N.06
Novembre/Dicembre 2018

Steven Cutts. Are you lost in the world like me

Il video cartoon è ispirato alle illustrazioni vecchia scuola di Max Fleischer, colui che ha animato Betty Boop, Popeye e Superman.

Steve Cutts è un artista eclettico, diventato famoso per i video con i quali cerca di svegliare la società di massa dallo stato di narcosi intellettuale indotto dalle nuove tecnologie. In video come Man o come Wake up call, la critica alla società dei consumi è strettamente connessa al discorso sulla tutela dell’ambiente e sul rispetto della natura.

In Are You Lost, il protagonista del video, un alter ego del cantante, si chiede se ci sia qualcun altro perso nel mondo come lui. La visione di Cutts è estremamente pessimistica. Gli individui camminano per le strade delle metropoli, guardando il loro smartphone e finendo così per cadere dentro un tombino.

Nelle sequenze successive tre individui malmenano una persona attorniati da persone che riprendono la scena con il loro smartphone senza intervenire; una famiglia mangia guardando il cellulare (compreso il neonato); una ragazza si fa un selfie sullo sfondo di un palazzo che sta andando in fiamme. Cutts descrive poi lo scarto fra la realtà e la rappresentazione che se ne dà nei social media.

La potenza delle immagini evocate da Cutts raggiunge il culmine con gli smartphone che diventano la porta di una cella carceraria.

Nella critica alle ossessioni tecnologiche non poteva mancare un folto gruppo di telefonino-dipendenti che arrivano fino a una discarica piena di materiale tecnologico per poter catturare un Pokemon. Anche principi e principesse della Disney si adeguano e, invece di guardarsi negli occhi, comunicano attraverso lo smartphone.

L’epilogo è una caduta di massa nel baratro. Sempre con gli occhi sullo schermo, naturalmente.

testo

SEI PERSO NEL MONDO COME ME?

Sei perso nel mondo, come me?

Come me?

E se i sistemi hanno fallito… sei libero?

Guarda bene, la città è andata

Giorni neri e sole morente

Sognare sogni di un’aria accesa di buio

Solo per un minuto mi troverai lì

Quindi guarda bene e mi troverai

Quaranta modi che ci lasciano ciechi

Ho bisogno di un posto migliore in cui bruciare di fianco alle linee

 

Vieni e fammi provare

Sei perso nel mondo, come me?

E se i sistemi hanno fallito, sei libero?

Tutte le cose perdute, puoi vedere?

Sei perso nel mondo, come me?

Come me?

Nella città è l’alba

Coltelli cadenti e un sole moribondo

Amore salato nell’aria illuminata di buio

Solo per un minuto ti troverò lì

Quindi guarda bene e mi troverai

Le quaranta vie che li lasciano ciechi

Ho bisogno di un luogo migliore in cui bruciare di fianco alle linee

Vieni e fammi provare

Sei perso nel mondo, come me?

E sei i sistemi hanno fallito, sei libero?

Tutte le cose perdute, puoi vedere?

Sei perso nel mondo, come me?

Come me

Sei perso nel mondo, come me?

E sei i sistemi hanno fallito, sei libero?

Tutte le cose perdute, puoi vedere?

Sei perso nel mondo, come me?

Come me?

E se i sistemi hanno fallito… sei libero?

Sei perso nel mondo, come me?

 

Lo stile è quello dei primi cortometraggi animati, dei Mickey Mouse degli anni ’30: sono tre minuti di viaggio in una società paranoica e schizoide, dove nel grigiore di uno mondo impoverito brillano solamente i colori delle emoticon e della virtualità. Uno spietato ritratto della deriva che sta inesorabilmente contagiando un po’ tutti, un’epidemia tecnologica che porta all’astrazione e all’alienazione e che chiede la ridefinizione delle dinamiche che regolano rapporti e relazioni interpersonali. Una visione distopica! Un’utopia al negativo, dove ci si può prefigurare un assetto rassegnato della società 2.0 che  interseca in un drammatico quotidiano  solitudine e abbandono.

