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Vite saporite

È la possibilità di gustare una presenza autentica e fedele di Dio a cambiare il sapore della nostra vita (Sal 27,4; Sal 34,9; 1Pt 2,2-3). Eppure Dio sembra non accontentarsi di questo… e voler aprire anche a noi la possibilità di “diventare sapore” (Mc 5,9; Mt 5,13; Lc 14,34-35).

Riportiamo un breve testo di José Tolentino Mendonça contenuto nel testo La mistica dell’istante.

 

Gustiamo quando smettiamo il mero esercizio di divorazione del mondo; quando sopraggiunge una lentezza interiore; quando contempliamo con le papille gustative; quando il nostro corpo contempla; quando, tutto concentrato, esso osserva, si sorprende, intravede e avvicina il segreto, lasciando che quella sorta di epifania si riveli. Il sapore è quella forma di intimità che presuppone un contatto profondo. […]

Perché gustare, dunque? Perché il sapore si rivela, illumina, si sparge dentro di noi fino a trasformarsi in vita. […]

Il sapore non è qualcosa che possediamo esteriormente; è, come in tutte le esperienze che richiedono un’arte di essere, qualcosa in cui ci trasformiamo. L’aspettativa di Dio è che egli possa ispirare vite saporite, lontane dal brodo insipido di ciò che, anche se esiste, non è mai veramente stato, non è mai arrivato ad essere. Gesù non semina una neutralità: semina, prima di tutto, il gusto nel solco del vivere. Non possiamo cedere dunque, alle nostre diserzioni, alle nostre fughe dal sapore.

 

(José Tolentino Mendonça, La mistica dell’istante, Vita e Pensiero 2015, pp. 74-6)