N.06
Novembre/Dicembre 2018

Hans Memling. Il discepolo amato sull’isola di Patmos

Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. 10Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: 11“Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Èfeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa”.

12Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro 13e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. 14I capelli del suo capo erano candidi, simili a lana candida come neve. I suoi occhi erano come fiamma di fuoco. 15I piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente, purificato nel crogiuolo. La sua voce era simile al fragore di grandi acque. 16Teneva nella sua destra sette stelle e dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio, e il suo volto era come il sole quando splende in tutta la sua forza”.

L’Artista

Hans Memling nasce a Selligenstadt, in Germania, intorno al 1435. Abbiamo poche notizie sulla su di lui prima del 1467, anno in cui si trasferisce a Bruges, dove rimarrà ne per il resto della sua vita. È allievo di Rogier Van Der Weyden e, da artista esperto, dipinge sia su tela che su tavola di legno. È autore di numerose pale tra cui ricordiamo la “Vergine in trono col bambino” e il ”Trittico del giudizio universale”, conservato a Danzica. Molte altre pale sono attribuite a Memling, hanno il suo stile, ma dobbiamo tenere presente che per i pittori fiamminghi la pala d’altare era un lavoro a più mani, per questo molte opere venivano attribuite al maestro o ai suoi collaboratori.

Membling godeva di grande popolarità anche in Italia, soprattutto tra i commercianti e i banchieri di Firenze e di Venezia, suoi committenti. La delicatezza delle figure, la raffinata eleganza, la ricchezza dei dettagli, fanno di Memling uno dei maestri del rinascimento fiammingo. Muore a Bruges l’11 agosto 1494, all’apice della celebrità e della prosperità economica, con diversi figli e tanti discepoli.

L’Opera[1]

 L’opera fa parte di un trittico titolato il Matrimonio di Santa Caterina. Prendiamo in considerazione lo scomparto laterale destro che rappresenta l’apostolo Giovanni sull’isola di Patmos.

Hans Memling ha portato su questa tavola la visione dell’Apocalisse; in questo libro è già difficile interpretare la parola, ancora più difficile rappresentarla, ma il risultato è ben riuscito.

L’Apocalisse ha lo scopo di infondere forza, di indurre i cristiani e la Chiesa a resistere alle ingiustizie e ai soprusi che subiscono per la Parola di Dio.

L’opera mostra, in primo piano, Giovanni che ha la  visione dell’Apocalisse sull’isola di Patmos. L’evangelista può contemplare, in alto a sinistra, la visione nel nimbo ad arcobaleno del Paradiso: seduto sul trono c’è Dio, ai suoi piedi il Cristo rappresentato dall’Agnello che sta dritto in piedi. Dio ha sulle ginocchia il libro dai sette sigilli, in attesa di essere aperto da Cristo; ai piedi del trono ci sono i 4 esseri e attorno 24 vegliardi.

Tra Giovanni e il nimbo, sul mare, sono rappresentate visioni che annunciano combattimenti tra le schiere del bene e del male, esseri soprannaturali, angeli, demoni, mostri e avvenimenti straordinari.

Cerchiamo di interpretare queste visioni soprattutto in relazione a ciò che significano per la nostra esperienza di fede. Perché Giovanni ha usato immagini, simboli, un linguaggio a volte enigmatico e che ci spaventa un po’?

Egli ha usato il linguaggio simbolico per mantenere forte la speranza dei cristiani perseguitati, perché solo loro comprendessero il significato evitando così che i persecutori considerassero lo scritto pericoloso e inasprissero ancor di più l’oppressione.

Giovanni[2]

 Giovanni è rappresentato molto giovane nonostante abbia scritto il suo Vangelo e l’Apocalisse intorno agli anni 94 d.C., quando era già molto anziano. Questo contrasto rappresenta l’eterna giovinezza che vive il discepolo amato.

È vestito con una tunica rossa porpora e tiene sul grembo un libro aperto su due pagine. Ha due pennini, con uno scrive, con l’altro fa il gesto di intingere al calamaio; è come se non volesse perdere nulla della visione. Le sue mani incrociate dicono l’abilità nell’intingere e nello scrivere.

Giovanni non ha bisogno di seguire con lo sguardo la scrittura, i suoi occhi sono rivolti verso l’alto dove avviene la visione dell’apocalisse.