Abbiamo costruito grandi città. Grandi industrie. Grandi sistemi. Questi sistemi sono stati pensati per proteggerci, per liberarci, ma di fatto hanno avvelenato la nostra aria, hanno ucciso gli animali, massacrato la terra – e distrutto l’uomo. Pensiamo di aver risolto i problemi della produzione alimentare e della distribuzione della ricchezza, ma siamo più miserabili che mai.

Are You Lost In The World Like Me fa parte di These Systems Are Failing, il nuovo album di Moby, come Moby & The Pacific Void Choir, un insieme di punk e dipost-punk, di new wave, di urla e di rave euforica. Testi e musica che non possono offrire soluzioni, ma certamente possono sollevare questioni.

E’ una sorta di manifesto quello che l’autore adopera per spiegare il suo nuovo album: “All’inizio, eravamo una specie disperata. Avevamo il bisogno di avere delle cose e, una volta ottenute, eravamo felici, soddisfatti, sazi. Si sopravviveva. Le cose ci hanno salvato: il cibo, le armi, gli scudi. Dopo tanto tempo abbiamo vinto. Ma abbiamo continuato a comportarci così. Continuando a combattere senza avere nemici, e mangiando come se stessimo morendo di fame. Stiamo distruggendo l’ambiente anche se, in realtà, stiamo distruggendo noi stessi”.

 Un’umanità che chiede accoglienza

L’umanità chiede accoglienza. Non solo nel caso dei migranti, dei perseguitati, degli sfrattati, ma anzitutto nella relazione che ognuno ha con se stesso.

Dovunque ci sia vita, si tratta sempre di una chiamata all’accoglienza della vita. Tutto della vita ha bisogno di passare per l’accoglienza. Non c’è facoltà in noi che, per potersi sviluppare, non debba essere coltivata con cura e questo coinvolge la nostra responsabilità nel prenderci a cuore noi stessi. Tuttavia la capacità di vederci davvero e di volersi bene per trattarsi con riguardo è rara. Si deve passare per un cammino faticoso e doloroso.

Se questo cammino non si mette in atto l’effetto è micidiale: poiché quando l’umanità non vede se stessa diventa distruttiva nei propri confronti, verso la natura e riguardo al senso del proprio essere nel mondo. La società è spinta a organizzarsi secondo una logica ostile alla nostra dignità, che comporta squilibri, lesioni e lacerazioni alle persone e, dunque, a tutto ciò che ci circonda. La capacità di autocoscienza è compromessa da due realtà: la mercatizzazione della vita e la virtualizzazione della realtà.

La tecnologia è stata innalzata allo status di una forza universale, necessaria, propulsiva, che crea il futuro dettando a tutti gli atteggiamenti da assumere e i comportamenti da adottare. Il mondo virtuale rende marginali le persone concrete, le relazioni e le azioni dirette. Nell’organizzazione della vita, si passa attraverso i canali informatizzati e sono dismesse tutte le forme di esperienza che coinvolgono il corpo, il pensiero critico, lo studio, l’incontro interpersonale, il dialogo, la progettualità condivisa. Si parla, infatti, di un mondo che supera l’umano, un mondo post-umano, appunto.

In questa perdita di noi, in cui ci sembriamo tutti così consenzienti, c’è la possibilità di porsi delle domande, di farlo negli spazi in cui il meccanismo in cui siamo aggrovigliati, ci fa sperimentare la solitudine e l’abbandono. Soli rispetto all’altro. Abbandonati rispetto all’altro. Perché possiamo accettare di perdere noi stessi, ma non possiamo accettare di perdere l’altro. La solitudine e il dolore che l’accompagna sono l’humus che fa scattare il risveglio.

