N.06
Novembre/Dicembre 2018

I linguaggi della pastorale

Audaces fortuna iuvat (La fortuna aiuta gli audaci) recita un vecchio proverbio popolare, poiché costoro sono sicuri di sé, non indietreggiano di fronte ai rischi e non temono di esporsi. Sono capaci da azzardare e questo li mette in risalto. Non c’è forza più grande.

Sinonimi di audace, a seconda dei diversi contesti, possono essere considerati: ardito, coraggioso, intrepido, valoroso, avventato, rischioso, imprudente, sconsiderato, spericolato, temerario, insolente, irriverente, provocante, sfrontato, spudorato e perfino innovativo e originale.

Potrebbe sembrare strano al lettore, dopo aver letto il significato della parola Audacia, associare questa parola alla Chiesa o ad un sacerdote, ad una consacrata, alla gerarchia ecclesiastica, o ad una comunità parrocchiale che agli occhi dei più, passerebbe non tanto come audace, ma, al massimo, creativa, riflessiva, attenta, prudente, cauta, previdente; non certo lanciata oltre l’ostacolo con temerarietà e senza fermarsi davanti ai rischi in cui si può imbattere. La chiesa, chi la governa e i suoi fedeli, potrebbero essere visti come più vicini alla ponderazione che alla scommessa; al risultato certo, più che al fascino dell’imprevedibilità dello Spirito.

Vorrei però ribaltare questa ipotesi – come diversi hanno provato a fare, in alcuni casi anche con buoni risultati – a partire dal Concilio Vaticano II fino agli anni di Papa Francesco e della sua prima esortazione apostolica Evangelii Gaudium. L’audacia è stata reintegrata tra le caratteristiche del popolo di Dio, a volte, anche con disappunto di molti cristiani o di una parte della gerarchia ecclesiastica, che pensano più allo spirito di conservazione, ad una fede da custodire più che da riscoprire.

Una chiesa audace non può non essere anche creativa! Se la Chiesa, infatti, vuole ringiovanire il proprio volto, deve riscoprire la creatività nel dire Dio, riscoprire l’audacia dell’annuncio dell’amore di Dio, rivisitando e mettendo in discussione i modi di fare abituali, partendo dall’ascolto del Vangelo, discernendo con creatività le strade su cui il Signore chiama la comunità a vivere nuovi orizzonti, a gettare nuovamente le reti in quei mari dove a volte ci sembra di aver pescato solo fallimenti, delusione, scoraggiamenti.

“Il primo passo di una pastorale creativa”, afferma il vescovo Fabene, segretario del Sinodo dei giovani, “non può che essere da parte degli adulti rispettare la novità e la diversità delle nuove generazioni, prendendole sul serio e senza giudicarle a priori”.

Don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta affermava:

Ecco perché io vi auguro di essere audaci (…). Non siate i depositari dello status quo, non dovete essere i notai della realtà…dovete essere i profeti del cambiamento[1].

Una comunità audace e creativa, dovrebbe essere in grado di chiedersi: cosa ci domanda il Signore in questo momento? Come favorire una rigenerazione e una rinascita della fede? E’ questo il tempo che dobbiamo vivere e abitare, un tempo di travaglio e di doglie del parto che porterà a un modo nuovo di essere credenti. Ma il cristiano audace e creativo dovrà guardare a questo tempo e alla sua comunità con fiducia e speranza, è questo il tempo favorevole in cui il Signore continua a visitare il suo popolo, è questa la stagione dell’amore in cui il Signore ci chiama a vivere con lo stile che Papa Francesco suggerisce parlando all’Azione Cattolica Italiana, ma che vale per tutta la chiesa e le comunità cristiane che, a volte, più di vivere il presente, coltivano la  nostalgia di un passato che non c’è più e non tornerà più.