Il suo volto è pacificato, sereno, tranquillo, non è sconvolto dalla visione anche se narra della lotta tra il bene e il male, di segni grandiosi nel cielo. Giovanni è concentrato nella sua visione, totalmente assorto. Si può dire che Giovanni ci guida a contemplare ciò che vede.

Con queste visioni Dio manifesta a Giovanni la propria volontà, il suo progetto di salvezza, perché egli lo possa conoscere e annunciare. È significativo che Giovanni per conoscere il senso della storia debba quasi estraniarsi dal mondo. Così deve essere per ciascuno di noi, per ciascun chiamato; per capire davvero il disegno di Dio bisogna salire verso di Lui e guardare le cose dal suo punto di vista. È come ricevere un dono, così come lo ha ricevuto Giovanni.

La visione

(Ap 4, 1-11)

La visione di Giovanni rappresentata da Memling sembra un quadro nel quadro, tanto è complessa e piena di particolari: Dio al centro, seduto su un trono con il libro dai sette sigilli, al suo fianco l’Agnello che sta ritto in piedi, sotto i 4 esseri e, intorno al trono, i 24 vegliardi. Che cosa rappresentano questi ultimi?

Sono simbolo di coloro che hanno fatto esperienza della salvezza, che hanno camminato secondo la volontà di Dio e sono stati guidati dal suo progetto. Siedono su un trono, hanno delle corone d’oro e sono avvolti in vesti candide, segno della loro partecipazione alla vita divina; sono davanti al trono di Dio e lo adorano.

Sotto al trono di Dio ci sono i quattro esseri viventi[3], simbolo di universalità. Raffigurano i 4 punti cardinali, il mondo e la creazione, la loro funzione è quella di rappresentare quanto nel creato c’è di più forte e di più nobile: il leone, il più forte degli animali selvaggi; il vitello, il più forte degli animali domestici; l’aquila, il più forte degli uccelli; e l’uomo, l’essere più nobile del creato.

Sono tutti attorno a Dio perché è Lui l’origine della creazione, è Lui che indica all’uomo la via da percorrere. Ecco il senso della centralità del trono, se si vuole comprendere la storia bisogna partire da Dio.

Nella vita ogni uomo fa esperienza della sofferenza, dell’oppressione, della malvagità e difficilmente riesce ad interpretarle e dargli un significato.

La risposta è in quel libro, perché lì c’è il testamento di Dio, il suo progetto, il segreto della vita. E chi riesce ad aprire quel libro, a sciogliere quei sigilli? Solo Gesù, l’Agnello di Dio, colui che sulla terra, indifeso, ferito, è morto con violenza. Ora è in piedi davanti al trono di Dio, partecipe del suo potere, e ha tra le mani la storia del mondo.

È come se Giovanni volesse dire: “abbiate fede in Gesù, non abbiate paura del potere e della persecuzione. Seguite l’Agnello, affidatevi a lui, anche se appare debole, inerme… è lui il vincitore!”.

Ma qui Giovanni ci vuole comunicare qualcosa di più profondo e altamente vocazionale: nel fare ogni cosa, nel vivere, dobbiamo assumere il criterio dell’Agnello, un potere che è servizio e che dà libertà, che spezza i sigilli, che fa scoprire il senso della vita. Un potere che dice la verità dell’essere.

La visione è racchiusa da un arcobaleno che è simbolo dell’alleanza tra Dio e l’uomo, che ci ricorda che il Signore è il creatore, è fedele alla sua creazione e promette di non distruggere più nulla.

Con questa visione Giovanni desidera esortare le Chiese dell’Asia che vivevano le persecuzioni a cui erano esposte, ma possiamo riconoscerci tutte le incomprensioni, le ostilità che ancora oggi la Chiesa soffre in varie parti del mondo.

I 4 cavalieri

(Ap 6, 1-8)

La visione di Giovanni continua e quando l’Agnello rompe i sigilli del libro, sul mare, sotto il nimbo, appaiono quattro cavalieri, ognuno su un’isoletta, e uno di questi è seguito dal drago.

Sul primo cavallo bianco e sul cavaliere ci sono diverse interpretazioni: alcuni esegeti danno una lettura negativa, dicono che sia simbolo dell’esercito dei Parti con le sue conquiste e vittorie e rappresenterebbe la guerra; altri sostengono che il cavaliere bianco è riferito a Cristo, chiara allusione al Risorto che vince il male con il bene.