Non possiamo accettare che le persone che amiamo siano distrutti. Quando l’altro è nello sguardo dell’amore, cessa di essere semplicemente l’altro e diventa unico, con il suo volto, con il suo nome, con la sua presenza inconfondibile. Da qui parte il rifiuto, o un’attenzione prudente, a tutto ciò che omologa ed appiattisce, in primis il network.

Una vita da separati

Quando la realtà in cui vogliamo immergerci o che ci ha fagocitato, nostro malgrado, diviene virtuale è immediato essere dei separati. Si è intimamente disgregati, scissi da se stessi, estranei alla propria interiorità, ignari delle migliori possibilità e potenzialità che ci appartengono.

La separazione si condensa in una scissione davvero determinante: quella tra la solita vita e la vita felice. Quante persone non credono nella felicità! Quante la credono possibile confinandola in qualche fugace e remota ora della vita. Ci si adatta all’infelicità e alla routine che ci deforma, spesso ci porta ad esprimere il peggio di cui siamo capaci, vanifica gli spiragli di luce che possono aprirsi e che vengono lasciati accadere invano. E’ la conseguenza di un sistema, sociale e familiare, che fa mentalità e ci impone silenziosamente la postura dei separati: sono qui, ma vorrei essere là; sto lavorando, ma la vita è un’altra cosa; sono con te, ma vorrei essere con qualcun altro; vivo in costante attesa della vacanza, sempre bisognoso di riposo, di esercizi energizzanti, di palestre rinvigorenti.

Spezzati e logorati da una smania di newness che ci fa essere sempre altrove rispetto a noi e alla nostra vita!

Il percorso è verso l’integrità che armonizza le molte dimensioni dell’essere, l’unicità di ciascuno e la presenza alla realtà della vita. Il qui e ora che unifica e armonizza, che rigenera e fa felici, che è il luogo della mia passione e della mia fecondità. Vita che genera vita! Nel rispetto, nella cura, nella benevolenza.

Non mi interessa quali pianeti sono in quadratura con la tua luna,
voglio sapere se hai toccato

il centro del tuo dispiacere,
se sei stato aperto dai tradimenti della vita

o ti sei inaridito e chiuso

per la paura di soffrire ancora.
Voglio sapere se puoi sopportare il dolore,

mio o tuo,
senza muoverti per nasconderlo,

sfumarlo o risolverlo.
Voglio sapere se puoi vivere con la gioia,

mia o tua;
se puoi danzare con la natura e

lasciare che l’estasi ti pervada
dalla testa ai piedi

senza chiedere di essere attenti,
di essere realistici o di ricordare

i limiti dell’essere umani.
Non mi interessa

se la storia che racconti è vera,
voglio sapere se riusciresti a deludere qualcuno per mantenere fede a te stesso;
se riesci a sopportare l’accusa di tradimento senza tradire la tua anima.
Voglio sapere se riesci a vedere la bellezza anche quando non è sempre bella;
e se puoi ricavare vita dalla Sua presenza.
Voglio sapere se riesci a vivere

con il fallimento, mio e tuo,
e comunque rimanere in riva a un lago

e gridare alla luna piena d’argento: “Sì!”
Non mi interessa sapere dove vivi

o quanti soldi hai,
voglio sapere se riesci ad alzarti

dopo una notte di dolore e di disperazione,
sfinito e profondamente ferito e fare ugualmente quello che devi per i tuoi figli.
Non mi interessa chi sei

e come sei arrivato qui,
voglio sapere se rimani al centro del fuoco

con me senza ritirarti.
Non mi interessa dove

o che cosa o con chi hai studiato,
voglio sapere chi ti sostiene all’interno,

quando tutto il resto ti abbandona.
Voglio sapere se riesci

a stare da solo con te stesso

e se apprezzi veramente la compagnia

che ti sai tenere nei momenti di vuoto.

Oriah Mountain Dramer, anziano di una tribù pellerossa

 

 

 

 

 

 

 

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