N.04
Luglio/Agosto 2021

Cercatori perché trovati

I saggi narrano una storia: un uomo si perde nel folto di una foresta. Cammina a lungo per ritrovarsi al punto di partenza, come spesso accade quando si perde il sentiero. Nella sua disperazione vede d’un tratto un piccolo barlume, molto tenue. Nella notte della solitudine diventa un’esplosione di luce. Si precipita nella sua direzione e trova un uomo con una piccola lanterna in mano. Con grande gioia gli si getta al collo: «Sono salvo!». «Oh no – gli risponde lo sconosciuto – perché anch’io mi sono smarrito come te. Ma non disperare – continua – perché adesso possiamo cercare insieme. Riprendiamo il cammino: tu imparerai da me a non ripetere i miei errori e io non replicherò i tuoi. Ora, poiché siamo insieme, possiamo sperare una salvezza». Allora l’uomo gli si avvicina, guarda in volto lo sconosciuto e si accorge che i suoi occhi sono chiusi. «Ma tu sei cieco!». «Sì, sono cieco». «Allora perché questa lanterna?». «La luce non mi serve per vedere, ma per essere visto». 

 

Nella suggestione di questo racconto vedo rispecchiarsi la mia vita monastica. Da giovane mi ha molto colpito un’affermazione, incontrata casualmente nella Regola di Benedetto: se qualcuno chiede di essere accolto in monastero, occorre discernere se cerca veramente Dio (cf. RB 58,7). In quel tempo mi inquietava una parola di Gesù: «Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta» (Lc 12,31; cf. Mt 7,33). Nella vita monastica, ho così riconosciuto un aiuto prezioso per realizzare il desiderio, che percepivo impellente, di cercare Dio e il suo volto sopra ogni cosa. Entrato in monastero la prospettiva si è capovolta, come nel racconto di quell’anziano cieco: più che vedere, dovevo essere visto; prima di cercare dovevo lasciarmi trovare. Si è fatta allora più evidente un’altra frase della Regola: «Il Signore va cercando un suo operaio tra la folla della gente alla quale rivolge tale appello, e dice ancora: “Chi è l’uomo che vuole la vita e brama vedere giorni felici?”» (RB, Prol 34-35). Dio stesso è un cercatore desideroso: lasciamoci trovare da lui per accogliere dalle sue mani il dono di una vita felice. 

 

Credo che il monaco, nella Chiesa come «tra la folla della gente», debba testimoniare il desiderio del Padre che cerca i suoi figli per compiere la loro esistenza nella gioia. Occorre pertanto lasciarsi trovare da Dio, consapevoli che la fioca luce della lanterna serve per farsi trovare anche dai propri fratelli, così da cercare insieme a loro. «Insieme»: ecco un avverbio importante nella visione di san Benedetto, che conclude il capitolo 72 della Regola con l’invito a non anteporre nulla a Cristo, ed egli ci faccia giungere tutti insieme alla vita eterna (cf. RB 72,11-12). La vita monastica desidera declinare congiuntamente entrambi gli aspetti: una ricerca di Dio condotta nella solitudine della propria vita personale, in quel segreto dove solo il Padre vede (cf. Mt 6,4.6.18), e nello stesso tempo in una comunione stabile con i fratelli, aperta all’ospitalità, capace di ascoltare e farsi solidale con il grido della storia, grazie a uno sguardo unificato dall’amore, così da contemplare il mondo come raccolto in un unico raggio di sole, stando alla visione che Benedetto ha al termine della sua vita, narrata da Gregorio Magno nel II Libro dei Dialoghi. Benedetto vuole, infatti, che i suoi discepoli siano monaci e cenobiti, capaci di solitudine e di comunione, scoprendo questo nesso inscindibile: tanto più si è capaci di un rapporto personale con il Signore nell’unificazione del cuore, tanto più si diviene capaci di vere relazioni fraterne, e viceversa. 

 

Per la nostra comunità di Dumenza, questo ha significato stabilirsi in un luogo isolato, nel bosco, a mille metri di altezza sul Lago Maggiore. Non per evadere dalla storia e dai suoi drammi, ma per scegliere una marginalità rispetto al mondo e alla Chiesa; questa scelta anziché separarci dagli altri ci pone tra Dio e la storia, innamorati di lui e solidali con essa, così da attuare nella semplicità della vita quotidiana, intessuta di preghiera e di lavoro, di lectio divina e di relazioni fraterne, di ospitalità e di condivisione, un’intercessione incessante, uno stare «in mezzo» tra Dio e la storia, perché proprio questo crocevia è il luogo di Dio, dove poterlo cercare e lasciarsi da lui trovare. Come ci ricordano i racconti pasquali, quando il Risorto viene «sta in mezzo» (cf. Gv 20,19.26). Non anteporre nulla al suo amore significa cercare di stare a nostra volta «in mezzo», come cercatori di Dio non perché vediamo più degli altri (spesso siamo ciechi e smarriti come tutti), ma perché certi che l’amore del Padre non dimentica alcuno e tutti rischiara con la sua luce nella notte dei nostri smarrimenti. 

 

Desideriamo perciò vivere così la nostra vita: nell’ascolto della parola di Dio e nella preghiera, nel lavoro e nella fraternità, nell’ospitalità e nella solitudine, per essere segno dell’amore del Padre presente in ogni frammento di storia umana, da lui sempre cercato, amato, salvato.