Il secondo cavallo è rosso, montato da un cavaliere a cui è stato dato il potere di togliere la pace; è l’immagine della violenza che nasce dal desiderio di possedere e prevalere sugli altri.

Il terzo cavallo è nero e il suo cavaliere che ha in mano una bilancia che rappresenta l’ingiustizia, un chiaro riferimento alla carestia, alla fame.

Il quarto cavaliere è verdastro e chi lo monta rappresenta la morte che con la sua forza si propaga nel mondo.

Davanti al dilagare del male, rappresentato dalla violenza, dalla fame e dalla morte, ogni uomo è chiamato a non perdere mai la speranza e a credere che nulla è più forte di Dio.

Questa visione indica che Dio è presente con la sua forza nella storia, è la vittoria di Dio sul male.

La donna e il drago

(Ap 12,1-6)

In alto a destra, in cielo, Memling ha raffigurato una donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle (che rievocano le 12 tribù d’Israele e i 12 apostoli). Sulla destra è rappresentato il drago in procinto di divorare il bambino che la donna sta per partorire (il drago rappresenta il male che agisce entrando nella vita degli uomini).

 

Chi è questa donna vestita di sole di cui scrive Giovanni? Nel nostro immaginario c’è un’allusione a Maria, la Madre di Gesù. In realtà il riferimento è multiplo. Giovanni infatti si riferisce a Israele, a Gerusalemme, al popolo di Dio, ma ancor di più alla Chiesa, sposa di Cristo.

Come interpretare questa visione? È il Cristo che nel tempo nasce dalla Chiesa[4] la quale, attraverso gli occhi di Giovanni, comprende bene quali siano i dolori e le fatiche nel generare il Cristo a cui vanno incontro le generazioni future. Ci ricorda che l’uomo è in continua lotta tra il bene e il male, tra la grazia e il peccato; il rischio è che tutto l’impegno e le fatiche siano divorate dal male, rappresentato dal drago, ma nel contempo rivela la nostra più profonda vocazione, quella di donare vita e vincere il male con il bene.

Approccio vocazionale

Lo sguardo della speranza

Il nostro itinerario in compagnia di Giovanni, il discepolo amato, ci ha condotto su un’isola sperduta del mar Egeo dove Giovanni è stato esiliato. A differenza degli altri Apostoli egli ha vissuto una lunga vita e ora, su quest’isola, è chiamato a donare speranza alle Chiese attraverso la stesura dell’Apocalisse. Questo Libro, l’ultimo della Bibbia, è affascinante perché non è un libro catastrofico, non vi è descritta la “fine” del mondo, ma siamo posti davanti al “fine” della vita.

Le immagini dell’Apocalisse sono da decodificare, da ben interpretare, altrimenti anche il lettore più interessato è scoraggiato a tal punto da interromperne la lettura. Apocalisse è rivelazione, è togliere il velo per vedere più in profondità le cose, le persone, la realtà, il cosmo,  Dio  nella vera essenza.

Quest’isola, dove Giovanni è stato esiliato, è un posto incantevole dove la terra, il mare e il cielo a volte si confondono e fanno sognare, fanno vivere in un’altra dimensione. Bisogna veramente visitarla per comprendere pienamente lo scritto giovanneo; nella stesura del testo Giovanni è stato certamente aiutato dalle bellezze naturali dell’isola. Sembra molto appropriato, allora, questo aforisma di Khalil Gibran:

“Se vuoi vedere le valli, Sali in vetta a una montagna; se vuoi vedere la vetta di una montagna, Sali su di una nuvola; se invece aspiri a comprendere la nuvola, chiudi gli occhi, pensa e sogna.”[5]

 Così mi immagino Giovanni davanti a quel paesaggio, con gli occhi chiusi, capace con il pensiero e il sogno di vedere l’invisibile e permettere anche a noi, suoi lettori, di sperimentarlo. È grazie a Giovanni che noi riusciamo a vedere l’invisibile e a non soccombere davanti alle prove della vita perché l’invisibile è sempre rivestito di speranza.

Su quell’isola Giovanni ha desiderio di comprendere sempre di più i misteri di Dio, non come conoscenza intellettuale ma come esperienza d’amore; di essere più simile a lui, al suo essere. E alla fine della sua lunga vita Giovanni, ancor di più, ha capacità di interiorizzare, di ricomporre i frammenti della propria esistenza e scoprire il disegno generale.

