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L’esercizio del proprio potere

Dal punto di vista di un accompagnatore e maestro dei novizi

Come intendere il servizio dell’accompagnamento?

È un accompagnamento personale, inteso come aiuto temporaneo e strumentale che un fratello o una sorella maggiore nella fede e nel discepolato dà a un fratello o una sorella minore, condividendo con lui un tratto di strada, perché questi possa discernere l’azione di Dio su di lui e decidersi a rispondere, in libertà e responsabilità (A. Cencini, I sentimenti del figlio. Il cammino nella vita consacrata).

 

 

Due finalità:

  • guidare la persona nella scoperta dell’azione di Dio nella sua vita
  • aiutarla a dare una risposta concreta, coerente e quanto più possibile libera

 

  1. si tratta di un accompagnamento di persone = cura personalis
  2. si tratta di mettersi a camminare con la persona = è una condivisione di un tratto di strada
  3. importante l’antropologia di base = come considero la persona che ho davanti
  4. coinvolge il discernimento, che è azione di Dio nella vita concreta
  5. libertà e responsabilità, necessarie per la risposta, possono a volte essere condizionate o impedite: considerazione dei principali dinamismi interiori della persona.

 

Dunque l’accompagnatore è colui che offre aiuto a chi richiede la possibilità di un cammino, orientato alla ricerca di una pienezza di vita. Tale “pienezza” contiene in sé vari elementi, che verranno evidenziati domani, negli interventi che riguardano l’accompagnato.

 

A un primo livello, più di superficie, il potere dell’accompagnatore è dato dallo squilibrio esistente tra chi richiede e chi potrebbe offrire un aiuto. Ma è una visione riduttiva, che necessita di un approfondimento.

 

Quando parliamo di potere nella relazione di accompagnamento, a che cosa ci riferiamo?

 

La parola poterespaventa, perché la relazione di questo tipo è pensata spesso in qualche modo scevra da  dinamiche prettamente umane e dunque idealizzata, spiritualizzata. Ad esempio, mi rivolgo a una persona che so essere di ottime qualità; che, dopo un primo contatto, mi sembra abbia capacità di sguardo e ascolto profondo; uno/a che immagino sia libero interiormente. Il rischio è proiettare da subito sull’accompagnatore le mie idee e aspettative, idealizzarlo, quasi fosse al di fuori delle dinamiche proprie di ogni persona umana. E questo perché lui/lei ha sicuramente fatto un cammino personale ed è legato/a in modo particolare a Dio, visto che svolge questo servizio. Legittimo pensarlo, ma è importante considerare che si tratta dell’incontro tra due persone che, nella loro interazione, mettono in campo anche la loro umanità, luogo nel quale e attraverso il quale Dio opera in modo particolare.

Nella Bibbia, nel libro del Deuteronomio, troviamo espressa chiaramente la vocazione di ogni uomo: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze(6, 4), dunque con tutte le facoltà (memoria, intelletto e volontà), le risorse e le caratteristiche proprie della natura umana. Dunque la propria umanità è veicolo privilegiato attraverso il quale Dio parla e agisce. Al tempo stesso, è il campo di battaglia, soprattutto quando si tratta di ricercare il bene maggiore, che spesso non è coincidente o rispondente al bene che si desidera per sé. Questa lotta è presente tanto nel cuore dell’accompagnato, quanto in quello dell’accompagnatore. Prima ancora che con l’accompagnato (sul quale ci sarà un approfondimento nei prossimi incontri), l’accompagnatore vive questa dinamica di potere (cioè la ricerca del bene maggiore, spesso non coincidente col bene per sé) con Dio stesso.

