Studi /

Una Chiesa dinamica perché i giovani possano abitarla

Sono stato creato Cardinale in ottobre e non sono abituato al titolo di Eminenza: Jean Claude è più facile.

Ho sempre trascorso la mia vita con i giovani; in Giappone ho lavorato in università, insegnando, sono stato cappellano degli studenti cattolici, direttore del centro cattolico, responsabile per le vocazioni per la mia provincia gesuita.

Sono diventato vescovo nel 2011, a Lussemburgo. E lì ho fatto l’esperienza per la prima volta della mancanza dei giovani nelle nostre chiese e nelle nostre parrocchie. Ho ritrovato un Lussemburgo dove nella chiesa non ci sono più i giovani, mancano. Abbiamo tre congregazioni religiose, la più giovane in ogni congregazione è la superiora generale: non c’è più speranza.

Mi sono chiesto che cosa potevo fare per i giovani. Ho organizzato viaggi. La prima volta ho proposto Assisi, ma non c’era grande interesse. Nella proposta ero partito dalla mia esperienza. Per me Assisi è un punto di riferimento, sono sempre stato colpito da San Francesco: volevo farmi francescano. Ma i giovani mi hanno detto che ad Assisi potevano andare quando volevano. A Lussemburgo i giovani sono ricchi. Ho proposto la Thailandia: un successo enorme! Siamo partiti con 100 giovani. La metà cattolici, l’altra metà sono venuti perché era un viaggio di tre settimane poco costoso. Ogni giorno ho proposto una preghiera di 40 minuti e la celebrazione della Messa di circa due ore… Un giovane mi ha chiesto se era necessario andare a Messa ogni giorno… visto che sapeva che solo la Messa domenicale è un impegno… lo stesso giovane, alla fine, mi ha confidato che la Messa gli sarebbe mancata. Era diventata parte della giornata e lo spazio della condivisione delle esperienze personali.

Con la gente del villaggio abbiamo costruito una chiesa che ho consacrato l’ultimo giorno della nostra permanenza.

I giovani hanno fatto l’esperienza che la felicità non è proporzionale ai soldi. In Lussemburgo, si pensa che, se sei ricco e puoi consumare molto, sei felice; ma il 10% della popolazione soffre di depressione, ha problemi e non sa essere felice.

Una giovane piangeva perché non aveva uno specchio per il suo make-up. Alla fine le lacrime sono nate per aver fatto l’esperienza di uno stile di vita semplice, fatto di condivisione, di famiglia e di comunità, mai conosciuto prima.

Non c’era elettricità, non c’era TV: una vita semplice. I giovani sono stati soli con gli amici e con Dio e hanno potuto parlare di se stessi. Abbiamo celebrato il sacramento della Riconciliazione… mi sono confessato anch’io perché non basta dire: la nostra vita di fede cristiana si deve vedere.

La fede è divenuta una possibilità per i giovani. La chiesa era per loro quel che resta del passato, ma che non ha niente a che fare con la loro vita. Al ritorno, hanno faticato a trovare nelle parrocchie una comunità con giovani come loro; si sono sentiti soli; i giovani hanno bisogno di coetanei, di amici, di compagni, per vivere la fede. Hanno bisogno di comunità autentiche, dove si parla di Dio.

Mi capita di andare in parrocchie, la domenica, senza avvisare del mio arrivo: nelle omelie si parla molto di morale sessuale, sociale, ma non parliamo tanto di Dio.

I giovani si chiedono che cos’è la Trinità… non vogliono una risposta teologica, che possono trovare in Wikipedia, ma chiedono che cosa ha a che fare la Trinità con la tua vita, con la tua fede, con il tuo essere cristiano. Se non possiamo rispondere a questa domanda, non vengono più. I giovani cercano ciò che è autentico, vero, non cercano una cosa assolutamente, completamente buona, non esiste, cercano una cosa autentica; cercano donne e uomini che si sforzano con tutto il cuore di vivere la loro fede cristiana; cercano questa comunità.

