N.03
Maggio/Giugno 2022

Dalla morte alla vita

Davvero il Signore è risorto! (Lc 24,34)

Fra Giovanni da Fiesole, detto il Beato Angelico, al secolo Guido di Piero, pittore, divenne monaco nel convento di San Domenico intorno al 1420. La sua presenza a San Marco fu dunque solo temporanea e si deve sia all’impegno di affrescarne le celle e i diversi ambienti sia al fatto che, fino al 1445, le due comunità avevano una gestione unica. I Domenicani volevano che ogni luogo o passaggio del convento fosse segnato da immagini che invitassero alla contemplazione, richiamando i frati all’osservanza delle Costituzioni. È un fatto non da poco che sia possibile vedere gli affreschi nella loro collocazione originaria, è come entrare nell’umile preghiera dell’artista per i suoi confratelli. L’intervento decorativo a San Marco fu deciso con l’assistenza di Michelozzo, scultore e architetto che, nel 1438, aveva iniziato la costruzione del nuovo convento su incarico di Cosimo de’ Medici. Ne emerse un lavoro organico che interessò tutti gli ambienti pubblici e privati del cenobio: dalla chiesa al chiostro, dal refettorio alla sala capitolare, dai corridoi fino alle singole celle. La decorazione prevedeva in ogni cella un affresco con un episodio tratto dal Nuovo Testamento o una Crocifissione dove la presenza di san Domenico indicava ai frati l’esempio da seguire e le virtù da coltivare. Gli affreschi sono stati realizzati in tempi molto brevi e questo fa pensare che l’Angelico si sia avvalso dell’aiuto di collaboratori che dipingevano usando i suoi cartoni, tra questi Benozzo Gozzoli.

 

Guardiamo da vicino due opere che si trovano in due celle diverse al piano superiore del complesso, nel corridoio est o “dei chierici”, a sinistra della celebre Annunciazione. Nella cella n.8 si coglie la scena narrata da Marco al cap.16 in cui le mirofore giungono al sepolcro al mattino presto e al posto del corpo di Gesù trovano un giovane seduto sulla destra, vestito con una veste bianca ad annunciare loro che colui che cercano non è lì, ma è risorto. Possiamo riconoscere l’angelo sopra un suppedaneo, che fa segno verso l’alto nella direzione del Cristo risorto all’interno di una mandorla di luce, mentre con l’indice destro indica alle donne l’interno della tomba. Curiosa questa doppia gestualità che guida lo sguardo dell’osservatore in due versi opposti. Se si segue la traiettoria della mano destra, il nostro sguardo si unisce a quello della donna più ardita che si avvicina al sepolcro appoggiando per giunta una mano sul bordo mentre l’altra è sulla fronte, quasi a cercare ombra, data la luce accecante proveniente dall’alto. Il punto di arrivo dello sguardo di questa donna si perde nel fondo vuoto della tomba ed è spesso proprio questo il nostro punto di partenza, il basso della terra, dove scivolano tutte le relazioni, gli affetti, le esperienze che giudichiamo finiti, morti, per il fatto che non stanno più davanti agli occhi. A volte piace indugiare particolarmente in quei fondi che continuano ad apparire interessanti anche se oscuri, al punto che, paradossalmente, si tenta di adombrare ogni luce che possa disturbare l’accorata ricerca nei bassi fondali. La linea direttrice segnata dall’indice sinistro dell’angelo, al contrario, non è seguita da nessun personaggio, dunque lo sguardo dell’osservatore viaggia da solo verso l’alto dove incontra il volto di Cristo da cui chi guarda viene fissato. La posizione di Cristo induce ad alzare gli occhi e a tenerli alti. La domanda finale che sembra voler porre il Beato Angelico è duplice: Dove guardiamo quando cerchiamo il Signore? Da quale segno ci lasciamo guidare? Il percorso visivo inizia indubbiamente da un vuoto che, nella logica dei sensi, avrebbe dovuto essere pieno: è da un vuoto che inizia la ricerca di Gesù Cristo risorto.

 

Nella cella n.1 si può ammirare il celebre Noli me tangere, ispirato dal vangelo di Giovanni al cap.20. Questa scena vede protagonista solo una donna, Maria Maddalena, l’unica che resta davanti al sepolcro a piangere perché le hanno portato via “il suo Signore”. Sulla sinistra sta l’ingresso al sepolcro, dalla roccia si apre un varco rettangolare sull’oscurità, cui la Maddalena dà le spalle, come se fosse lei ad esserne appena uscita, seguendo Cristo. È tutta protesa verso Gesù, inizialmente scambiato per il giardiniere. Maria Maddalena smette di piangere soltanto quando l’Amore pronuncia il suo nome, chiamandola alla vita. La scena è ambientata in un giardino chiuso, come si può vedere dalla recinzione dorata sullo sfondo; si distinguono un cedro, un cipresso, una palma e un ulivo, simboli della Sapienza che insegna come dare la vita; sono anche un riferimento all’Eden. La zappa che Gesù porta sulle spalle è frutto non di un fraintendimento della Maddalena, ma della verità che incarna il Risorto: Lui è il Nuovo Adamo, il nuovo custode del giardino dal quale l’umanità non sarà più cacciata. Questo Gesù-giardiniere non è in posizione statica davanti alla donna, ma è in movimento e, mentre cammina, si volge verso la Maddalena creando uno spazio vuoto fra la propria mano e quella della donna: uno spazio di pura poesia, una tensione creatrice di nuova vita che fa risorgere la Maddalena stessa nel momento esatto in cui si alza per andare incontro al suo Signore. Cristo, una volta risorto, trasforma in un giardino i nostri luoghi di morte.