N.02
Marzo/Aprile 2022

Nello stesso luogo (At 2,1)

L’inizio di questa giornata era stato la sera del venerdì, e il momento in cui questo racconto parla dell’evento sorprendente è nella prima mattinata, visto che Pietro successivamente fa riferimento all’ora terza, ossia le nove del mattino (cf. At 2,15). Il luogo appare sempre il medesimo.

L’indicazione è prima “uditiva” e poi “visiva” e la prima pervade la totalità del luogo. Se confrontiamo le teofanie di Atti 2 e Esodo 19, il riscontro di elementi comuni è assai evidente, sia a livello di segni che di effetti. La rivelazione è in entrambi i casi caratterizzata dal segno del fuoco: sul Sinai Dio scende nel fuoco (Es 19,18), e sui dodici lo Spirito discende come lingue di fuoco che si dividono su ciascuno (At 2,3-4). 

Lo Spirito divino iniziò il Nazareno al suo ruolo evangelizzatore e, ora, fa altrettanto con coloro che da lui hanno ricevuto un mandato analogo. Ciò vuol dire che nella formazione della comunità cristiana l’opera dello Spirito è decisiva. 

Questa presenza soprannaturale (cf. la teofania sinaitica in Es 19,16) passa ancora dalla vista all’udito, giacché si manifestano elementi che sono di fuoco, ma sono lingue, dunque fanno riferimento alla capacità di esprimersi verbalmente. Le lingue indicano il potere diversificato della parola. «Il fuoco è uno, ciascuno lo riceve, ma lo ricevono tutti insieme, nessuno da solo. Vuol dire che ognuno ha un dono particolare di Dio; che tu sei sì diverso dall’altro, ma ricevi lo stesso fuoco. Tu hai questa lingua, lo esprimerai in questo modo, l’altro diversamente» (S. Fausti). E il fatto taumaturgico arriva a piena realizzazione nella capacità di parlare in lingue diverse dalla propria e in modo coraggioso e comprensibile. 

Cristo risorto ha concesso ai discepoli il dono dello Spirito e il testo di At 2 sottolinea la portata teologica dell’occasione storica in corso. Il primo evento miracoloso degli Atti degli Apostoli crea una precisa continuità con quanto detto in Lc 24: l’abilitazione dei più stretti compagni del Nazareno e di altri con loro a proclamare la nuova Parola di Dio ad Israele e poi a ogni essere umano.

Riconosciamolo: diffusa è la persuasione che l’ispirazione divina sia una condizione straordinaria, concessa a pochi “eletti” attraverso esperienze del tutto soprannaturali. Non è vero. Dare spazio a tale soffio, che, come dice assai efficacemente il Credo niceno-costantinopolitano, «è Signore e dà la vita», significa operare perché la mentalità di Dio trovi spazio nel cuore di tutti e, conseguentemente, in tutte le azioni di cui è fatta ogni esistenza. Al di fuori e prima di ogni estasi o di qualsiasi altra manifestazione paranormale. Al di fuori di ogni controllo di un altro essere o struttura umana sulle proprie scelte di vita. 

Essere spirituali in senso cristiano, in sostanza, non è altro che questo: trovare ogni giorno l’equilibrio possibile più avanzato nell’amare gli altri individui. Partendo da uno stesso luogo, cioè, la comunità di esseri umani che dimostrano di essere in rapporto con lo Spirito Santo, se davvero vogliono bene agli altri senza pregiudizi. Per essere e diventare donne aperte e uomini aperti allo Spirito, dunque cristiane e cristiani effettivamente tali, è indispensabile avere questo sguardo ecclesiale davvero universale nella logica di chi ha il cuore in cielo e i piedi ben piantati nella concretezza terrena della vita. Al di fuori di ogni spiritualismo emotivo e di ogni integralismo che forse sa di religione, ma è estremamente lontano dalla fede nel Dio di Gesù Cristo.