N.06
Novembre/Dicembre 2020

Nel fuoco dell’unità

 

 

«…ma come è possibile mettere insieme dei vergini
con dei coniugati, che vivano nello stesso focolare
e nella stessa comunità?
Che abbiano l’accesso al focolare in modo identico,
dove né l’uno né l’altro chiede permesso di entrarvi,
ma tutti sono, veramente, costitutivi del focolare?»

Igino Giordani

 

 

Durante la guerra del 1943 Chiara Lubich[1] scopre in Dio Amore l’unico ideale che nessuna bomba può far crollare. Assieme alle prime compagne, vive con radicalità le parole del Vangelo; nella preghiera di Gesù al Padre «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21), Chiara coglie la specificità del carisma che Dio le sta donando: vivere per la fraternità universale. In poco tempo, dalla prima comunità di laici e religiosi, la “spiritualità dell’unità”, si diffonde in tutto il mondo, coinvolgendo milioni di persone, di tutte le età, culture, religioni e vocazioni.

Cuore di quest’Opera è il focolare, che agli inizi è composto da soli vergini laici. Nell’incontro con Igino Giordani, un coniugato, noto esponente del mondo ecclesiale e politico del tempo, in Chiara si completa l’ispirazione del focolare avuta a Loreto.

Nel novembre 1953, circa sessanta tra focolarine e focolarini si consacrano a Dio con il voto di castità perpetuo; Giordani è presente manifestando gratitudine a Dio e ammirazione; la sua umiltà fa intuire a Chiara che questa consacrazione è possibile anche per gli sposati[2]. È lui il primo sposato a consacrarsi a Dio nel proprio stato e a far parte integrante del focolare.

Si realizza così il focolare: immagine della famiglia di Nazareth, una convivenza di persone vergini e coniugate tutte donate a Dio e chiamate, vivendo il comandamento nuovo, a far sì che Gesù sia presente nella comunità umana.

 

L’ideale dell’unità è entrato nelle nostre vite fin da giovani e il nostro amore è nato proprio in quest’alveo, mentre con gioia ci donavamo agli altri: poveri, stranieri, migranti. Dopo il matrimonio, ciascuno di noi, in momenti diversi, ha sentito questa chiamata. La vocazione dei focolarini sposati è infatti una chiamata personale a consacrarsi a Dio nel focolare. Il rapporto con i focolarini vergini è per noi un continuo richiamo ad amare Dio come il Tutto della nostra vita; consolida il sacramento del matrimonio, aiutandoci ad amare marito, moglie, figli con lo stesso amore di Dio. D’altra parte, la presenza degli sposati nel focolare ricorda ai vergini di essersi donati a Dio per portarlo all’umanità; contribuiamo con loro a generare e custodire nel focolare quella presenza di Gesù che ci dona la forza e la luce da testimoniare con la nostra vita nel mondo.

Sperimentiamo così che la chiamata che Gesù fa da duemila anni (“vieni e seguimi”), rivolta certamente ai vergini, è possibile anche per noi sposati; è una scelta forte ma non contraddittoria: quel Gesù che chiede di posporre moglie e figli (cf. Lc 14,26) è lo stesso Gesù che ha unito gli sposi (cf. Mt 19,6). Questo significa diventare capaci di amare l’altro con l’amore di Dio e di riconoscere nel coniuge la presenza di Gesù. Sapere che l’altro è di Dio ci permette di accompagnarci a vicenda, nel rispetto delle tappe del “santo viaggio” di ciascuno.

 

Nel 1967 Chiara affida ai focolarini sposati il mondo della famiglia con i suoi volti gioiosi e dolorosi. Nasce così il Movimento Famiglie Nuove, diffuso nei cinque continenti, in cui la spiritualità dell’unità vissuta rinnova la vita di tante famiglie chiamate ad essere immagine della vita trinitaria.

Nascono anche le “famiglie focolare”: in esse i coniugi entrambi focolarini sposati sono pronti a trasferirsi per sostenere le comunità del Movimento, divenendo “piccoli fuochi” accesi in mezzo al mondo e al servizio della Chiesa locale.

Siamo profondamente grati a Dio per questa vocazione che ci ha messo accanto ad una schiera di consacrati, con i quali possiamo contribuire a realizzare nel mondo l’unità chiesta da Gesù al Padre.

 

 

[1] Della quale proprio quest’anno ricorre il centenario della nascita (1920 – 2020).

[2] Chiara stessa racconta: «Foco (Igino Giordani) seguiva tutto questo avvenimento. (…) Lui non avrebbe potuto seguire questa strada, perché già sposato, però dimentico di sé, ma colpito dalla grazia di Dio, magnificava Dio per quello che aveva fatto in terra in mezzo a noi. Forse per quest’umiltà ricordo che abbiamo detto: “Ma senti Foco, in fondo cos’è che ti manca? Se tu ami Gesù Abbandonato sei staccato da tutto, tu non ti attacchi a niente, sei staccato dai campi, sei staccato dalla famiglia, sei staccato dalle tue idee, dai tuoi libri, dalla tua vita, dalla tua età; se tu ami Gesù, se Gesù è tutto per te, tu sei vuoto di te e sei pieno di Dio; se tu sei pieno di Dio, sei la carità viva; se sei la carità viva, Dio vive in te: ma chi è più vergine di te?”» (R. Pinassi Cardinali, I focolarini sposati. Una «via nuova» nella Chiesa, Città Nuova, Roma 2007, 91).