In Giappone, da giovane sacerdote, per gli studenti ero un fratello più grande; col passare degli anni, erano le ragazze a venire, cercavano la figura di un padre, in una società dove il padre è assente, spesso per lavoro; divenuto più anziano, i ragazzi e le ragazze venivano e cercavano un nonno… Per il cammino di fede, i giovani devono avere fratelli, sorelle, padri, madri, nonni e nonne nella fede. Noi possiamo essere questo, ma la nostra fede deve essere detta con l’esperienza.

Nell’insegnamento di Papa Francesco c’è una vera opportunità per la pastorale con i giovani. I giovani amano il silenzio, l’adorazione, la preghiera, ma dopo un certo tempo smettono; è un’esperienza bella, ma non è tanto profonda da far cambiare la vita. Penso manchi l’autenticità della chiesa.

I giovani hanno manifestato per la difesa dell’ambiente; ho partecipato anch’io. I giovani mi guardavano. Per tanti la chiesa ha fatto un’altra impressione, più positiva. Alla fine della manifestazione, abbiamo fatto suonare le campane della Cattedrale per cinque minuti. Molti dei ragazzi che non vanno mai in chiesa, hanno assistito in silenzio e poi hanno applaudito.

Possiamo toccare il cuore delle persone. Tanti giovani non hanno niente a che fare con la chiesa, non credono… ma Dio ha creato anche questi giovani, Dio ama anche questi giovani.

Se penso a questo, vedo questi giovani in un altro modo: li vedo in un altro modo, li vedo come amati da Dio; Cristo è morto sulla croce per loro. Io li devo prendere nel cuore.

La chiesa non è il nostro castello medioevale in cui proteggerci dall’influsso del mondo. Vorrei aprire le porte del castello e andare fuori per l’incontro con la gente. La maggior parte della gente è fuori dal castello. Se Dio chiama i giovani, chiama anche i giovani che non vengono da noi; sono io, è la mia missione, quella di trasmettere questa vocazione di Dio. La sua chiamata.

Quando usciamo dal nostro castello, ci accorgiamo che dobbiamo cambiare lingua, perché la gente parla un altro linguaggio, ha un altro modo di pensare.

In Thainlandia, ascoltavo Mozart con il telefonino; un giovane ha voluto sentire che musica ascoltavo, dopo dieci minuti di ascolto attento mi ha detto che quella non era musica. Ho capito che la nostra cultura sta cambiando. Dieci anni fa, un giovane mi avrebbe detto che non gli piaceva la musica classica; ora mi dice che quella che ascolto non è musica. Non c’è più riferimento al classico. Noi siamo in un universo culturale diverso da quello dei giovani. Dobbiamo andare nel loro mondo per parlare di Cristo, non aspettare che vengano nel nostro mondo, perché questo è impossibile.

Dobbiamo parlare il loro linguaggio, ascoltare le loro tante domande sulla fede. Dobbiamo sforzarci di fare catechesi con le loro parole, con la lingua che loro capiscono. Quando la gente non ci ascolta lo capiamo bene. I ragazzi, durante le catechesi nella Messa, in Thailandia, non avevano l’impressione che la Messa era troppo lunga, perché portava ricchezza alla loro fede.

Abbiamo proposto ai giovani o una marcia in montagna, con tappe di silenzio, o quattro giorni di Esercizi spirituali. Pensavo che tutti avrebbero scelto la camminata in montagna. Io lo avrei scelto, al loro posto, alla loro età. Molti hanno scelto gli Esercizi. Molti vivevano il silenzio, per quattro giorni, per la prima volta. Un giovane, poi, mi ha chiesto di essere suo padre spirituale ed è andato più volte in monastero per continuare l’esperienza di silenzio. Non vuole farsi monaco. Il silenzio fa parte della sua esperienza cristiana.

