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L’ecologia globale di Francesco

Uno sguardo sulla formazione

 Rileggendo a distanza di qualche tempo Laudato sì’, la mia attenzione è stata attirata dal cap. III, «La radice umana della crisi ecologica» e soprattutto dai nn. 104-105 dove il Papa presenta i rischi connessi a uno sviluppo unilaterale della tecnoscienza e in essa individua il pericolo, fino a un secolo fa sconosciuto, oggi invece terribilmente possibile, che l’immenso potere della tecnoscienza non sia usato per il benessere dell’umanità, ma sia usato male, come la storia dei conflitti del «secolo breve» e dei pochi decenni del nostro secolo ci ha ampiamente mostrato.

 

Francesco afferma che oggi è normale pensare «che ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale» come uno spontaneo e normale fiorire del potere della tecnologia e dell’economia. Non è vero, dice il Papa. E si spiega: «L’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza» che è nelle sue mani, mentre «la immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza» (Laudato sì 105), come già aveva suggerito Gaudium et Spes n. 35.

 

Di qui viene l’impellente bisogno che i formatori tengano conto di questi dati nell’educazione giovanile e, quindi, anche (non si vede come si possa prescinderne!) nella formazione dei candidati alla vita ecclesiale e/o consacrata. Nel paragrafo seguente (Laudato sì’ 106) Francesco parla delle derive della «globalizzazione del paradigma tecnocratico» nell’ambito della gnoseologia e della morale. Nel nostro tempo di globalizzazione della ricerca e della produzione, lo sviluppo tecnologico sta seguendo un paradigma, uno schema cioè «omogeneo e unidimensionale» secondo il quale tra il soggetto pensante e l’oggetto pensato non esiste più un approccio rispettoso della realtà, ma si sviluppa una relazione di possesso, di dominio e perfino di manipolazione dell’oggetto in funzione degli interessi del soggetto pensante. Si passa da un concepire (il concetto) a un dominio della realtà fino alla manipolazione che stravolge le interne finalità. Un’altra forma di violenza.

 

Prima dell’avvento della cultura tecnocratica, la scienza e la tecnica si limitavano a «ricevere quello la realtà naturale per sé permette come tendendo la mano» in un rispettoso rapporto di dialogo. Oggi la conoscenza e l’azione dell’uomo si propongono con la forza del dominio, di «estrarre tutto quanto è possibile dalle cose» perdendo così di vista la realtà della… realtà. Al di là di  questo bisticcio di parole, noi vediamo lo sfruttamento insensato che giunge alla distruzione delle ricchezze della casa comune che Dio ci ha dato da amministrare per le nostre necessità, ma da  conservare per le generazioni future. Non serve citare i disastri ecologici e culturali che accadono in Amazzonia o nelle foreste e nel sottosuolo minerario dell’Africa. Sono ormai universalmente conosciuti e, purtroppo, tollerati da una mentalità veterocoloniale materialista e dominatrice che ha dimenticato la parola del Creatore: “Coltivate e custodite …” (Gen 2,15).

 

Più i giorni passano e più ci rendiamo conto quanto sia vero e profetico il grido lanciato dal Papa con  Laudato sì (2005) e l’eco che quest’enciclica ha trovato nei giovani, che si implicano  nella  rivoluzione ecologica, mentre vediamo le risposte nervose e arroganti di chi, per continuare nel saccheggio dei beni della Casa comune, denuncia e  fa carta straccia degli accordi sul clima sottoscritti a Parigi (2015) e a Katowice (2018). Urge, quindi, un’opera corale di tutti , dei poteri pubblici ai  sistemi economici, delle religioni alle  famiglie, dei singoli individui, per promuovere una cultura dell’ecologia e un nuovo stile di vita.