Avere una bella storia alle spalle non serve per camminare con gli occhi all’indietro, non serve per guardarsi allo specchio, non serve per mettersi comodi in poltrona! Camminare con gli occhi all’indietro, provocherà solo uno schianto! Fare memoria di un lungo itinerario di vita aiuta a rendersi consapevoli di essere popolo che cammina prendendosi cura di tutti, aiutando ognuno a crescere umanamente e nella fede, condividendo la misericordia con cui il Signore ci accarezza. Vi incoraggio a continuare ad essere un popolo di discepoli-missionari che vivono e testimoniano la gioia di sapere che il Signore ci ama di un amore infinito, e che insieme a Lui amano profondamente la storia in cui abitiamo[2].

Già, discepoli-missionari che abitano una storia, un passato e un futuro carico di aspettative, anche da parte di quei tanti giovani, tanti volti nuovi, tanti portatori di nuove idee. L’annuncio della fede è inventivo all’infinito. Inventivo, creativo, audace: la trasmissione della fede non può, se annuncia Cristo, che portare novità.

Sant’Ireneo affermava che Cristo, nella sua venuta, ha portato con sé ogni novità. Egli sempre può, con la sua novità, rinnovare la nostra vita e la nostra comunità e anche se attraversa epoche oscure e debolezze ecclesiali, la proposta cristiana non invecchia mai. Gesù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo, spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre nuova[3].

L’audacia e la creatività di una comunità che testimonia

Una chiesa che testimonia deve essere inevitabilmente oggi una “chiesa in uscita”:

Voi uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, «zoppi, storpi, ciechi, sordi» (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo[4].

In queste parole del Vangelo e di Papa Francesco c’è l’indicazione ai cristiani del grande compito della testimonianza, segnato dalla creatività e dal travaglio tipici di ogni cambiamento d’epoca. Quando si presentano nuove sfide, addirittura difficili da comprendere, la reazione istintiva è di chiudersi, difendersi, alzare muri e stabilire confini invalicabili. È una reazione umana, troppo umana. Tuttavia i cristiani, sono audaci nella misura in cui diventano davvero consapevoli che il Signore è attivo e opera nel mondo: non solo nella Chiesa, ma proprio nel mondo, proprio dentro e attraverso quel cambiamento e quelle sfide. Allora si apre una prospettiva nuova: si può uscire con fiducia; si trova l’audacia di percorrere le strade di tutti; si sprigiona la forza per costruire piazze di incontro e per offrire la compagnia della cura e della misericordia a chi è rimasto ai bordi.

Umiltà, disinteresse e beatitudine i tre sentimenti di Gesù che diventano i nostri. Lo stato di grazia, il discernimento sulla realtà che ci circonda, la gioia del Vangelo alla base di una chiesa in uscita.

Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere se stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare[5]

C’è il rischio che tanti cristiani siano buoni, onesti, incredibilmente legati alle leggi della chiesa e dello stato, irreprensibili, tuttavia non abbiano lo scatto, quella passione in più, quei tratti che sanno veramente di audacia profetica, né un linguaggio che sappia dire con coraggio la parola del Signore e la sappia rendere presente e concreta.

Testimoniare, oggi, vuol dire lasciarsi attirare dal Regno che viene, ponendo gesti, parole e opere che anticipino e percorrano la signoria dell’Amore. Non può esistere un “dover dare testimonianza”: là dove s’intravede il futuro, esiste l’audacia di testimoniare ciò che ancora non si è realizzato pienamente.[6]

L’audacia e la creatività di una comunità di poveri per i poveri

Non è la ricchezza di luoghi, di spazi, di risorse economiche, non è la ricchezza umana punto essenziale per una chiesa audace, ma è sapere che è beato chi si fa povero tra i poveri. Don Tonino Bello dà alcune indicazioni utili in tal senso. Per una comunità che è chiamata a vedere nei poveri la Carne di Cristo e a camminare speditamente verso la costruzione del Regno ed essere creativa nel considerare i poveri come protagonisti della salvezza, ecco le due dotazioni indispensabili perché si possa incidere cristianamente nella storia:

Buon cervello: Ciò significa che bisogna trovare nelle nostre comunità una simpatia nuova per l’analisi lucida, scientifica, articolata. Conoscere i meccanismi perversi che generano le sofferenze è il primo atto di solidarietà con i poveri. Il volontarismo emotivo non è sufficiente. Occorrono la competenza e lo studio. Si comprenderà allora che le cause di tante situazioni disumane non sono fatalità, ma hanno un nome preciso. Occorre convincersi che l’analisi strutturale delle situazioni di sofferenza e la ricerca delle cause che le producono sono divenute, oggi più che mai, il luogo teologico nuovo sul quale il Signore interpella la nostra chiesa.