 

Permettete un breve riferimento alla spiritualità degli Esercizi Spiritualidi Ignazio di Loyola. Nell’itinerario spirituale in essi proposto, si incontra una contemplazione che descrive bene le due principali dinamiche che si fronteggiano nel cuore umano: quella proposta dal nemico della natura umana e quella proposta da Gesù. Il primo desidera mettere reti e catene ad ogni uomo e invia i suoi a solleticarlo prima con le ricchezze, che portano alla ricerca dell’onore e infine alla superbia (ES 142). Il secondo, al contrario, invia i suoi ad aiutare tutti gli uomini, per portarli a valori come la povertà spirituale (tutto è dono; gratitudine) e l’umiltà.

 

Questo conflitto interiore è presente a due livelli:

 

1) rapporto tra accompagnatore e Dio. Come vivo la chiamata al servizio? Tanto all’inizio, quanto col passare del tempo, può insorgere la tentazione di sentirsi importanti; di collezionare un gran numero di accompagnamenti, magari con la motivazione di volersi donare di più, che a volte maschera il bisogno di sentirsi apparire di valore o di non sentirsi inutili. Tutto questo accanto al sincero desiderio di accompagnare la persona, desiderio che si riconosce ispirato da Dio.

 

2) Nella relazione di accompagnamento. Tra poco approfondiremo alcuni bisogni dell’accompagnatore, che possono condizionare tale relazione, che da servizio può trasformarsi in esercizio di potere.

 

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Prima di approfondire questi aspetti, allarghiamo ancora le prospettive e consideriamo il potere in un’accezione positivae costruttiva, partendo dalla vita di Gesù e dalle caratteristiche del suo esercizio di potere, che si identifica col senso della sua missione.

 

  1. Gesù insegna: è una delle attività che troviamo più frequentemente nel vangelo, prima ancora di un suo intervento nella situazione di bisogno concreto. Gesù spiega, istruisce, dibatte, corregge. Tutte queste azioni, sono esercizio del suo potere, ossia della sua missione di essere vicino alla persona, aiutarla a maturare, a diventare più libera. E lo fa offrendo conoscenze e dando indicazioni, perché coloro che si presentano come “pecore senza pastore” imparino ad orientarsi.

 

Mt 4, 23: Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

 

Mc 6, 34: Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

 

Mc 4, 1-2a: Di nuovo si mise a insegnare lungo il mare. E si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli salì su una barca e là restò seduto, stando in mare, mentre la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose in parabole.

 

Ma questo insegnamento vale anche rispetto ai suoi discepoli, che istruisce per la missione. Lo fa attraverso la condivisione di vita, ma anche in momenti espliciti tra maestro-discepolo.

 

Mt 5, 1-2: Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: Beati…

 

Lc 11, 1-2a: Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. Ed egli disse loro: “Quando pregate, dite: Padre…

 

Mc 4, 34b:in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa.

 

Questo esercizio di potere, relativo all’insegnare, si esprime in termini di autorevolezza, riconosciuta dai più.

 

Mc 1, 20-21: Andarono a Cafarnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi.

 

Mc 1, 27:Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!”

 

“Autorevolezza” si accompagna a credibilità, coerenza, efficacia: la persona è ritenuta degna di fede in ciò che dice e fa, perché lei in primisvive ciò che predica. Da questo viene l’autorevolezza di Gesù, paragonata all’autoritarismo dei dottori della Legge. Quest’ultimo, al contrario, è puro esercizio di potere negativo, per sfruttare la propria posizione in termini compensativi di proprie debolezze o incapacità, imponendo se stessi o legami, in semplice nome della propria posizione di supremazia.

 

Altra caratteristica fondamentale: Gesù lascia liberi e desidera conservare la sua libertà. Questo significa che non esercita un potere che lega alla sua persona, né che lui stesso si lega a quanto opera nei vari luoghi. La sua azione di accompagnamento è dunque caratterizzata:

 

1) gratuità: dona ciò che ha e in considerazione di quanto la persona desidera o può ricevere.

 

2) Va altrovequando comprende che la sua missione, in un dato luogo o verso una data persona, è terminata.