Noi abbiamo ricevuto il cristianesimo attraverso la nostra cultura: essere italiano era essere cristiano. Non bisogna credere che continui così, bisogna che ci prepariamo a una società molto più de-cristianizzata; come ha detto il Papa alla curia romana, non viviamo più in un mondo interamente cristiano, nella società, siamo un gruppo tra gli altri: il modo in cui viviamo la nostra fede, il nostro impegno ci farà finalmente missionari. La gente ci guarda; se è convinta che abbiamo qualcosa da proporre, ci ascolterà. Dobbiamo farlo: è la missione della chiesa, abbiamo la missione data da Cristo, non siamo quel che siamo soltanto per la nostra soddisfazione spirituale, siamo inviati alla gente per proclamare il Vangelo e la miglior proclamazione è vivere il Vangelo.

Questa chiesa dove i più poveri, i più deboli hanno un posto di scelta, privilegiato, attira i giovani, insieme all’interiorità. Nel silenzio e nella preghiera, una vocazione può crescere. Bisogna che mettiamo queste cose insieme in un bell’equilibrio.

Per i giovani è importante avere un’identità cattolica chiara; l’identità è importante per i giovani. Ho fondato perciò gli scout d’Europa; lì pregano. La cresima fissata a 17 anni permette un cammino di preparazione e di contatto delle parrocchie con i giovani. Chiedo una lettera in cui i giovani esprimano le loro motivazioni per ricevere il sacramento. Un giovane mi ha scritto che da piccolo andava alla Messa con i genitori, ma ritenendola molto noiosa, non ci è andato più. Conoscendo gli scout, ha cominciato a frequentare la Messa con gli amici e ora è contento. Ora è cristiano convinto. La Messa è la medesima che aveva qualificato come noiosa, ma l’andarci con gli amici cambia tutto. Dobbiamo chiederci come creare gruppi dove c’è profondità spirituale, dove c’è un certo impegno cristiano, dove i giovani sono felici, dove il giovane respira la sua cultura e non la nostra. Questo è molto importante.

Sono vescovo di una chiesa che sarà più piccola domani e ancora più piccola dopodomani, bisogna essere realisti, non ci sarà un grande ritorno spirituale dove tutti saranno cattolici, ma ci sono segni di speranza e ci sono segni che Dio e lo Spirito Santo stanno preparando l’avvenire della chiesa. Il mio compito di vescovo non è fare grandi proposte pastorali, le abbiamo sempre fatte, ma non è uscito molto da queste proposte; il mio compito è di ascoltare e di discernere il soffio dello Spirito Santo nella mia chiesa e di investire, mettere gente e risorse anche economiche lì dove c’è qualcosa per l’avvenire. Alla chiesa che andrà morendo dire che bisogna morire da cristiani, con gioia e speranza, non con viso stanco e tetro; questo vale anche per le congregazioni religiose: la vita religiosa ha un senso, la vocazione viene da Dio, anche se la congregazione non continuerà ad essere, la vita di questa suora è importante agli occhi di Dio, per la chiesa e bisogna vivere la vita religiosa fino alla fine, pienamente.

Una chiesa dinamica. Il dinamismo non viene da noi, non viene neanche dai giovani, viene da Dio, perché Dio è veramente giovane, non guarda il passato, Dio è colui che è ora e che apre la possibilità per l’avvenire. Dio è un Dio che chiama sempre, chiama ogni uomo. Quando ero giovane avevo un’opinione falsa della vocazione. Pensavo che Dio aveva un cammino per me e io dovevo accettarlo per essere un buon cristiano; se no, la mia vita era fallita. Non è così. Dio propone sempre alla mia libertà. In ogni momento della mia vita posso rispondere a Dio con la mia libertà.

La storia vocazionale non è finita con l’entrata nella vita religiosa. Sono stato seminarista, sono stato novizio dei gesuiti, dopo due anni dai miei primi voti, sono andato in Giappone per 23 anni. Pensavo che sarei stato per sempre in Giappone. Nel 2011, sono stato nominato vescovo di Lussemburgo. Avevo paura. Pensavo a come dire di no. Sant’Ignazio dice che nel discernimento bisogna scegliere, tra le possibilità buone, quella più difficile e ho detto sì.

