N.03
Maggio/Giugno 2022

Andate! (At 5,20)

«Andate!» È questo l’invito che l’angelo del Signore, aprendo le porte della prigione in cui erano stati rinchiusi, rivolge agli apostoli in Atti 5,20. Questo invito risuona ancora oggi ed è rivolto a tutto il popolo di Dio, a tutti coloro che si riconoscono nella sequela del Signore e da Lui sono invitati ad «andare».

Questa esortazione all’«andare» non è l’azione di un momento o solo di una particolare circostanza, ma è la dimensione prima che caratterizza la comunità dei credenti nel Signore fin dal suo inizio. Una delle caratteristiche, infatti, del ministero messianico di Gesù è stata l’itineranza. Al contrario di altri rabbi che accoglievano i discepoli nelle loro case o nelle loro scuole, l’andare di Gesù da un villaggio a un altro, da un luogo a un altro è il modo con cui Egli ha scelto di entrare in contatto con le persone. Che cosa significa questo? Illuminante è quanto scrivono A. Destro e M. Pesce nel loro volume L’uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita (Mondadori 2008): «Gesù abbandona tutto. Si scioglie dagli obblighi di obbedienza radicati localmente verso il capo del gruppo domestico, o verso un’autorità politica o religiosa. Non essendo più implicato nelle reti lavorative e familiari, un individuo sradicato si trova ad avere una base identitaria molto più labile, non più dettata dalla sua casa e dal suo lavoro, e si trova però immerso, nei posti in cui transita, in un reticolo di nuovi legami interpersonali. […] Quando Gesù giunge in un nuovo villaggio viene considerato presumibilmente come un estraneo fuori posto, […] subisce così non solo uno spaesamento, ma anche un costante riposizionamento. In ogni luogo è obbligato a entrare in un nuovo orizzonte e ad assumere una posizione differente all’interno del nuovo sistema di relazioni (pp 43-44)». L’«andare» di Gesù, inoltre non è un viaggio e neanche un pellegrinaggio, ma uno stile di vita, una nuova forma identitaria e, soprattutto, un nuovo modo di porsi nei confronti del mondo, della società e delle strutture relazionali della sua epoca. È per Lui l’unico modo di incontrare «gli altri», di annunciare un’altra regalità, di esprimere e vivere la propria figliolanza all’insegna della fiducia, della precarietà e anche dell’accoglienza, di costruire relazioni non legate ad un luogo, ad uno spazio, ma ad un incontro che si rivelerà per ciascuna persona che Lo accoglie «Via, Verità e Vita». 

Non è dunque un caso che il movimento dei primi discepoli di Gesù riceverà il nome di «quelli della Via» (cf. At 9,2; 19,9.23; 24,14.22) dove il termine «via» non indica solo una «via di salvezza», ma anche, e forse soprattutto, il carattere unico e particolare di questo «nuovo gruppo». Un carattere itinerante, per sua natura missionario. È questo l’invito con cui si chiude per esempio il Vangelo di Marco: «E disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”» (Mc 16,15). 

Questo invito continua ancora oggi ad essere non solo valido, ma vitale, fonte imprescindibile di identità di una Chiesa che, come dice Papa Francesco, non può che essere sempre una «Chiesa in uscita». Ed è proprio Papa Francesco ad indicarci ancora oggi un aspetto fondamentale di questa Chiesa per sua natura missionaria, ovvero il suo carattere «sinodale». La parola «sinodo», dal greco σύν-οδος, è composta, infatti, da due parti: «σύν» (con) e «ὁδός» (via). La dimensione sinodale è dunque il riconoscersi una comunità in cammino, l’essere insieme come compagni di viaggio, facendo propria questa dimensione di itineranza per le strade del nostro mondo. 

Che cosa dunque è importante in questo camminare insieme, sinodale, oltre alla dimensione dell’«andare»? Se si ripensa all’«andare» di Gesù, da cui si è partiti in questa riflessione, l’importante non è tanto la mèta o la conclusione del «viaggio», quanto l’«incontro dell’altro» lungo il cammino, l’ascolto e l’accoglienza, la disponibilità ad abbandonare i propri schemi e le proprie strutture per accogliere una visione «altra» della realtà che ci viene incontro, per non allontanare, ma accogliere altri compagni di viaggio lungo il cammino.