 

La preghiera aiuta Gesù a ri-centrarsi continuamente sulla sua missione:

 

Mc 1, 36-38: Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: “Tutti ti cercano!”. Egli disse loro: “Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”.

 

Lc 4, 42-43: Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e volevano trattenerlo perché non se ne andasse via da loro. Egli però disse: “Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato”.

 

Lc 8, 38-39: L’uomo dal quale erano usciti i demòni gli chiese di restare con lui, ma egli lo congedò dicendo: “Torna a casa tua e racconta quello che Dio ti ha fatto”. L’uomo se ne andò, proclamando per tutta la città quello che Gesù gli aveva fatto.

 

  1. Gesù promuovela persona, l’umanità della stessa, mediante un esercizio di potere positivo. Questo avviene in vari modi: condivisione delle risorse e dei talenti; invito a giocarsi di più, esortando a venire fuori dal conosciuto; parlare chiaro alla persona della sua situazione, per avviare un cambiamento. In tali casi, Gesù cerca una relazione personale o risponde a una richiesta di relazione. A partire da questo, utilizza lo sguardo, la parola e i gesti per comunicare, aiutare a comprendere e, in alcuni casi, anche per stupire. La sua autorevolezza e il suo carisma di maestro, uniti alla naturale capacità di leggere il cuore dell’uomo, vengono costantemente messi al servizio della persona.

 

Gv 4, 28-29: La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere unuomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?”.

 

Gv 5, 5-9: Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: “Vuoi guarire?”. Gli rispose il malato: “Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me”. Gesù gli disse: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”. E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare.

 

Mc 6, 37-42b: Egli rispose: “Voi stessi date loro da mangiare”. Gli dissero: “Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?”. Ma egli replicò loro: “Quanti pani avete? Andate a vedere”. E accertatisi, riferirono: “Cinque pani e due pesci”. Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull’erba verde…Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e si sfamarono.

 

Mc 10, 21-22: lo sguardo di Gesù su questo uomo. Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. Un esercizio di potere che può incontrare il fallimento!

 

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Fatto questo quadro generale sul potere, possiamo considerare più nel dettaglio potenziali conflitti che si creano nel cuore di chi accompagna. Quali bisogni umanientrano in gioco, considerando in senso stretto l’ambito del potere?

 

Dominazione, per conoscere e avere sotto controllo la vita dell’altro; per gratificare il proprio bisogno di essere importante, avere un ruolo di spicco; rivalsa rispetto a un passato nel quale si è stati dominati, ci si è sentiti inferiori.

C’è anche, mascherata, la paura di essere amato, per cui esprimo la generosità e lo spendermi, per non voler in fondo essere io ad aver bisogno dell’altro. In tal caso la responsabilità (paternità o maternità) diventa copertura del bisogno di essere amato e della paura di svelarsi deboli.

 

Peraltro, c’è anche il caso di un potere non assunto, perché considerato un ostacolo rispetto al proprio bisogno di essere amato. Ad esempio, quando l’accompagnatore si mette su un livello di pseudo-amicizia: in tal caso, è possibile che stia rigettando il potere attribuito, perché lo sente creativo di una distanza dall’affetto che può ricevere dall’altra persona. Quindi questa pseudo parità risponderebbe, in realtà, ad egoismo, più che al volere il bene dell’altro e lo priva dell’esperienza di affidamento, necessaria per crescere.

 

Gv 13, 1ss.: nella Lavanda dei piedi, la motivazione di Gesù nasce dal servizio, dall’amore, dal desiderio di lasciare un esempio, uno stile. Non c’è sentirsi inferiore o desiderio di supremazia. Gesù lava i piedi e poi ritorna nei suoi panni e insegna; il servizio non lo depotenzia. Pietro, ala contrario, vede in quel gesto un atto di debolezza da parte di Gesù; è ancora legato a un’idea di forza e superiorità dell’uomo di Dio; fa fatica a lasciarsi amare.