Coraggio: Il coraggio di collaborare con le istituzioni pubbliche e con i servizi sociali, di stimolarli alla ricerca e alla tenacia e di precederli sulla battuta, intuendo risposte nuove a bisogni nuovi. Il coraggio di schierarsi con chi s’impegna lealmente a rimuovere situazioni di violenza e di ingiustizia, e di denunciare profeticamente le gravi forme di sopraffazione presenti nel nostro territorio. Il coraggio di quella violenza ermeneutica della parola di Dio, che senza darci le smanie del guerrigliero ci abilita a non aver paura dei potenti della terra. Il coraggio di creare continuamente spine nel fianco della buona coscienza pubblica, rilevando con caparbietà i bisogni scoperti e quelli emergenti[7].

Una comunità audace e creativa va a cercare i poveri anche prima che essi bussino alla porta.

L’audacia e la creatività di una comunità che sogna

Non si può essere segno credibile, audace e creativo, se non continuiamo a sognare.

I have a dream… lo affermava Martin Luther King, ma anche Don Luigi Saccone, un prete della mia diocesi rimasto ucciso in un tragico incidente in mare:

“Sogno una Chiesa nella quale il primato della Parola venga non solo proclamato, ma sperimentato nell’organizzare l’esistenza dei singoli e delle comunità. Sogno una Chiesa nella quale ogni suo figlio venga accolto e riconosciuto per quello che è e non per quello che ha.” Sogno una Chiesa che appaia immediatamente come famiglia dove l’essere padre e l’essere figli dipenda dalla relazione che, nello Spirito, si ha con il Padre e colui che Egli ha mandato, Gesù Cristo. Sogno una Chiesa nella quale i suoi pastori siano veri anziani nella fede e maestri autentici di umanità. Sogno una Chiesa nella quale venga riconosciuto il primato del mistero: la realtà più vera che Dio ha consegnato alla fragilità dell’uomo. Sogno una Chiesa nella quale i calcoli umani e le strategie opportunistiche cedano il passo alla fede in un Dio fedele che, nonostante gli uomini, realizzerà le promesse che ha fatto. Sogno una Chiesa nella quale la preghiera liturgica sia sempre immersione nel divino per assumere e contagiare le realtà terrene. Voglio sognare, so di poterlo fare, perché Gesù ha detto “i cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”[8].

La comunità dovrebbe ascoltare i sogni dei giovani: sono questi sogni, come affermano loro stessi al campo nazionale 2018 di Azione cattolica, a fare la realtà.

Quante persone, soprattutto quanti giovani, oggi, vivono sotto la cappa di piombo di uno scetticismo fatalistico e rassegnato…

È la mancanza di un orizzonte attraente di desiderio e di sogno che ci consegna alla legge della omologazione e della mediocrità. Coltivare il cuore per scegliere la propria via di beatitudine, significa tornare a volare alto, per dare spazio ai nostri sogni più belli e appassionati. Fai bei sogni. Anzi, fateli insieme. Insieme valgono di più. Non è questa una chiesa audace e creativa? Penso proprio di sì!  Una chiesa che sogna ancora: una chiesa inquieta, una chiesa lieta, col volto di mamma che comprende accompagna, accarezza[9].

Sognate anche voi questa chiesa, credete in essa, innovatela con libertà[10]!

L’audacia e la creatività della comunione di una “parrocchia” che abita il mondo

Il lettore forse si chiederà perché ho sostituito il termine comunità con quello di parrocchia. Sono parroco di una realtà di circa 16.000 anime, in periferia di Pozzuoli, e non potevo che osare questo accostamento e parlare dell’audacia di Papa Francesco quando afferma:

La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie». Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione. Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione. È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario. Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione[11].