Quando si vive un momento di difficoltà in un itinerario di formazione, tra incomprensioni, delusioni e abbandoni – come Giovanni al termine della sua vita – siamo chiamati a non soccombere, a fermarci, a ricomporre i tasselli della vita, come le tante tessere disordinate di un grande puzzle.

Lo sguardo dell’apostolo è verso l’alto, è capace di scrutare l’infinito, di vedere oltre quel cielo. È uno sguardo non terrorizzato, ma pacificato; i suoi occhi, non dimentichiamolo, hanno contemplato il creatore della vita e ora possono vederlo, ancora, nella Gerusalemme del cielo.

“La speranza cristiana si basa sulla fede in Dio che sempre crea novità nella vita dell’uomo, crea novità nella storia, crea novità nel cosmo. Il nostro Dio è il Dio che crea novità, perché è il Dio delle sorprese. Non è cristiano camminare con lo sguardo rivolto verso il basso (…) senza alzare gli occhi all’orizzonte. Come se tutto il nostro cammino si spegnesse qui, nel palmo di pochi metri di viaggio; come se nella nostra vita non ci fosse nessuna meta e nessun approdo, e noi fossimo costretti ad un eterno girovagare, senza alcuna ragione per tante nostre fatiche. Questo non è cristiano. Le pagine finali della Bibbia ci mostrano l’orizzonte ultimo del cammino del credente: la Gerusalemme del Cielo, la Gerusalemme celeste. Essa è immaginata anzitutto come una immensa tenda, dove Dio accoglierà tutti gli uomini per abitare definitivamente con loro (Ap 21,3). E questa è la nostra speranza”[6].

Papa Francesco ci invita ancora ad alzare gli occhi, come Giovanni sull’isola di Patmos. Alzare gli occhi è terapeutico perché ci costringe a guardare oltre, non più a noi stessi, ai nostri problemi, alle nostre fatiche. Per guardare oltre, bisogna saper sognare e insieme scorgere ciò che è invisibile.

Preghiera

 

Signore Gesù

grazie perché ti sei rivelato

nella visione di Giovanni come l’Agnello

sei apparso glorioso ai nostri occhi

per darci la certezza

che tu sei l’artefice della storia.

Ti mostro le situazioni quotidiane

che mi fanno paura  e le difficoltà

che affronto per vivere

la mia fede con i suoi valori.

Signore, Gesù

rafforza la mia fede

e rinnova la mia speranza

con la rivelazione del tuo amore

quando mi allontano da te,

vienimi incontro e concedimi

di ascoltare la tua voce,

mi dice che la storia sta nelle tue mani

e che la mia stessa storia

è importante per te!

Hans Memling

Trittico del Matrimonio di Santa Caterina

Scomparto laterale di San Giovanni

1474-1479

176×78,9

Olio su tavola

Hans Memlingmuseum – Bruges

 

 

[1] L’opera fu commissionata dai due frati e dalle due suore che presiedevano l’ospedale di San Giovanni di Bruges verso il 1474 ed è firmato e datato 1479.

[2]  Narra la leggenda che Giovanni, dopo essere stato torturato con olio bollente, fosse stato esiliato durante le persecuzioni dei Cristiani, ordinate dall’imperatore Domiziano negli anni 94 e95, nell’isola greca di Patmos. In questa isola, inospitale, priva di alberi e di uccelli, Giovanni ebbe la Rivelazione, la cui storia nei tratti tipici fondamentali, è rappresentata da Memling. L’artista dimostra di conoscere l’esegesi biblica dell’Apocalisse, infatti non è facile rappresentare ciò che è frutto di una visione.

[3]  I 4 esseri riprendono la visione di Ez 1, 10 o i serafini di Is 6 a partire da Ireneo di Lione sono visti come simbolo degli evangelisti, ma probabilmente essi sono archetipi celesti dell’intera creazione vivente.

[4] Paolo scrive ai Galati: “io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi! “(4,19).

[5] Khalil Gibran, L’arte di conoscere se stessi. Massime spirituali, Newton Compton Editori, 2014.

[6] Papa Francesco, Udienza generale mercoledì, 23 agosto 2017.

 

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