 

Distacco: distinguere quello educativo (sempre necessario), da quello difensivo (non mi coinvolgo per timore di soffrire o per non scoprirmi debole così che l’altro possa approfittarne). Il primo è sempre necessario, per ragioni intuibili da quanto detto sopra. La relazione di accompagnamento non è relazione di amicizia, né genitoriale, né paritaria, ma l’accompagnatore mira a farsi compagno di strada, offrendo esperienza e competenze che lo mettono in una posizione di “superiorità”, appunto di potere.

 

Successo: può scattare la sindrome del salvatore; del risultato a tutti i costi, altrimenti mi sentirei un fallito oppure vivrei un senso di colpa per non essere stato adeguato all’incarico e alla fiducia accordati. Per gratificare questo bisogno, potrei utilizzare il bisogno dell’altro di trovare una soluzione, una cura, una risposta. Come? Sfruttando la posizione di preminenza che ho, data dalla fiducia, dall’esperienza e dalla posizione che occupo, utilizzando le possibilità che intravedo, senza però valutare in trasparenza il vero bene dell’altro. Per esempio, risolvo tutto io; do la risposta a tutto; faccio in modo che l’altro si conformi al mio punto di vista; qualche volta gli “impongo” di seguire l’indicazione che gli do, magari accompagnandola con un ricatto affettivo (“se vuoi seguire altra via, sei libero, ma in tal caso non sarei in grado di continuare ad accompagnarti”).

In realtà, l’accompagnatore non è colui che offre risposte immediate, ma aiuta a far emergere le domande, in modo che la persona stessa possa trovare le risposte ai suoi interrogativi più profondi.

 

È fondamentale che la guida sia cosciente di trasmettere sempre un messaggio parziale, dal momento che non può averlo internalizzato in tutti i suoi aspetti. Comunica non Dio, ma ciò che ha scoperto di Dio. Non la verità, ma quello che sa della verità. Deve avere quindi un concetto di sé molto realista: vedersi come un messaggero convinto ma parziale di un messaggio che supera continuamente la sua comprensione. È quindi nello stesso tempo un annunciatore ma anche un esploratore. Non è quindi il caso che giochi a fare l’onnipotente[1].

 

Mt 4,1-11: Le tentazioni, dove c’è l’insidia dell’uso del potere per scopi autoreferenziali (sicurezza del cibo; mettersi in evidenza con gesti spettacolari; asservirsi al mondo, che tanto va così). Altrimenti “non sei il Figlio di Dio” = Gesù è tentato sul dubbio della sua identità, così come un accompagnatore potrebbe esserlo se non usa il suo “potere”. In gioco l’uso per gratificare un suo bisogno o per il reale bene dell’altro.

 

 

Questi sono solo alcuni bisogni, che tuttavia condizionano l’accompagnamento, fino a configurarlo a volte come vero e proprio esercizio di potere per propri fini. Comprendiamo dunque che l’accompagnatore è sempre coinvolto nel processo di accompagnamento, perché si tratta di entrare in relazione con una persona. Principio cardine è che l’accompagnatore, prima ancora che essere tale, dovrebbe essere un testimone: infatti non è chiamato a cambiare l’altro, ma prima di tutto se stesso. Dunque, es. io sono chiamato per primo a vivere la fatica di ogni giorno, io ad essere fedele alla chiamata. Lo strumento primo con cui educhiamo le altre persone è la nostra persona: importanza di fare prima di tutto un cammino a livello personale, cammino che non può mai dirsi esaurito completamente. Se non c’è questo cammino, è comprensibile il rischio di interpretare e vivere la propria posizione come luogo di potere, nel quale gratificare propri aspetti immaturi, nel senso visto sopra.