 

Ma quest’opera deve partire appunto dalla formazione dei giovani e anche dei bambini che devono essere incamminati verso una cultura del rispetto e della responsabilità nei confronti dei beni comuni; bisogna credere che l’essere umano e le cose non sono più dei contendenti, ma devono darsi la mano e procedere insieme, abbandonando quella falsa idea che il mondo possa vivere in «una crescita infinita o illimitata che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia» (Laudato sì’ 106). Bisogna aiutare i nostri contemporanei a uscire dalla «menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta che conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite» (ibid.) e ad abbandonare il falso presupposto che «esiste una quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti» (ibid.).

 

Compito primario dell’educazione odierna è quello di educare, nel senso genuino del termine, di condurre fuori i giovani da questa cultura di dominio in cui nascono, verso una cultura del rispetto, del dialogo e dell’ascolto, in una parola  verso un modo di vivere spirituale, verso uno sguardo contemplativo. Impresa ardua, perché il processo di globalizzazione in cui siamo immersi, fugge istintivamente da questa cultura e non ha tempo da perdere per raggiungere al più presto  i risultati che si prefigge.

 

Bisogna riconoscere che è difficile distaccarsi dalla cultura della globalizzazione per rientrare nella «cultura dell’umano» che fortunatamente si trova ancora nelle culture non raggiunte dalla globalizzazione . Ma è importante salvare quanto resta di essa, come un seme per la sua rinascita . Non lo si deve fare per folklore o archeologismo, ma per ritrovare e promuovere la cultura originaria e alternativa all’attuale. In tal senso il IV capitolo dell’enciclica Laudato sì’ offre un cammino di avvicinamento all’ecologia integrale, quasi una road map per il nostro tempo e per l’educazione dei giovani, particolarmente per quelli che sono  chiamati domani a essere responsabili di comunità cristiane, a indicare la rotta verso il futuro e a ricordare le grandi motivazioni che rendono possibile la convivenza umana: il sacrificio, la bontà e soprattutto il bene comune (cf. n. 200).

 

«Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione» (202).

 

Previo a questo discorso è quello della formazione dei formatori i quali, per mettersi davvero in dialogo con i formandi, devono verificare la loro personale convinzione nei riguardi della conversione ecologica e, soprattutto,  la coerenza dei loro comportamenti, perché educare all’ecologia integrale non consiste nel trasmettere una dottrina, ma un vissuto, una testimonianza personale di vita di comunione, di sobrietà e di povertà evangelica. Come non è possibile lavorare con i poveri se non si vive la «povertà in spirito» (Mt 5,3), così non s’insegna il cambiamento ecologico se non si è liberi dalle dipendenze consumistiche. Senza demonizzare la tecnologia, bisogna tuttavia essere, o almeno cercare di essere, liberi dal dominio di essa e dal consumismo che ne è legittima derivazione e, insieme, causa  che lo moltiplica.

 

Laudato  ci dà due indicazioni molto utili: «L’esistenza di leggi e norme non è sufficiente a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido controllo. Affinché la norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate, e reagisca secondo una trasformazione personale. Solamente partendo dal coltivare solide virtù è possibile la donazione di sé in un impegno ecologico (…) È molto nobile assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane, ed è meraviglioso che l’educazione sia capace di motivarle fino a dar forma ad uno stile di vita» (211).

 

Il Papa riconosce che ciò che ciascuno di noi può fare nel campo dell’ecologia si riduce spesso a dei piccoli gesti o piccoli passi, spesso sottovalutati da chi si aspetta… le grandi occasioni. Proprio ai pragmatici che pensano che con i piccoli gesti personali nell’impegno ecologico non si cambia il mondo, il Papa dice: «Non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo. Tali azioni diffondono un bene nella società che sempre produce frutti al di là di quanto si possa constatare, perché provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente. Inoltre, l’esercizio di questi comportamenti ci restituisce il senso della nostra dignità, ci conduce ad una maggiore profondità esistenziale, ci permette di sperimentare che vale la pena passare per questo mondo » (212).