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Il bisogno di essere accompagnati

Una lectio divina della propria vita

Relazione tenuta al 34° Seminario sulla Direzione Spirituale, Assisi 2019

 

  1. Alcune premesse

L’attenzione alla biografia

Individuare i bisogni che una persona porta dentro di sé è importante per non giustapporre il cammino “spirituale” a quello “umano”: la vera sfida di un accompagnamento consiste nell’elaborare un percorso che, a partire dalla biografia della persona, possa favorire un’esperienza di fede.

Non sempre i bisogni sono chiari e consapevoli: talvolta emergono solo dopo un significativo lasso di tempo. Si tratta quindi di imparare a mettersi in ascolto dell’altro e di riconoscere la complessità del cuore umano. Nel caso di Alfonso – nome di fantasia e situazione costruita a scopo didattico –, ad esempio, sorprende la compresenza di atteggiamenti tra loro molto differenti: egli inizia il colloquio in modo evasivo accennando ad una “questione pastorale”, passa poi ad una sottile accusa nei confronti del seminario fino ad esprimere il proprio disagio con il pianto, per tornare ad assumere un atteggiamento di rivendicazione rispetto alla formazione ricevuta e concludere con un disorientamento tra la sua vita di preghiera e il problema emerso.

L’ambivalenza non rivela necessariamente una cattiva disposizione all’accompagnamento, ma la presenza di più domande nella stessa persona; esse non vanno accolte come una contraddizione a cui porre rimedio o dare spiegazione, ma come un dato da cui partire per comprendere l’unicità e l’originalità della persona che ci sta dinnanzi.

 

 

Una lectio divina della propria vita

La persona che viene accompagnata spesso si attende di ricevere un aiuto dalla propria guida; inizialmente avverte il bisogno di un confronto, ma in itinerescopre che l’accompagnamento spirituale può favorire una nuova esperienza di Dio nella forma di un lasciarsi conoscere da un altro.

Tutto ciò non è facile né immediato, e ogni persona, sebbene abbia il desiderio di essere accompagnata, presenterà delle resistenze: per questo motivo sarà importante interpretare la presenza di una lotta spirituale non come un problema, ma come una condizione di verità.

In tale prospettiva l’accompagnamento spirituale può favorire una lectio divinadella propria vita. Spesso si pensa che l’esercizio della lectio divinasi limiti alla lettura di un brano della Scrittura con il fine di meditarlo e di metterlo in pratica. In realtà la lectio divinainizia dopo il momento di preghiera sulla Parola di Dio e ha come obiettivo la “lettura divina” della propria vita, così come Dio la guarda. Attraverso gli eventi che l’hanno caratterizzata e i sentimenti che ne emergono, la persona può essere aiutata a scoprire tutta «la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo»(Ef. 8,13).

 

  1. Alcuni bisogni nel percorso di accompagnamento

Proviamo ora a considerare alcuni bisogni che in un percorso di accompagnamento possono diventare occasione di crescita umana e spirituale. Tenendo sullo sfondo la vicenda di Alfonso, proveremo a delineare alcuni passi che la guida spirituale potrà favorire.

 

  • Il bisogno di superare la vergogna

Alfonso parla inizialmente di una «questione pastorale» che alla fine si rivela essere un problema personale: la ricerca di materiale pornografico. La guida spirituale non dovrà lasciarsi condizionare eccessivamente dal rilievo morale di questo comportamento: spesso le questioni sottese all’uso di internet e all’ambito della sessualità sono più complesse e sono rivelative di come una persona viva la relazione con sé, con gli altri e persino con Dio.

La difficoltà iniziale con cui Alfonso introduce la «questione pastorale» rivela innanzitutto la presenza di un sentimento di vergogna che fino a quando non viene superata, non gli consentirà di compiere alcun passo in avanti. La vergogna corrisponde alla consapevolezza di non essere riusciti a vivere secondo i propri valori e coinvolge fortemente la stima di sé. È importante che Alfonso provi un po’ di vergogna per ciò che ha imparato a fare, ma non per rimanere bloccato nella vergogna, bensì per accorgersi del male operato a se stesso e agli altri. Secondo alcuni autori, la vergogna è un’esperienza narcisistica, a differenza della colpa che ha una dimensione più interpersonale. La vergogna difficilmente riesce a motivare un cambiamento nella persona, anzi, spesso paralizza ogni tentativo di migliorare se stessi, fino al punto che, inconsapevolmente, la persona che si vergogna tende a reiterare i suoi comportamenti per confermare l’immagine negativa di sé che ha interiorizzato.

