N.03
Maggio/Giugno 2021

Giuseppe Cognata

Fiorire all’ombra della Croce 

Il 4 settembre 1949, il Salesiano don Luigi Castano sale a Rovereto per incontrare un amico: un amico rimasto solo per troppi anni. È Giuseppe Cognata, su cui – così si legge di quell’incontro – «il tempo e le acute sofferenze hanno lasciato un’orma indelebile», e che «vive come un dimenticato». 

Quell’incontro roveretano di una tarda estate non è però motivato da sola amicizia. Don Castano è lì in veste ufficiale per indagare, per capire come aiutare quell’amico – già Vescovo – spogliato con sentenza inappellabile del Sant’Uffizio, su gravissime accuse, della dignità episcopale: privato del titolo e della diocesi, delle insegne e del buon nome; costretto inoltre al più assoluto distacco dalla Congregazione religiosa da lui fondata. Un innocente che si sarebbe professato tale anche con giuramento al Papa eppure, allora, ancora ritenuto colpevole. 

Cos’era accaduto, al giovane Vescovo della diocesi di Bova, per tornare semplice prete, costretto all’anonimato in case religiose del Nord? 

Giuseppe Cognata nasce a Girgenti (oggi Agrigento) il 14 ottobre 1885. La Valle dei Templi con la sua splendida storia e l’ottima borghesia della famiglia garantiscono al piccolo Giuseppe – che eredita dalla mamma il carattere buono e calmo, dal padre invece la vivacità d’ingegno – innata eleganza e vasta cultura. Per lui la famiglia sogna in grande, ma ogni progetto è vanificato quando il ragazzo Giuseppe, studente dai Salesiani nonostante l’affiliazione massonica del padre, sceglie don Bosco. Un anno di forzata vita romana per saggiarne la vocazione e altre pressioni non ne inficiano però il cammino: professo perpetuo nel 1908, viene ordinato sacerdote ad Acireale il 19 agosto 1909 non ancora ventiquattrenne, bruciando le tappe e imponendosi anche ai superiori per ferrea dirittura morale, solida capacità di giudizio, grande attitudine allo studio. Vive allora in numerose opere, da Bronte ad Este, da Macerata a Randazzo. È a Trapani durante la Grande Guerra, – soldato che vi getta le basi di un fiorente apostolato; quindi direttore al Castro Pretorio a Roma. Ed è qui che lo raggiunge la nomina a Vescovo di Bova, voluta da Pio XI: è ordinato il 23 aprile 1933, Domenica in Albis di quell’anno speciale della Redenzione. Lui, «gentiluomo perfetto», si trova così proiettato in una delle diocesi più povere d’Italia, zona dove ancora vigono sistemi di controllo e pressione feudale, dinamiche mafiose s’insinuano tra gli insospettabili e alla povera gente manca intanto la luce, manca l’acqua e i genitori legano i bambini per evitar loro di morire nei dirupi: a Bova, in quegli anni, la prestigiosa antichità dei luoghi e il fascino dell’area grecanica cedono troppo spesso il passo a una miseria che lascia i cuori induriti. Mons. Cognata vuole vedere, conoscere: è a Staiti e Condofuri, a Gallicianò e Roghudi con la sua fiumara dell’Amendolea Luoghi isolati, dove l’Aspromonte al tempo stesso affascina e respinge. Inizia intanto un’opera di risanamento e bonifica, di promozione e sviluppo. Il nuovo Vescovo, a differenza dei predecessori, vuole vincolarvisi toto corde. Interviene allora nelle irregolarità di alcuni sacerdoti e già nel dicembre 1933 apre la strada al cammino dell’Oblazione: una nuova forma di consacrazione nella quale coinvolge donne pronte a ogni sacrificio. Portano una presenza piccola, semplice. Aprono gli asili, fanno il catechismo, si occupano di tutto ciò che sia promozione integrale della persona. Attingendo forza alla consacrazione e non a strutture sicurezze, hanno per orientamento «raccogliere le briciole dell’apostolato»: apostole dunque degli ultimi, missionarie dove nessuno voleva andare. 