 

Occorre dunque che l’accompagnatore sia abile nel discernimento per essere efficace mediatore, per facilitare l’incontro e la comunicazione, cosciente tuttavia che è lo Spirito Santo a guidare i passi di entrambi. L’accompagnatore deve saper vivere con fede e serenità il suo ruolo di servo e di strumento, senza mai venire meno alla sua funzione e neppure andare oltre ciò che gli compete; deve saper correre il rischio di indicare una direzione e di accompagnare la persona. La vita di preghiera e l’incontro personale con Gesù sono indispensabili per crescere nella libertà interiore e nell’abbandono alla volontà di Dio, in modo da lasciarsi amare e salvare come Dio vuole[2].

 

Ma c’è anche un altro aspetto: Gesù nel Vangelo ci dice che chi ascolta la Parola e fa la volontà del Padre è per lui fratello, sorella, madre. Questo fa entrare in gioco le figure parentali e l’esperienza delle stesse. Per quale motivo? L’accompagnatore è chiamato a farsi vicino alla persona; ad essere punto di riferimento saldo; a comprendere e avere uno sguardo di misericordia; a volte a consolare e incoraggiare; qualche volta a offrire elementi chiari di azione. Tutto questo ci riporta all’essere padre, madre o fratello/sorella maggiore. E qui possono nascere difficoltà, legate soprattutto alla qualità delle relazioni parentali che l’accompagnatore ha avuto: infatti il suo modo di essere padre, madre o fratello/sorella, sarà fortemente condizionato dalla sua esperienza di figlio e di fratellanza. Di conseguenza, si rifletterà sul suo stile, che potrà essere più o meno autoritario; più o meno ricattatorio, dal punto di vista affettivo; più o meno indulgente; più o meno tenero; più o meno direttivo; e così via.

 

 

In sintesi

 

 

  1. Gesù riceve il potere dal Padre ed esplicita chiaramente che quanto il Padre gli trasmette, lui lo compie e lo condivide. Anche l’accompagnatore riceve come dono la possibilità di essere tale. Questo “potere” gli è trasmesso, gli è affidato. A lui il compito di riceverlo e di viverlo non come un possesso personale o una chance di riscatto personale, ma come un servizio a quanti il Signore metterà sulla sua strada.

 

  1. Potere di Gesù è dare la vita e darla in abbondanza (cf Gv 10, 10: Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza). A questo potere è invitato a partecipare l’accompagnatore, come collaboratore (e non protagonista) della missione di Dio. Dunque diventare mediatore di vita.

 

  1. Questo potere di Gesù consiste principalmente, come Lui stesso dice, nel ridonare la vista ai ciechi; dare il pane agli affamati; liberare i prigionieri; offrire misericordia e accoglienza a chi ne avverte il bisogno. Se volessimo trovare un’espressione riassuntiva, è venuto a ridonare dignità alla persona. L’accompagnatore è chiamato a condividere questa intenzionalità di Dio verso l’uomo.

 

  1. Quali sono gli “strumenti” per esercitare e attuare questo potere? La compassione; l’empatia; l’ascolto profondo; il rispetto della libertà dell’altro; la pazienza; l’insegnamento; la chiarezza dei messaggi dati; accogliere che c’è un tempo anche per lasciar andare e dirigersi altrove.

 

  1. Non ultimo, è fondamentale che l’accompagnatore abbia una buona conoscenza di sé, dei propri dinamismi umani, dei bisogni e dei valori che lo animano. Unitamente a questa conoscenza, occorre una buona vita di preghiera, intesa come relazione viva col Signore, dal quale tutto proviene e al quale ridonare ogni giorno quanto si riceve. La preghiera, come luogo nel quale quotidianamente ricentrare la vita e la missione. Ce lo insegna Gesù stesso, come abbiamo sottolineato sopra, il quale si ritirava spesso in luoghi solitari a pregare, per dare ordine all’intensità di quanto viveva e continuamente focalizzarsi sulla missione ricevuta.

 

[1]                                                                                                        ManentiA., Vivere gli ideali/1, 232.

[2]                                                                                                        RullaL.M., Antropologia della vocazione cristiana, I, 255-256.