Dopo poco, il governo ha fatto la separazione tra stato e chiesa. Sono venuti meno lo stipendio di sacerdoti pagato dallo stato e l’insegnamento della religione. Una catastrofe per tanti cattolici. Di fatto ci fa molto bene: gli stipendi erano molto alti, si era parte della società consumistica. Non era possibile dare niente di nuovo. Se proclamiamo il Vangelo, la gente ride e dice “guarda come vivono”.

Non avendo più l’insegnamento della religione nelle scuole, abbiamo istituito la catechesi nelle parrocchie. Si è iscritto il 27% dei giovani. Forse non è un gran numero in un paese prima molto cattolico. Ma sono il 27%: c’è una nuova vita che si sviluppa tra questi gruppi di catechesi.

Pensavo che le mie tappe vocazionali si fossero concluse. Mentre ero in vacanza, ho ricevuto tanti messaggi che non capivo e una telefonata di mia madre. Vede sempre l’Angelus del Papa, ma non capisce l’italiano. Ha sentito il mio nome ed era molto preoccupata, pensava mi fosse successo qualcosa. Sono Cardinale. Il mio viaggio, la mia vocazione… sono sempre il piccolo ragazzo che è andato in Giappone e che ora è Cardinale.

Dico sempre ai giovani: “Non pensate che Dio ama il vescovo o il Papa più di voi. Dio ha lo stesso amore per voi e per me. Esattamente lo stesso amore. Dio è onnipotente: vuol dire che Dio è il solo che può amare ciascun uomo, ciascuna donna con tutto il cuore, come se fosse l’unica creatura su questa terra. E ha questo stesso amore per tutti. Dio vi ama, è contento di essere con voi e di vedervi, non soltanto in chiesa, non soltanto quando fate cose pie, Dio è contento anche quando ballate, quando fate lo sport; Dio vi ama in questo momento e vedervi è la gioia di Dio”.

Questo i giovani lo capiscono.

Dobbiamo dare un’immagine dinamica di Dio, altrimenti la chiesa non può essere dinamica. Non abbiamo niente che viene soltanto da noi.

Probabilmente, per l’avvenire della chiesa, non bisogna cercare solamente le vocazioni tra i giovani che ci sono affidati, nel gruppo cattolico, ma bisogna diventare una chiesa missionaria che incontra i giovani che finora non hanno avuto niente da fare con noi, non sono contro la religione, semplicemente non ci conoscono. Bisogna andare da loro e discernere che Dio chiama anche loro; forse tra questi ragazzi e ragazze ci sono i futuri santi e le future sante.

Il nostro compito e il nostro dovere è portare loro il Vangelo.

Un modello di parrocchia per l’avvenire è una parrocchia grande con la presenza di due sacerdoti: uno che si occupa della gente che viene ancora in parrocchia, uno che dà il suo tempo a coloro che non vengono, affinché le nostre comunità parrocchiali possano di nuovo essere missionarie. Suore, laici, volontari… con la stessa divisione: una metà che sia missionaria, una metà che si prende cura del popolo cristiano.

Penso che così l’avvenire sarà molto bello; non sono pessimista, non sono ottimista, ma sono pieno di speranza. Bisogna avere confidenza in Dio: Dio ci aiuta, Dio ci mostra la vita.

Noi dobbiamo fare discernimento: perché la conversione pastorale sia vera, bisogna che ci sia una conversione personale, ogni giorno. Così porteremo il Vangelo nel mondo.