In un percorso di accompagnamento è importante aiutare la persona ad attraversare l’esperienza della vergogna: è un passaggio delicato che richiede di prendere in considerazione quegli aspetti della propria vita che sono motivo di umiliazione e disagio. Se oggi – come dice Papa Francesco – è un problema “essere senza vergogna”, è quanto mai necessario favorirne un superamento, per passare da una percezione centrata su di sé ad una maggiore sensibilità verso l’altro.

Superare la vergogna vuol dire concretamente “dare un nome alle proprie vergogne e fare la fatica di mettersi a nudo” (cf Discorso di Papa Francesco al clero di Roma del 7/3/19), per imparare a sentire dolore per il male fatto agli altri ed interrogarsi sulle implicazioni relazionali del proprio comportamento.

 

  • Il bisogno di trasgredire

Ciò che colpisce nel caso di Alfonso è la presenza di una forte rabbia nei confronti del seminario e della Chiesa che lo porta ad assumere toni di rivendicazione, come se Alfonso non avesse avuto la possibilità di esprimersi e di far presente le sue esigenze. In effetti una presenza così significativa di rabbia potrebbe apparire persino esagerata. La guida spirituale non potrà limitarsi al buon senso o richiamare Alfonso ad un maggior senso di responsabilità: in questo modo, senza volerlo, potrebbe persino alimentare la sua rabbia.

L’accompagnamento spirituale può diventare quel luogo in cui la rabbia viene non solo riconosciuta ed espressa, ma anche risignificata in modo positivo. Da quanto si può evincere dai brevi cenni biografici, la vita di Alfonso è stata contrassegnata da un forte senso del dovere: un’educazione fondata sul merito, un confronto con le sorelle basato sul loro rendimento scolastico, una religiosità incentrata sulla fedeltà e sulla regolarità. Alfonso è cresciuto come il “bravo bambino” e il “bravo seminarista” che per sentirsi amato e voluto bene doveva eseguire fedelmente le indicazioni e le norme. Tutto ciò non lo ha lasciato indifferente e ha influito anche sulla sua vita spirituale, favorendo un accumulo di aggressività che lo ha portato ad un’osservanza senza gioia e ad un risentimento diffuso verso chi lo ha fatto crescere (la famiglia prima, la Chiesa dopo).

L’esperienza pastorale che Alfonso ha vissuto negli ultimi anni di seminario, in particolare l’ascolto degli adolescenti e dei giovani, lo hanno interpellato profondamente e lo hanno portato a sperimentare qualcosa di nuovo: il desiderio di trasgredire, la possibilità di andare contro quelle norme che aveva sempre seguito fedelmente. L’esperienza pastorale ha indotto una dinamica di regressione che ha risvegliato in Alfonso l’esigenza di opporsi, di andare contro al suo essere “un bravo ragazzo”.

Nell’accompagnamento spirituale è importante riconoscere il bisogno di aggressività che la persona porta dentro di sé, così come è importante non spaventarsi dinnanzi alle possibili trasgressioni. L’aggressività, se orientata ad un’esperienza gratuita di bene, può diventare una risorsa per il cammino di fede: è maturo non solo chi vive secondi i valori che proclama, ma anche chi impara a fare un bene che non è richiesto e che viene scelto proprio perché riconosciuto come un bene promettente per la propria vita.

Tutto ciò ha delle implicazioni interessanti sulla vita di preghiera, sulle relazioni, sulle scelte di carità e di servizio che possono essere decise in un accompagnamento spirituale: questi ambiti possono favorire esperienze sanamente “trasgressive”, in cui non ci si limita a quanto viene richiesto ma si impara ad andare oltre, per un desiderio gratuito di bene.

 

  • Il bisogno di sperimentare intimità

L’esperienza affettiva vissuta da Alfonso appare contrassegnata da una certa sobrietà: i suoi genitori non erano soliti manifestargli gesti di affetto, le relazioni con gli altri erano spesso caratterizzate da atteggiamenti di ritiro e di solitudine, la dimensione sessuale è stata percepita come un ambito potenzialmente pericoloso che era meglio evitare. L’unica relazione significativa che Alfonso sembra ricordare è quella con il prete della sua parrocchia di origine: fin dal primo incontro rimane colpito dalla sua gestualità spontanea, dalla sua attenzione e dalla sua capacità di vivere per gli altri riservando dei tempi di preghiera silenziosa nella cappella dell’oratorio.