Ritengo che la parrocchia, se realizza quanto afferma papa Francesco, possa avvalorare la mia tesi che accosta audacia e creatività. Si tratta di una Chiesa più inclusiva, una Chiesa che apprezza, più che in passato, i doni unici di ognuno, sia i laici sia le persone ordinate, tutti coloro che sognano ancora un mondo migliore, radicati in quella spiritualità di comunione che San Giovanni Paolo II ha evocato nella Novo millennio ineunte. In un’epoca in cui tutti sono contro tutti in cui si cerca  sempre motivi per gridare allo scandalo in cui ogni pretesto è buono per dividerci e contrapporci all’altro in cui spesso vige la legge del sospetto, faremmo bene a scolpire queste sagge parole di Papa Francesco nelle nostre menti e nei nostri cuori:

Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità. Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me”, oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper “fare spazio” al fratello, portando “i pesi gli uni degli altri” (Galati, 6, 2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita[12].

Una chiesa santa 

Una comunità creativa e audace è una chiesa che aspira alla santità senza se e senza ma, che si lascia santificare dallo Spirito, che è capace di essere strumento di santificazione. I santi sono stati uomini creativi e audaci perché hanno saputo coniugare il verbo amare, il verbo sognare il verbo unire e hanno dato vita ad una comunità e ad una chiesa che nell’essere audace, oltre che carica di utopia, quindi anche di profezia, è stata carica di prassi[13].

La Chiesa è santa ovvero la chiesa è santificata dallo Spirito di Cristo per essere strumento di santificazione dell’umanità nella lode di Dio.

Nella sua unità e in tutti i suoi membri, la chiesa è santa, non in se stessa, ma in Cristo (..). L’apostolo nella prima lettera ai Corinti si rivolge alla comunità come ‘a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù’(..). Dio santifica la sua comunità chiamando per mezzo di Cristo gli empi, giustificando i peccatori e accogliendo coloro che sono perduti. La comunità dei santi è dunque sempre anche la comunità dei peccatori e la chiesa santificata è sempre anche la chiesa peccatrice. La santità non separa i cristiani e la chiesa dall’umanità peccatrice (..), ma si può confessare senza camuffamenti quella miseria del genere umano che va sotto il nome di peccato, soltanto dove si rendono storicamente manifeste la remissione, la giustificazione e la santificazione divine[14].

L’audacia, che porta Dio ad amare per sempre la sua chiesa, continui ad investire e sostenere le nostre gambe perché possiamo uscire dalle mura! Con l’audacia e la creatività di chi ha fatto esperienza di Cristo nella sua storia ed è pronto ad annunciarlo ad altri con la sua vita, continuiamo a costruire ponti, altari e strade.

 

 

[1] Antonio Bello, Diari e Scritti Pastorali, Mezzina, Molfetta 1993.

[2] Francesco PP., Discorso all’Azione Cattolica Italiana, Roma, 30.04. 2017

[3] Francesco PP., Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, Paoline, n° 11

[4] Francesco PP., Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa Italiana, Firenze, 10.11. 2015

[5] Francesco PP., Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, Paoline, n° 273

[6] S. Zerbini, Una Chiesa audace in Alla ricerca dei Valori 4-2014

[7] Antonio Bello, Scritti Mariani, Lettere ai Catechisti, Visite pastorali, Preghiere, Mezzina, Molfetta 1995.

[8]  L. Saccone, intervento al Convegno Ecclesiale della Diocesi di Pozzuoli, 2009

[9] N. Dal Molin, Intervento al Convegno Nazionale sull’accompagnamento spirituale, 2017

[10] Francesco PP., Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa Italiana, Firenze, 10.11. 2015

[11] Francesco PP., Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, Paoline, n° 28

[12] Francesco PP.,  Discorso ai Vescovi amici del Movimento dei Focolari,  27 febbraio 2014

[13] Antonio Bello, Diari e Scritti Pastorali, Mezzina, Molfetta 1993

[14] J. Moltmann, Spiritualità Trinitaria, BTC, pp. 452-3