, la fortezza, la purezza. E’ di colui che sa distinguere ciò che deve fare da ciò che non deve fare, che sa giudicare con misericordia e giustizia. L’uomo discreto eleva in alto il suo cuore e qui trova aiuto. La discrezione è segno di una sapienza profonda che guida a compiere il bene, ed è anche saggezza nella concretezza della vita quotidiana (Il Vangelo come forma di vita, In ascolto di Chiara nella sua Regola, 130, Federazione S. Chiara di Assisi). Il cuore discreto sa manifestare la chiarezza della propria identità umana accolta dalla identità chiara di Dio e donata alla sua signorìa. Alla luce di questa luminosa descrizione, che cosa sarebbe la preghiera senza la discretio? Che cosa sarebbe una monaca, un cristiano, senza la discretio? Che cosa sarebbe il discernimento senza discretio? Un formatore che si dimenticasse della discretio, come potrebbe illuminare il corpo della propria vita e quella altrui? Dio ci ama con discrezione e ci chiede di amare nella discrezione. La discrezione non fa rumore, non disperde e non ci disperde. La sua silenziosa consistenza, se sappiamo pazientemente ospitarla per abitarla, saprà unificarci meravigliosamente nella nostra interiorità trasformandoci in spazi vivi di accoglienza della luce/Luce che vede. Si tratta di una luce che si comunica all’intelligenza e impegna la vita e che, venendo dall’Alto, ci guida a riconoscere la volontà di Dio, la sua azione, “ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12,2)”. Possiamo dunque affermare che l’esperienza dell’autentica preghiera è nelle mani della discretio.

IL DISCERNIMENTO, FRUTTO DI UN CORPO ILLUMINATO

 Il tema del cuore illuminato, del corpo illuminato, frutto della discretio, occupa un posto privilegiato nella spiritualità di S. Chiara. Il suo «stare» con Dio appreso alla scuola di Francesco, le insegna che l’ importante non è solo che la mente venga illuminata, ma che il cuore si lasci  illuminare. La discretio ha una funzione fondamentale nel processo attivo, espropriante e unificante dell’illuminazione del cuore. Il Discernimento sarà possibile solo a coloro che si lasceranno illuminare da Dio in Gesù Cristo, a coloro che si sforzeranno nel fare spazio interiore alla Luce di Dio, a coloro che faranno posto nel loro cuore perché la fiamma viva d’amore lo accenda, tocchi, purifichi e metta allo scoperto le intenzioni, i pensieri e i suoi desideri occulti e si muti nello splendore del cero pasquale tra le oscurità della propria esistenza  (M. Martinez, El discernimiento. Teoría y práctica.  Ist. Teol. de Vida Religiosa, Madrid 1984, 59). Anche Francesco, nella Preghiera davanti al Crocifisso, aprendo uno spiraglio sulla sua interiorità all’inizio della sua conversione, insisteva nella preghiera, affinché il Signore gli indicasse la sua vocazione (FF 1406). L’insistenza di Francesco chiede illuminazione, senno e cognoscemento e sembra consegnarci solo la sua oscurità interiore. In realtà, da questa preghiera, emergono anche grandi luci: la fede che l’Altissimo, glorioso Dio è il datore di ogni grazia; l’intuizione che solo fede, speranza e carità – virtù teologali, canali alla comunione con Dio – possono davvero illuminare il cuore e cambiare la vita; la convinzione implicita che ogni conoscenza da sola è vana, senza l’osservanza del «santo e verace comandamento» del Signore (Dall’ Introduzione alla Preghiera davanti al Crocifisso, FF 276).

CONCLUSIONE

Paolo VI, in un suo Autografo del 1930, invitava ad allargare gli spazi della carità. Dilatentur spatia caritatis! Allarghiamo gli spazi della carità della preghiera, allarghiamo lo spazio della carità del nostro sguardo interiore. Allarghiamo il cuore alla discretio e consideriamo quanto la carità di Dio ci prevenga, ci guidi, ci sostenga, ci illumini. La sfida più grande è proprio questa: lasciarci illuminare, lasciarci abitare coraggiosamente dalla logica del Cuore e della Mente di Dio, dal suo Corpo che, per primo, pregando per noi, si è trasfigurato di luce per trasfigurare di luce il nostro corpo. Lasciando che questa disponibilità ci consumi riceveremo un corpo orante capace di accogliere molta luce.