Nel contesto di una storia affettiva così povera, l’uso della pornografia sembra rispondere ad un’esigenza di intimità affettiva di cui però Alfonso ha paura e di cui forse non si sente capace, non avendo mai vissuto esperienze significative e non essendosi mai coinvolto in prima persona. Il computer connesso ad internet e che mostra immagini sessuali esplicite risponde ad un bisogno di intimità, ma in modo negativo. In questa forma di “intimità virtuale” Alfonso può illudersi di avere in mano la situazione, può spegnere e connettersi quando vuole, l’altro è attivo ma non del tutto, può suscitare emozioni forti, ma sempre dietro la protezione di uno schermo. La pornografia è quindi la risposta sbagliata ad una domanda affettiva di cui Alfonso deve riappropriarsi, se davvero vuole sperimentare la possibilità di ricevere e donare affetto nella sua vita e nella sua vocazione.

Nel percorso di accompagnamento spirituale diventa importante favorire esperienze di intimità affettiva, in particolare su due fronti: il primo riguarda la vita di preghiera e il coinvolgimento in essa non solo della mente e della volontà, ma anche del corpo e dei sentimenti; il secondo riguarda la qualità delle relazioni.

In questa prospettiva, la vita spirituale e l’impegno pastorale non devono essere percepiti solo come ambiti in cui donarsi e impegnarsi per gli altri, ma come dei luoghi in cui ci si dispone a ricevere affetto dal Signore e dai fratelli. Questi aspetti possono essere colti nel colloquio di direzione spirituale e possono essere rilanciati come passi importanti di crescita e di integrazione.

 

  • Il bisogno di mettersi in gioco

Alfonso da piccolo ha giocato poco ed è rimasto condizionato da questa mancanza: il gioco infatti non favorisce solo il rapporto con la realtà esterna ma diventa uno “spazio transizionale” in cui il bambino si apre alle relazioni, in particolare con i coetanei. È interessante rilevare che negli anni di seminario, Alfonso abbia non solo migliorato il rendimento scolastico, ma si sia distinto per una capacità di leadership. L’assunzione di responsabilità nei confronti degli altri può favorire la relazione, ma con il rischio di rimanere dipendenti dal ruolo che si esercita. Alfonso sembra sentirsi maggiormente al sicuro in mezzo agli altri quando sa cosa deve fare e quando le sue responsabilità sono ben definite; in un contesto meno strutturato come la parrocchia e in una relazione più paritaria con gli adolescenti e i giovani, Alfonso avverte il disagio di essere “uno come gli altri”.

Nel percorso di accompagnamento spirituale il bisogno di mettersi in gioco con le persone può essere rilanciato e può aprire nuovi spazi di relazione. Il cammino spirituale può sostenere una vita relazionale più libera e spontanea, in cui provare a coinvolgersi maggiormente, non solo emotivamente, per uscire dai propri schemi e coltivare il gusto di aprirsi al diverso e alla novità.

La vita spirituale può riattivare l’esigenza di gioco per imparare ad assumere iniziativa nelle relazioni, a farsi promotori di comunione e ad essere propositivi. Questa esigenza evangelica trova dei riscontri interessanti nell’umanità di Gesù e può aiutare ad assumere responsabilità nei confronti degli altri, non solo come chi adempie ad un ruolo, ma come chi si pone al servizio degli altri perché non ha paura di stare con gli altri e avverte il desiderio di fare qualcosa per loro.

 

  1. L’accompagnamento: un cammino di autenticità

Inteso in questo modo, l’accompagnamento spirituale può favorire un cammino di autenticità: la persona viene aiutata a riappropriarsi della propria vita per una sequela più libera e disinteressata.

In alcuni momenti questo cammino di autenticità passerà dall’accettazione della propria storia, dalla rivisitazione di quei momenti che lo hanno fatto crescere e dalla riconciliazione di alcune ferite; in altri momenti comporterà l’assunzione di un passo di responsabilità nei confronti della propria vita, per non fermarsi ad una rassegnazione passiva e per individuare quel passo di crescita possibile qui ed ora; in altri momenti favorirà l’esperienza di una “seconda chiamata” in cui i bisogni emergenti dovranno essere orientati al Vangelo e troveranno nuove risposte.

Il caso di Alfonso mostra la possibilità di promuovere un cammino di autenticità a partire da quei bisogni che sono dentro la sua storia e che se adeguatamente riconosciuti e rilanciati, potranno favorire una crescita umana e spirituale.