La loro è una crescita rapidissima, che in pochi anni arriva dapprima in Lazio, poi a Roma: Roma con la missione presso la villa di Casal Bruciato, dove la vita mondana del proprietario stride con la precarietà della gente a suo servizio, così tanta da fare di quella tenuta uno strano paese. Ma è proprio lì che l’influsso dell’alta società e un complesso concorso di cause attirano su Mons. Cognata dapprima fastidi, poi insofferenze, infine calunnie animate da spirito di ritorsione e vendetta. Grava anche il ruolo che egli aveva avuto nella conversione del padre – massone di spicco ritornato in seno alla Chiesa e per il quale, lui figlio, aveva offerto la propria vita. 

Condannato in un processo che abdica gravemente – come sarà poi riconosciuto – alle più elementari norme di giustizia e anzitutto al fondamentale diritto/dovere alla difesa, Giuseppe Cognata viene allora privato di tutto e diventa – come è scritto – «martire del silenzio», «uomo santo, integerrimo e crocifisso». Lui che aveva amato e servito la Chiesa in ogni possibile modo, si trova ora proprio da essa incompreso. 

Inutili sono, per decenni, i tentativi di far riaprire il caso. Ma nel silenzio si fanno avanti anche gli amici: don Castano, che lo incontrò a Rovereto; Mons. Montalbetti Arcivescovo di Reggio Calabria che sempre ne certificò la piena innocenza; Mons. Mistrorigo Vescovo di Treviso che dedicò interi decenni a patrocinare la sua Causa e si arrese solo sulla soglia dei centanni; i superiori della Società di San Francesco di Sales (Salesiani) e tanti altri; la gente semplice che imparò a volergli bene, suore e consacrate laiche che gli furono vicine. Parzialmente reintegrato nelle sue funzioni con Giovanni XXIII e Paolo VI – in virtù però di provvedimenti di grazia che non annullavano la sentenza, pur se tra coloro che l’accusavano vi fu chi ritrattò e chiese perdono –, egli muore il 22 luglio 1972 a Pellaro, là ove il cammino dell’Oblazione si era avviato nel 1933 ed egli finalmente era potuto tornare. 

Mons. Giuseppe Cognata aveva vissuto un calvario in cui la sua calma era diventata mansueta mitezza, e la sua vivacissima intelligenza aveva imparato a deporre il sottile disquisire, mentre accettava piuttosto di tacere e dimenticare, disarmato ogni rancore. 

Chi l’ha conosciuto, di lui ha detto: «Uomo completo, con le sfumature di un cuore materno»; «Era nobile […]. Io non ho mai trovato una persona che amasse come lui». La scuola esigente della croce non l’aveva dunque svuotato, ma arricchito: Giuseppe Cognata era fiorito all’ombra della Croce. 

Il 17 febbraio 2021 Papa Francesco l’ha pienamente riabilitato dando il suo consenso – con atto non ordinario nella storia della Chiesa – all’apertura della Causa di beatificazione e canonizzazione. 

 

 

«Non dubitare mai, per nessun motivo,
per nessuna angustia di spirito, della tua vocazione». 

Parole di Mons. Giuseppe Cognata

 

 

Giuseppe Cognata nasce in Sicilia il 14 ottobre 1885 e muore in Calabria il 22 luglio 1972. Salesiano, poi Vescovo di Bova e fondatore delle Salesiane Oblate del Sacro Cuore, viene colpito da un’ingiusta condanna che ne segna la vita. Torna allora per lunghi anni semplicemente “don Giuseppe”, in una solitudine sorretta dalla fede e dalla certezza della propria innocenza. Mentre l’uomo brillante e attivo di un tempo si piega al giogo della croce, conformato al «Servo sofferente», sono però in tanti a lottare perché giustizia sia fatta. La sua vicenda – che nel 2020 ha visto l’intervento autorevole di Papa Francesco – può essere approfondita attraverso numerosi scritti, tra i quali qui si segnalano: L. Castano, Il calvario di un Vescovo […], San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2009; G. Perrone, Il vescovo di Bova. Mons. Giuseppe Cognata (1885-1972), Piazza Editore, Silea (Treviso) 2013; G. Benghini, P. Cameroni, Mons. Giuseppe Cognata. Calvario e Pasqua di un Vescovo, Velar, Gorle (Bergamo) 2020.