Rientrando in occidente, che cosa è cambiato o si è destrutturato rispetto alla chiesa che conosceva? (sintesi)

Il Lussemburgo è un paese molto ricco, le persone pensano che la felicità venga dai soldi. Ma c’è il 10% di persone depresse, il numero dei suicidi è alto, anche tra i giovani: questo è un segno che la società è malata. Mi chiedo come mai la fede è stata abbandonata: forse era una fede sociale, legata alla cultura, ma non personale. Fortunatamente, la metà degli abitanti sono immigrati e sono cattolici, molti sono francesi, portoghesi, italiani, polacchi, anglofoni. Pregano in famiglia. Queste nuove comunità che si integrano nella chiesa del Lussemburgo sono la salute della nostra chiesa. Danno nuova vita, nuovi stili nel vivere il cristianesimo.

Come i giovani hanno vissuto l’esperienza in missione?

All’inizio il silenzio faceva loro paura; non sono abituati al silenzio: hanno sempre un sottofondo di musica. Presto si sono abituati perché il nostro cuore ha sete di silenzio.

La vita di famiglia, il vivere felici con pochi soldi li ha colpiti: la gente povera ride di più di quella ricca. Questo ha colpito i giovani.

La sera, nel villaggio, ciascuno raccontava la sua giornata. I giovani hanno avuto pazienza con la lingua perché volevano capire il cuore di chi li ha accolti.

Una sera, abbiamo chiesto ai giovani quale fosse il loro sogno, che cosa volevano veramente; un ragazzo del villaggio, con gli occhi che gli brillavano, ha detto: “Io vorrei andare a scuola”. Non era il sogno dei giovani del Lussemburgo!

In Cambogia, siamo stati in un villaggio su barche; abbiamo preparato della minestra di riso per i bambini. La gioia dei bambini che ricevevano il pasto ha posto delle domande.

In queste esperienze, i giovani esprimono i desideri profondi del loro cuore.

Papa Francesco dice che la Pastorale giovanile è fatta di piedi e di mani. In un’intervista ha detto che per lei è necessario stare con i giovani. Cosa Significa?

I giovani cambiano sempre. Riaggiustarsi sulle generazioni che cambiano significa stare e rimanere aperti a Dio e essere fedeli alla missione. La missione deve farmi cambiare; la conversione pastorale avviene nell’incontro che i pastori hanno con la gente. Se non sto con i giovani, sono morto. Vivo nel passato. E’ il problema di tanta gente della chiesa: non vive nel presente, vive nella memoria del passato e non vede che la realtà cambia. Se sono un uomo del passato (un passato molto bello, dove Dio era presente), se non sono nell’ora di Dio, non posso incontrare Dio.

Posso incontrare Dio nella realtà del presente; i giovani mi aiutano a vivere nella realtà, nel presente.

Uscire fuori, essere missionari in terra nostra. Come essere missionari verso chi non entra in chiesa, con chi è fuori della nostra chiesa? Come farsi prossimo?

Una domanda difficile. Se do una risposta, sarà falsa perché bisogna cercare la risposta nell’ambiente in cui si vive. Un esempio: sono stato in una città di 20.000. Dalla casa del sacerdote alla parrocchia, lungo la strada, cerano tanti Caffè pieni di giovani. Ho detto al sacerdote che se fossi stato al suo posto avrei messo un abito clericale e ogni sera sarei andato a bere qualcosa; all’inizio senza dire nulla. Così la gente poteva abituarsi a vedere il sacerdote, a riconoscerlo. Dopo due settimane, pagare una birra e, lentamente, farsi amici.

In Giappone, la proposta del Vangelo passava attraverso l’amicizia. Una birra insieme per condividere le esperienze, raccontare la vita, porre delle domande: Perché non sei sposato? Perché sei in Giappone? Perché passi del tempo con noi?

Alla fine di queste chiacchierate, spesso c’era il Battesimo.

Quando il Papa mi ha voluto vescovo, ho pensato: il Papa vuole un missionario come vescovo a Lussemburgo! Tornato in Lussemburgo, ho visto che era vero: era così, c’era bisogno di essere missionari.

Perché i giovani hanno bisogno di esperienze forti per vivere l’emozione della semplicità e del senso della vita? Non c’è il rischio che non rimanga nulla?

