N.02
Marzo/Aprile 2021

Non seppellire la coscienza!

Un insegnamento di Doroteo di Gaza

Ritroviamo un autore che abbiamo già incontrato, mentre dava una lezione di “geometria dell’amore”: Doroteo di Gaza. Nel testo che presentiamo questa volta troviamo un accenno alla coscienza che, oltre a dare un insegnamento profondamente vero, ci colpisce anche per la sua contemporaneità. Nella storia del pensiero del secolo scorso ci sono stati pensatori che hanno sempre di più sminuito la coscienza umana: o perché non funziona come dovrebbe, o perché nasconde chissà quali altri scopi, o perché è solo una serie di impulsi elettrici del cervello… eppure, mai come nello stesso secolo ― e nel nostro ― si sono sviluppati tanti sistemi per controllarla, per modificarla, per piegarla. Da Doroteo ci viene allora un monito: prendiamocene cura, ascoltandola sempre, lasciandola parlare e obbedendole. Perché ― anticipando lo stupendo testo della Gaudium et Spes n.16 ― è là che vi è «il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (GS, 16). 

 

 

Quando Dio creò l’uomo, pose in lui come un seme divino e lo dotò di una facoltà calda e luminosa come una scintilla che illumina la mente e le mostra il bene distinto dal male; essa si chiama coscienza ed è la legge naturale. Questi sono i pozzi scavati da Giacobbe, come hanno detto i Padri, e otturati di nuovo dai filistei (Gen 26,15). Con la docilità a questa legge, cioè alla coscienza, i patriarchi e tutti i santi, vissuti prima della Legge scritta, piacquero a Dio. Ma quando essa fu otturata e calpestata dagli uomini con l’avanzare del peccato, abbiamo avuto bisogno della Legge scritta, abbiamo avuto bisogno dei santi profeti, abbiamo avuto bisogno dell’avvenuta stessa del Signore nostro Gesù Cristo per rimetterla a nudo e ridestarla, per rivivificare quella scintilla sepolta per mezzo della osservanza dei suoi santi comandamenti. Dipende dunque ormai da noi seppellirla di nuovo o lasciare che essa brilli e ci illumini, se siamo disposti ad obbedirle. Quando, infatti, la nostra coscienza ci dice di fare una cosa e noi la disprezziamo e poi ce lo dice ancora e noi non la facciamo, ma continuiamo a calpestarla, allora la seppelliamo e non può più parlarci chiaramente per via del peso che la schiaccia; ma come una lampada che arda attraverso la feccia dell’olio, comincia a mostrarci le cose in modo più confuso, per così dire più tenebroso e così progressivamente: come sull’acqua intorbidata da molto fango nessuno può vedere il proprio volto, così ci troviamo a un punto in cui non percepiamo più quel che ci dice la nostra coscienza, tanto che pensiamo di non averla nemmeno più. Ma non c’è nessuno che non l’abbia: essa, come abbiamo già detto, è qualcosa di divino e non può mai perire, anzi sempre ci rammenta il nostro dovere; Ma noi non ce ne accorgiamo perché, come ho detto, la disprezziamo e la calpestiamo.   

 

 

Doroteo di Gaza, Insegnamenti spirituali, Città Nuova, Roma 19932, §40, 81-82. 

 

 

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