N.04
Luglio/Agosto 2021

I sogni son desideri, forgiati dalla volontà 

“Non ho mai visto un pioppo”, pensò, “e la frase sul cielo l’ho letta da qualche parte. Dunque ho avuto dieci perché ho saputo mentire”. Attizzò il fuoco perché la carta bruciasse più rapidamente. Mentre gli ultimi pezzi si incenerivano declamò: “Brucio la bruttura. Sto bruciando la bruttura”. E quando scomparve l’ultima fiamma annunziò teatralmente: “Ecco la mia carriera di scrittrice che va in fumo”. 

Betty Smith, “Un albero cresce a Brooklyn”, Neri Pozza 

 

Francie Nolan sta bruciando i suoi quaderni. È stata rimproverata dall’insegnante di inglese perché i suoi ultimi quattro componimenti non sono all’altezza dei precedenti. Eppure non ci sono errori di ortografia o di grammatica, il problema – le spiega Miss Gardner – è il soggetto dei temi: “La povertà, la fame, l’ubriachezza sono dei brutti soggetti. Si sa che queste cose esistono, ma non se ne deve parlare”. Francie ha quattordici anni, mezza irlandese e mezza tedesca, cresce in una famiglia poverissima e dignitosa, che spesso non ha di che mettere in tavola (e la mamma inventa il gioco del Polo Nord), ma dove l’amore non viene mai meno, anche nelle ruvidità. Suo padre, l’adorato, bellissimo e inaffidabile Johnny, è morto pochi mesi prima, e lei ha smesso di scrivere di “alberi e uccellini” per raccontare la verità della sua vita, della sua condizione. Miss Gardner però si rifiuta di vedere, anche solo di pensare, che ci possa essere bellezza nell’ubriachezza, nella povertà, nella fame. Quanto suona attuale il dialogo tra la ragazza e l’insegnante, pur ambientato alla vigilia della Prima guerra mondiale: “Gli ubriachi stanno bene in prigione, non nei racconti. E la povertà! La povertà non ha scuse. C’è abbastanza da fare per tutti coloro che desiderano lavorare. I poveri sono solo pigri”. Francie si rende conto “che la sua vita poteva sembrare disgustosa alla gente colta e istruita” e si domanda se, “una volta istruita anche lei, si sarebbe vergognata del suo passato”. Così, si ribella all’ipocrisia di una narrazione che nega la realtà: non respinge le sue origini, le rende il suo punto di forza. L’autrice, Betty Smith, in questo magnifico romanzo di formazione pubblicato nel 1943, racconta la propria biografia. C’è lei dietro Francie, figlia di figli di immigrati in America, che ripercorre la sua infanzia e la vita della sua famiglia. È lei la prima a poter andare a scuola: le piace studiare, nella consapevolezza che solo l’istruzione può dare la possibilità di uscire dalla miseria. Ma quando ci sarà da selezionare chi potrà fare le superiori, tra lei e il fratello minore, Francie soffocherà con rabbia le sue aspirazioni e andrà a lavorare per sostenere tutta la famiglia. Non abbandonerà il suo sogno, ingegnandosi per frequentare corsi estivi di ogni tipo, trovando un impiego che le permetta di leggere tanto e di tutto, imparando lezioni dai libri e dalle persone, fino ad arrivare all’università. Perché lei è resistente e determinata, con le radici ben salde, destinata a puntare in alto, come l’albero del titolo, che tra il cemento di Brooklyn riesce a volgere i suoi rami verso il cielo.