Ha completamente ragione, è un grande pericolo. Io penso che i due punti devono essere chiari: l’impegno concreto e l’interiorità.

Il momento WOW spesso è necessario come punto di partenza. Se i giovani non cominciano a pregare, ad avere un rapporto vivo con Dio, non sanno parlare di Dio, non sanno che Dio è quello in cui vogliono credere. Dobbiamo creare un’atmosfera in cui i giovani possono entrare con la loro preghiera. Non vuol dire che dobbiamo imitare i giovani. Non devo fare il giovane per attirare i giovani. Posso essere un nonno che è sveglio, che ascolta, che è con loro quando è necessario.

Se non diamo inizio ad un incontro della persona con Dio, nella continuità, la religione non continuerà. Il nostro scopo non sono le statistiche, ma far incontrare Dio con i giovani, perché nell’intimità del loro cuore ci sia un nuovo inizio e una nuova vita. Non è facile, bisogna provare tante strade.

Non ho risposte, ma penso che non sia importante avere risposte, è più importante avere delle domande. Noi proviamo una certa insofferenza se non possiamo comunicare il Vangelo ai giovani, o se non abbiamo più chi è interessato alle nostre congregazioni. Ci fa male.

Dobbiamo vivere questo dolore. E’ il nostro modo di essere con Cristo Crocefisso. Il frutto di questo dolore sarà qualcosa di nuovo da vivere con i giovani. Questo dolore è molto importante, fa parte della nostra conversione pastorale per i giovani. Dobbiamo sentire che ci fa male, non nasconderlo, non fare come se tutto andasse nel miglior modo possibile, perché noi crediamo in Gesù Cristo morto sulla croce e risorto; dobbiamo vivere questo nella nostra esperienza spirituale e pastorale.

Sant’Ignazio ci insegna come vivere consolazione e desolazione. Come ha vissuto i momenti di desolazione con i giovani?

Per due anni in Giappone non ho potuto comunicare con i giovani a causa della lingua. Era una grande desolazione. Non potevo far niente. Non avevo il background culturale per farmi capire. Ho fatto delle idiozie. Pensavo, come occidentale, di portare il mio modello di fede, ma nessuno ne era interessato.

La desolazione ci insegna la pazienza. In questi ultimi tempi ai giovani parlo molto di virtù. La pazienza penso sia una grande virtù che abbiamo perso in questa nostra epoca post-moderna. Non abbiamo più pazienza.

Mi ha sempre sostenuto la preghiera. Spesso ho letto, perché non potevo pregare. La preghiera, come dice sant’Ignazio, è mettersi alla presenza di Dio. In questo ho sempre trovato consolazione. Dio invia piccole consolazioni anche attraverso la gente.

Quando era giovane, volevo diventare sacerdote e frequentavo la Messa. I miei genitori non venivano con me. Un giorno ho discusso con mio padre perché ero stato a Messa.

Una suora, nella mia parrocchia, mi consolava: era come una madre per me. Potevo parlare con lei. Anche una signora che non conoscevo, incontrandomi, mi aveva detto che sarei diventato sacerdote. Era come se Dio mi avesse parlato.

Un altro esempio: in un incontro, avevo invitato 50 giovani. Sono venuti in 5. La desolazione rendeva difficile accogliere quei 5. Pensavo ai 45 che non c’erano e non al dono di Dio che erano quei 5 giovani presenti.

Capita nei momenti di desolazione di smettere di pregare o di fare le cose necessarie. E’ sempre importante avere un accompagnamento spirituale. Se vogliamo essere guide dei giovani, dobbiamo essere guidati.

Nella desolazione, comprenderemo che non siamo agenti pastorali, ma siamo chiamati ad essere testimoni di Dio; è Dio, è la sua grazia che fa tutto il lavoro. Bisogna passare per la desolazione per capire veramente questo. Se no, la pastorale rimane un concetto nella testa, ma non nel cuore.

(Testo non rivisto dall’autore)